“Record Collectors Are Pretentious Assholes” ammonivano i Poison Idea nel 1984 (anche se poi quella in copertina era proprio la collezione di dischi di Pig Champion) e, siccome ognuno ha la propria idea di pretentious asshole dalla quale si autoesclude, non mi sono mai voluto considerare un collezionista di dischi – nonostante chiunque entri in casa mia probabilmente riderebbe di fronte a questa affermazione.
Il fatto è che non mi sono mai interessato di edizioni, prime stampe, e cose simili. A me piace la musica. Tra una edizione più rara e una meno rara sceglierò sempre quella che costa meno, non ho smanie completiste, e compro solo dischi che mi piacciono. Per ascoltarli, perché mi piace farlo attraverso supporti fisici (che, per quanto mi riguarda, favoriscono anche un ascolto più attento), e per supportare gli artisti o le etichette che li pubblicano.
Non mi interessa accumularli come i lingotti d’oro nel deposito di Paperone, o comprarli a seconda del loro valore, o con l’idea di rivenderli. Quella è una vitaccia e, per chi lo fa, quasi un secondo lavoro, che probabilmente mi porterebbe a odiare la musica.
È però innegabile che, negli ultimi anni, il mercato delle ristampe è quanto mai fiorente, come dimostrano molti successi anche italiani. Viviamo in un periodo in cui qualsiasi ristampa library sembra destinata a andare esaurita in un paio di mesi, in cui Tannen brucia 500 copie in mezza giornata, e in cui nessuno può riuscire a stare dietro a tutto quello che quotidianamente viene ritirato fuori dai cassetti in settori come l’elettroacustica, le colonne sonore italiane (principalmente anni ’70) o la musica africana.
È probabilmente un segnale di scarsa vivacità e di scarso ricambio generazionale tra gli acquirenti di musica (di certo è un mercato più rivolto ai quarantenni che non riescono più a entusiasmarsi per le novità che non ai ventenni), ed è anche in qualche modo una scelta “facile”: è più sicuro affidarsi a qualcosa di già storicizzato e che ci viene presentato come “perduto capolavoro” o “ristampa necessaria e imperdibile”, che non a una assoluta novità, per la quale non abbiamo giudizi già sedimentati e approvazioni culturali già attribuite.
Personalmente mi sento tranquillo finché ogni anno continuo ad appassionarmi anche a molte nuove uscite, ma ammetto anche che indubbiamente quella delle ristampe è una miniera che porta alla luce continue meraviglie, e uno dei mondi più interessanti da seguire nelle musiche post-2000.
Oltre ad avere contribuito a tenere a galla la discografia in crisi (vendendo più roba a quelli che già sono gli acquirenti forti, invece che cercando di cavare il sangue dalle pietre che sono i teenager – storicamente i compratori di musica per eccellenza), e ad alimentare il controverso “ritorno del vinile”, oltre al suo innegabile valore storico-archivistico, trovo che questa miniera abbia anche un valore un po’ meno retromaniaco del previsto: infatti spesso non si tiene conto di come il passato possa anche essere una finestra aperta sul futuro, fare stabilire nuove connessioni, essere rivisitato e dare nuova linfa al presente sotto forma di sample, contaminazioni, aperture della mente, ampliamento del gusto, ispirazione, crossover inauditi… Tutto sta al “come”, più che al fatto in sé.
Non credo sia un caso che alcuni dei musicisti più interessanti che conosco (personalmente o per averne letto le parole) siano spesso anche grandissimi appassionati della ricerca di questo o quell’altro nuovo, imperdibile, disco ancora sconosciuto.
The quest that leads to late nights in smoky rooms where feverish exchanges go on between two kindred spirits about records no one else cares about. The quest that leads to ploughing through record bins for the thing that’ll lead to the next thing that’ll obviously lead you to the bit of tangible truth you’ve been searching for the whole goddamned time you’ve been seriously listening to music.
(La ricerca che porta a nottate in stanze fumose dove si svolgono accesi confronti tra spiriti affini su dischi dei quali non importa nulla a nessun altro. La ricerca che porta a spulciare scatole di dischi inseguendo quella cosa che porterà alla cosa successiva che porterà sicuramente a quel pezzo di tangibile verità che hai cercato per tutto il dannato tempo che hai passato ad ascoltare musica sul serio.)
Tony Rettman, The Wire 382, Dicembre 2015
Come però ci sono tante perle preziosissime, anche la fregatura spesso è dietro l’angolo – ovvio, in un mercato così sovraffollato.
Per questo, qui di seguito c’è un tentativo di segnalarvi alcune delle migliori uscite di quest’anno.
