Il primo approccio con il Luca Agnelli dj è stato qualche anno fa attraverso il tuo “pettinatissimo” sito internet. Erano altri tempi, è chiaro, ma a vederti oggi sembri diverso non solo dal punto di vista musicale ma anche (passaci il termine) ideologico. Cosa ti ha fatto cambiare? Quando hai capito che dovevi/volevi cambiare percorso?
Sono passati almeno dieci anni! Da allora sono cresciuto sia personalmente che musicalmente, ho avuto una lunga e continua evoluzione (per certi versi tutt’ora in atto, guai a fermarsi!), ho seguito sempre il mio cuore e non la moda o la convenienza. Ho cercato di fare sempre quello che mi piaceva, ho scelto i club dove suonare sia prima che ora. Mi sono rimesso in gioco più volte per l’amore della musica e perché per me questo lavoro prima di tutto è un divertimento quindi deve darmi sempre qualcosa, gioia, emozioni, soddisfazioni. Ecco perchè ho deciso, sette anni fa, di intraprendere un nuovo percorso musicale, rispetto a quello con il quale avevo costruito la mia prima parte di carriera. Sono passato dai club cosiddetti fashion a quelli più underground proprio perché nel primo contesto non potevo più esprimermi come volevo: volevo proporre un sound che non era più adatto a quella situazione e quindi ho deciso di ricominciare da zero in un altro contesto. Molti mi hanno detto “ma chi te lo fa fare? è impossibile passare dal Billionaire all’Echoes, dall’Hollywood ai Magazzini Generali, dalla Mela al Metropolis, sei arrivato ad un ottimo livello tra i dj nel tuo settore, chi te lo fa fare di scontrarti con i mostri sacri della house italiana, chi te lo fa fare di passare da cinque serate a settimana a una o due a malapena e meno pagate, dai locali pieni di gente adulta, con tantissime donne a locali pieni di ragazzini e prevalentemente maschi?” La mia risposta è sempre stata: “me lo fa fare il cuore! ” e questo ho fatto.
Oggi, a trentaquattro anni, sei uno dei dj italiani più seguiti e chiacchierati. Raggiunta la piena maturità, possiamo certamente definirti come l’artista che più ha rivoluzionato la propria immagine. Ma chi è davvero Luca Agnelli?
Luca Agnelli è prima di tutto un dj poi un produttore, un uomo presto papà, una persona che si è messa in gioco più volte alla ricerca della soddisfazione personale prima di tutto, alla ricerca del divertimento nel stare dietro una consolle, alla ricerca sempre di nuovi stimoli, di nuovi obiettivi, di nuove sfide. L’immagine va di pari passo con quello che sei, con quello che ti senti dentro.
Cosa vuoi dire a chi ti identifica ancora come il dj del Billionaire?
Che dovrebbe aggiornarsi, visto che sono ormai passati sette lunghi anni dall’ultima mia serata la e dovrebbe sapere che il mio percorso artistico e musicale ha avuto una profonda evoluzione, che i club che frequento ormai da anni sono molto diversi da quelli patinati/fashion di dieci anni fa; che il mio modo di stare dietro la consolle è cambiato… e poi non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere… magari per invidia, per pregiudizio, magari per ignoranza e stupidità. Alcune persone non riescono ad accettare che uno che è riuscito a far bene in un determinato settore ce la possa fare anche in un altro, rimettendosi in gioco. Io penso che siano limitati, e poi si sa, solo gli stupidi non cambiano idea!
Sei un artista che ha fatto della tecnologia uno dei fattori dei propri set. Sono in molti a pensare che il coinvolgimento esasperato di laptop e controller non nobiliti la figura del dj. Quale è la tua opinione a riguardo? In che modo tutto questo può giovare al movimento underground?
Credo che ognuno debba scegliere come suonare in base a quello che gli da più gusto, senza farsi influenzare dalle chiacchiere e da cosa possono pensare gli altri. Vinili, cd, laptop, controller, non fa differenza, è una scelta personale, non sei più bravo se usi uno o l’altro. È invece a mio parere importante saper mixare i vinili per poter poi lavorare al meglio con il laptop o i cd; ma quello che conta veramente è la selezione musicale, la scelta dei pezzi giusti al momento giusto, la ricerca della sequenza perfetta, dell’onda; creare il feeling giusto con il pubblico, avere la sua fiducia, prenderlo per mano e portarlo a seguire il tuo percorso, a fargli capire il tuo stato d’animo, a sorprenderlo, a farlo esplodere al momento che vuoi tu, a lasciargli qualcosa dentro, un ricordo, un’emozione, una sensazione, in maniera che non veda l’ora di tornare ad una tua serata. Tutto questo significa essere dj. E dj non significa produttore! Due categorie parallele, intrecciate ma ben distinte anche se oggi si fa molta confusione e spesso si affidano le consolle a produttori che magari hanno fatto un disco di successo ma non hanno granchè idea di tutto quello che ho scritto sopra, e si limitano a suonare le proprie produzioni o i dischi trovati sulle chart di altri dj, scimmiottando qualcun altro, senza avere molta esperienza, una propria personalità, un proprio stile. Insomma, non necessariamente un bravo produttore è anche un bravo dj!