Mary Afi Usuah with the South Eastern State Cultural Band
Ekpenyong Abasi
(Voodoo Funk)
Negli anni ’60, dalla Nigeria Mary va a studiare al conservatorio di Roma e poi resta in giro per l’Europa per tredici anni, tra partecipazioni a colonne sonore e incontri con grandi nomi del rock. Quando torna a casa insegna canto e registra tre dischi – questo è il primo, 1975.
Se negli ultimi anni, anche in seguito al successo raccolto dalla riscoperta di Fela Kuti, abbiamo visto un proliferare di ristampe afrobeat-funk-disco francamente eccessivo, questa è davvero una di quelle imperdibili: afro-funk-jazz come se ne sente raramente.
Pubblicazione autorizzata dalla famiglia, che anche grazie a un insert con note approfondite rende un po’ di giustizia a un’artista di grandissimo valore, purtroppo misconosciuta anche in patria.
Alessandro Alessandroni
Industrial
(Dead-Cert Home Entertainment)
Dead-Cert è la sublabel di Finders Keepers curata insieme a Sean Canty dei Demdike Stare, e ciò già ci dice qualcosa. Con l’uscita in questione fanno il colpaccio e riescono a pubblicare per la prima volta questa raccolta di materiale composto per uso non commerciale da uno dei più grandi nomi dell’universo library.
Registrato nello studio di Umiliani con chitarre, piano, percussioni, ma soprattutto nastri e VCS3, il titolo già fa capire quali sono le atmosfere concrete e prototechno che l’album evoca.
Irrinunciabile per chiunque voglia una discografia library di base, o anche solo per chi vuole scoprire quali sono i padrini di tanta musica elettronica attualissima.
Maki Asakawa
Maki Asakawa
(Honest Jon’s Records)
Una delle scoperte dell’anno è la raccolta, compilata dai mai sufficientemente lodati signori della Honest Jon’s, che funge da retrospettiva sulla cantante giapponese morta cinque anni fa. Raccoglie principalmente materiale degli anni ’70 e spazia molto tra jazz, blues, musica tradizionale, rock psichedelico e cose più spirituali, alle volte richiamando alla mente il ricordo di Nico. Tutto pervaso però da una personalità unica e fortissima.
Un disco imperdibile.
Besombes/Rizet
Pole
(Gonzai Records)
Qualcuno potrebbe contestare il valore di questa ristampa perché, probabilmente per motivi economici, non è integrale. Infatti l’album originale era un doppio LP, qui ridotto a uno solo, tagliando due pezzi: uno breve, e uno di 20 minuti che occupa un’intera facciata dell’originale.
Non c’è molto da dire, la scelta è in effetti discutibile, anche se va detto che con il disco è disponibile anche il download della versione integrale (su Bandcamp, dove è anche in streaming).
Però non comprarlo vorrebbe dire perdersi un disco davvero magico, misconosciuto e bellissimo: opera di due pionieri francesi del sintetizzatore, è un po’ la loro versione del krautrock più ritmico e spaziale.
Se siete fan del genere probabilmente non vi aspettate che vi manchi di scoprire una simile chicca, e che questa possa arrivare dalla Francia (anche se già Heldon e Magma dovrebbero avervi insegnato qualcosa), però il consiglio è quello di fidarvi, se non di me almeno di Julian Cope (uno che dovrebbe intendersene abbastanza), che al riguardo dice: “Psychedelic progressive synth-based music doesn’t get much better than this”.
Centazzo/Battiston/Feruglio
Ictus
(Wah Wah Records)
Uscito originariamente nel 1974 sulla mitica e pioneristica PDU di Mina, è l’esordio discografico di Andrea Centazzo (che in seguito suonerà con Derek Bailey, Don Cherry, Steve Lacy, John Zorn…), a nome del quale venne pubblicato all’epoca (e solo ora riattribuito più correttamente).
Si tratta di un disco incredibile, che mescola l’improvvisazione jazz all’elettronica e a forti influenze orientali. Tra i nomi che vengono scomodati per parlarne ritorna spesso quello dei Soft Machine, anche se all’epoca il trio non li conosceva neppure.
Un disco ancora adesso avanti, o meglio “fuori dal tempo”, frutto di un’ispirazione davvero impressionante, che sembra avere qualcosa di oltre l’umano (anche nella fatica delle incessanti session, raccontate da Centazzo, che ne costituirono la genesi).
Coil
Backwards
(Cold Spring)
Come ogni volta che ci si trova ad avere a che fare con eredità e testamenti, la questione è spinosa. Entrambi i membri fondatori e fissi dei Coil sono morti e sul loro catalogo c’è grande confusione, e infiniti bootleg.
Questa è un’uscita che da una parte è stata messa in piedi da Danny Hyde, in studio con loro durante le registrazioni, dall’altra però ha fatto scrivere a Jon Whitney di essere l’unico a poter pubblicare i Coil, sconfessandone l’uscita.
Volendo uscire da questo discorso, il materiale è assolutamente imperdibile per chiunque sia anche solo vagamente fan di questo gruppo immenso.
Si tratta dell’album che doveva uscire tra Love’s Secret Domain e il primo Musick To Play In The Dark, registrato in buona parte negli studi di Trent Reznor. Un disco che sta a metà tra quei due non solo temporalmente ma anche come suoni e atmosfere, e fatto di canzoni meravigliose.
È uscito in varie forme nel corso degli anni, una ufficiale ma remixata, e una serie di vari bootleg, demo, eccetera. Questo viene presentato da Hyde come il disco vero e proprio, quello che doveva uscire nel 1997, ritrovato integralmente dopo vent’anni e reso disponibile dai nastri originali.
Anche il lavoro di mastering è impressionante e la qualità del disco è eccelsa.
Se non siete ancora convinti, andate a cercarvi la versione di “A cold cell” qui contenuta e provate a dire che non è una delle cose più belle che abbiate mai ascoltato.
Fingers Inc.
Another Side
(Alleviated Records)
Se frequentate questo sito dovreste avere almeno un po’ di interesse per la musica elettronica, se avete almeno un po’ di interesse per la musica elettronica dovreste avere una buona dose di amore per la house, se amate la house non dovrebbe mancare nella vostra collezione una copia di questo disco.
Larry Heard (aka Mr. Fingers, “Can You Feel It?” si può considerare una specie di atto fondativo del genere) incontra due cantanti del calibro di Robert Owens e Ron Wilson e fanno la rivoluzione.
Uscito originariamente nel 1988, mette insieme tutti i vari 12” per le etichette storiche come la Trax, ed è uno dei primi e più importanti album house di tutti i tempi.
Come già all’epoca, l’edizione in vinile (un lussuoso triplo) è quella più completa, dal momento che a quella in cd mancano quattro pezzi – tra cui proprio “Can You Feel It?”. Inutile dire quale sia quella consigliata.
Harry Pussy
Harry Pussy
(Superior Viaduct)
Prima dei Lightning Bolt, dei Wolf Eyes, dei Black Dice, c’erano gli Harry Pussy. Questo è il loro esordio, in formazione a due composta da Bill Orcutt (batteria percossa in malomodo) e Adris Hoyos (chitarra maltrattata), e registrato con il culo. Che cosa fanno? Un casino inaudito. Noise-core isterico di intensità bestiale, che fregandosene di tutto porta la musica in un posto diverso da dove stava prima. Diciamo dei Dead C molto più dritti al punto. Venti minuti di pugni in faccia che si aprono con le cose a-base-di-chitarra più estreme che possiate trovare negli anni Novanta, e si chiudono con un’imperdibile cover dei Kraftwerk, passando per un pezzo (“I Don’t Care About Sleep Anymore”) in cui il rumore riesce a farsi quasi commovente, e bello.
Per i più coraggiosi, diciamo.
M. Zalla
Problemi D’Oggi
(Black Sweat Records)
Per chi scrive forse il disco più irrinunciabile della sterminata produzione di Umiliani. Anche se, solo tra quelli ristampati quest’anno, andrebbero citati almeno anche il piacevolissimo Synthi Time e Tra Scienza e Fantascienza (a nome Moggi).
Sì, se non si fosse capito, questo misterioso M. Zalla non è altri che Piero Umiliani: uno dei compositori di maggiore importanza, e postumo culto, dell’ambito library.
I brani di questo disco vennero realizzati per sonorizzare servizi televisivi su, appunto, i “problemi d’oggi”, come la mafia, il terrorismo, le questioni sociali… E il disco riflette questa atmosfera problematica e un po’ ansiogena. Estremamente sperimentale, realizzato con una fantasia e un’attenzione al dettaglio semplicemente mostruose, sembra tuttora uscito dal futuro. La traccia che lo apre si può considerare uno degli esempi più incredibili di prototechno, spesso citata anche da produttori contemporanei (come per esempio i soliti Demdike Stare).
Egisto Macchi
Il Deserto
(Cinedelic Records)
Chiudiamo il capitolo compositori italiani/library con l’altro pezzo da novanta. Egisto Macchi non ha bisogno di presentazioni (Voix e I Futuribili sono tra le ristampe più preziose degli ultimi anni), eppure questo disco era praticamente sepolto. Pubblicato nel 1974 in edizione limitatissima dalla minuscola etichetta Ayna (caratterizzata dalle copertine bianche e anonime), è stato ora ristampato dai master originali, addirittura con alcune tracce – originariamente editate – presentate per la prima volta in versione integrale.
La copertina è vellutata, il che dà quasi un senso al prezzo sinceramente eccessivo del doppio LP.
L’album è ispirato appunto a un viaggio nel deserto e alle sue atmosfere, e si tratta di un lavoro davvero magico e indescrivibile, per chi scrive forse il più bello di questa lista.
Gigi Masin
Wind
(The Bear On The Moon Records)
Questo è un altro disco che negli anni è assurto a leggenda, anche perché era stato autoprodotto da Masin stesso (nel 1986) e poi regalato a chi ne faceva richiesta o a chi andava a vederlo in concerto. A un certo punto, però, le copie rimaste sono state vittima di un allagamento, e quindi l’edizione già molto limitata è diventata pressoché fantasma. Ora Masin ha deciso di ristamparlo, dopo aver definito “vergognose” le cifre alle quali veniva venduto tra i collezionisti.
Si tratta dell’esordio del musicista veneziano, ed è un disco ambient di grande delicatezza, con influenze classiche e l’uso di sassofono, voce e piano. A tratti ricorda perfino quello che quindici anni dopo sarebbe stato il lavoro di Akira Yamaoka per le apprezzatissime colonne sonore di Silent Hill.
Una gemma italiana da riscoprire assolutamente.
Prima Materia
Prima Materia
(Die Schachtel)
I Prima Materia pubblicano un unico album nel 1977, ovviamente introvabile. Viene ristampato in CD dalla benemerita Die Schachtel nel 2005 ma va presto esaurito anche quello, e ora – dieci anni dopo – ecco questo doppio vinile, che su un disco ripropone quel La coda della tigre, mentre sull’altro ci mette un live a Colonia del 1974.
Incredibile drone music in cui ogni singolo suono è generato solo dalle voci dei quattro componenti del gruppo.
Ovviamente non è un disco per tutti, ma a volerci entrare si rivela di una bellezza rara (il che fa sì che, nelle note introduttive, Terry Riley lo metta lassù insieme a La Monte Young, la Deep Listening Band di Pauline Oliveros e l’Harmonic Choir di David Hykes).
Inoltre l’edizione, come sempre in casa Die Schachtel, è molto bella e curata, con insert dettagliati e ben fatti.
Clara Mondshine
Luna Africana
(Fifth Dimension)
Clara Mondshine era uno degli alias di Walter Bachauer, personaggio un po’ misterioso, suicida a 46 anni, del quale si sa poco: che era un giornalista musicale negli anni d’oro del krautrock, che ha creato il MetaMusik Festival a Berlino (fra i primi a interessarsi ai suoni del mondo non occidentale), che ha suonato in vari album dei Between, e che ha pubblicato tre dischi negli anni ‘80 sull’etichetta di Klaus Schulze.
Il primo è questo Luna Africana, ed è una chicca davvero indimenticabile. La direzione che il krautrock non ha saputo prendere dopo gli anni ’70, musica cosmica e pulsante, in anticipo addirittura sui Boards of Canada su certe idee. Assolutamente da avere nell’edizione in vinile perché, nonostante il disco riporti la notazione di suonarlo a 45 giri, è pratica abbastanza comune suonarlo anche a 33.
Michel Redolfi
Pacific Tubular Waves/Immersion
(Recollection GRM)
Sempre sia lodata la sublabel di Mego che ristampa storiche perle GRM (il centro pubblico francese per la ricerca elettro-acustica, fondato da Pierre Schaeffer). In questo lavoro uscito nel 1980, entrambi i pezzi sono basati sul suono del Synclavier, ma mentre il primo brano è semplicemente ispirato al suono delle onde dell’Oceano Pacifico, con il secondo Redolfi si spinge oltre e dapprima si limita a registrare i suoni delle profondità marine, ma poi fa risuonare il primo brano sott’acqua attraverso l’uso di un sonar, registrando quindi il risultato filtrato da ogni sorta di passaggio del suono attraverso onde, schiume e quant’altro.
Sicuramente non troppo accessibile, ma altrettanto sicuramente un’opera affascinante, in grado di far provare l’esperienza di un’immersione totale nel suono.
Catherine Ribeiro + Alpes
Intégrale Des Albums Originaux
(Mercury, Universal)
Si tratta di un cofanetto di nove CD, in un’edizione per la quale diciamo che non si sono sprecati eccessivamente. Gli album sono in quei sottili cartoncini che riprendono le grafiche dei vinili e c’è un libretto abbastanza povero, senza grandi note ma soltanto un testo introduttivo, in francese e in inglese.
È anche vero però che è l’unico modo per avere tutti questi dischi tutti insieme senza stare a impazzire dietro agli usati (e senza spendere un capitale, come per esempio nel caso di Paix, che da solo costa più di questo cofanetto).
Dentro ci troverete alcuni dei più bei dischi di avant-folk psichedelico di sempre (nelle parole di James Holden: “hollering French woman, mechanical proto-drummachine + organ melancholy”), roba davvero off ma allo stesso tempo anche preziosa e di una bellezza, un gusto e un’originalità infinite.
Masahiko Sato
Belladonna
(Finders Keepers Records)
Kanashimi no Belladonna (Belladonna della tristezza) è un film di animazione del 1973 realizzato principalmente con una successione di pannelli e dipinti, che parla di stregoneria e patti col diavolo. Un culto assoluto ripreso per visual e grafiche da dj, collettivi femministi, artisti d’avanguardia, fashion designer…
Un paio di anni dopo la sua uscita, l’italiana Cinevox ne pubblica la colonna sonora, che diventa presto introvabile e vede i prezzi raddoppiare ad ogni apparizione del rarissimo LP in qualche fiera di collezionisti. Ora finalmente Finders Keepers si è presa carico della ristampa, la prima in una prevista serie di uscite dedicate a Sato.
Non saprei come si può definire questa musica, soprattutto nei brani strumentali, qualcosa tipo avant-jazz-blues-psichedelico? Ma forse è uno di quei casi in cui è meglio lasciar perdere le etichette e farsi semplicemente trasportare dalla bellezza.
Sun City Girls
Torch Of The Mystics
(Abduction)
Finalmente ristampato dopo venticinque anni, il disco forse più accessibile (e sicuramente tra i più belli) della storica formazione composta dai fratelli Bishop e dal batterista Charles Gocher è uno dei capolavori perduti e dei dischi di maggior culto degli anni Novanta.
Tra i primi a mescolare credibilmente psichedelia e sonorità etniche (in assenza di termini migliori), i Sun City Girls seppero dare nuova linfa alla prima, portandola fuori dai cliché blues-rock, e iniettandole una dose di originalità e di libertà che non si sentiva da molto tempo. È anche un disco molto libero e improvvisativo (anche se tra i più solidi e coesi della band) e, non ultimo, estremamente divertente.
Un capolavoro immancabile in qualsiasi collezione.
Una breve nota esplicativa:
Non sono state incluse nella lista le “ristampe di ristampe”, le cose mai andate davvero fuori catalogo (in un formato o in un altro) e le uscite non autorizzate.
Ci sono un paio di eccezioni per versioni “ampliate” di cose che pure erano già state ristampate.
Per via di queste regole sono rimasti fuori capolavori di Alice Coltrane (Universal Consciousness) e Charles Mingus (The Black Saint and the Sinner Lady) – entrambi su Superior Viaduct – da sempre disponibili in cd, come anche Laraaji (Ambient 3: Day of Radiance), Eroina del Gruppo Di Improvvisazione Nuova Consonanza (su Holidays Records) e gli Älgarnas Trädgård (fricchettoni svedesi autori di un incredibile album di folk-psichedelia cosmica che arriva ad anticipare i Godspeed You Black Emperor, nel 1972).
E ancora sono state escluse le serie di ristampe dedicate a Popol Vuh (su Wah Wah) e Broadcast (Warp), la colonna sonora di Holy Mountain di Jodorowski a firma Don Cherry, Ronald Frangipane e Jodorowski (già ristampata l’anno scorso da Real Gone e quest’anno da Finders Keepers), il bellissimo cofanetto con la discografia degli Harmonia, la compilation per i dieci anni della Ghost Box, e bootleg come gli splendidi Cochin Moon (Haruomi Hosono) e Turiya Sings (ancora Alice Coltrane).
Oltre, ovviamente, a quello che non ho ancora avuto modo di ascoltare, come il potenzialmente incredibile cofanetto Sonambient, che raccoglie in 11 cd tutta la musica delle “sculture sonore” di Harry Bertoia.
E grazie al trucco di questa nota sono riuscito quasi a raddoppiare i nomi citati. Buon Natale.