Aggiungo però che per come è il sistema oggi invito tutti i giovani che vogliono mettersi in luce a fare dischi, perché è l’unica maniera per farsi notare dai club, ormai quasi schiavi del dj/producer.
La lista dei club italiani dove hai avuto la fortuna ed il merito di suonare cresce a vista d’occhio, eppure il tuo nome non brilla all’estero tanto quanto qui. Non ti sei ancora concentrato su un “prodotto internazionale”, o il tuo stile è semplicemente più congeniale alla club culture italiana?
Io amo l’Italia e i club italiani, penso che alcuni di essi non abbiamo molto da invidiare ai club stranieri, non a caso molti dj stranieri vengono a suonare da noi molto volentieri (a capodanno erano tutti qua!). Ma sono solo una decina in Italia i veri “top club”, mentre ci sono tanti locali che hanno delle grosse carenze per quello che riguarda l’impianto audio, che non hanno la volontà di costruire a medio lungo termine, che mancano di progettualità e professionalità. Tornando al discorso estero ritengo che il riscontro internazionale dipenda soprattutto da come ti girano le produzioni, dalla label in cui stampi, dal booking della label, dalle pubbliche relazioni che fai e dalle amicizie che coltivi: più la label è forte e più probabilità hai di ricevere richieste dall’estero. Più tempo passi a stringere rapporti con altri producer più è facile crearsi connessioni con le label, più il disco è forte più risonanza hai. Io nasco come dj, ho cominciato molto più tardi a fare anche il produttore, e quindi non mi lamento, ho già fatto diverse date in Spagna, Inghilterra, Germania, Francia, Grecia, Svizzera, Austria, Russia.
Parlaci delle tue “residency” preferite, dove ti senti più “a casa”?
Mi piace molto girare e sperimentare le consolle delle più svariate città cercando sempre di trovare l’aspetto positivo in ogni club e serata che faccio. Ma le mie situazioni preferite sono quella del Guendalina, e quella di Bizzarro. Due situazioni estremamente diverse per grandezza e filosofia ma entrambe speciali ed accomunate dalla stessa parola….”Party” con la “P” maiuscola. La prima, nel cuore del Salento, è un arena da 4000 persone, consolle in alto, situazione stile festival/concerto, urli ad ogni cambio di disco o ripartenza dopo una pausa, si suona fino all alba…sotto al cielo azzurro. La seconda, nella capitale, è un club da 500 persone, raccolto, dall’atmosfera informale, come fosse una festa tra amici, tutti si conoscono, una grande famiglia, tutti si divertono, primi i ragazzi Bizzarro che creano un’atmosfera unica tra loro, il dj e il pubblico.
Sei l’unico artista ad aver suonato due volte al Guendalina all’interno della stessa stagione, cosa che in passato era permessa solo a Ralf. Senti il peso del passaggio di consegna? Vuoi parlarci del tuo feeling col pubblico salentino?
Per me è un onore essere accostato al nome di quel dj, per quello che rappresenta in Italia e per la stima che ho di lui, il fatto di fare due date non mi pesa, anzi mi stimola a far sempre meglio, ad escogitare ogni volta qualcosa di speciale, a selezionare al meglio la musica, a cercare le chicche da suonare all’alba. Io amo il pubblico pugliese ed in particolare i salentini per il calore che mi hanno sempre dimostrato alle serate fatte in questi anni. Si è creata un alchimia indescrivibile, un feeling, ogni volta più forte. E’ per questo che l’anno scorso ho voluto dedicargli anche un remix di una canzone a cui sono molto legati, “le radici ca tieni” dei Sud Sound System.
A giugno 2010 hai inaugurato Etruria beat, label che con tre release all’attivo che può già vantare remix e collaborazioni con artisti del calibro di Lee Van Dowski, Dj W!ld, Felipe Venegas e con giovani talenti come Marco Faraone, Pirupa e Alessandro Sensini. Cosa hai in programma per il futuro? Vuoi anticiparci qualcosa sulle prossime uscite?
A marzo è in arrivo l’etb004, affidato a Marco Faraone e Arado, reduci dal successo del loro EP su Moon Harbour, suonato e supportato da tutti i “big”. Nell ep troveremo oltre alle original version, il remix del patron della Oslo, Federico Molinari e il remix di Alejandro Vivanco, un altro pezzo importante della scuderia Cadenza.
Il cinque febbraio si apre un nuovo grande capitolo della tua carriera. Quella sera infatti si chiuderà il capitolo Echoes per inaugurare la nuova, prestigiosissima, residenza al Titilla. Sei emozionato per l’esser entrato a far parte della crew Cocoricò? Dj set tanto lunghi per te non sono certo una novità. Per l’occasione, però, stai preparando qualcosa di speciale?
Ho sempre ammirato il lavoro del Cocoricò, di sicuro il locale più importante in Italia e più conosciuto all’estero, per i top djs che ci hanno suonato in tutti questi anni e per le tendenze che ha “scoperto e alimentato”. Farne parte adesso con questo nuovo progetto mi rende molto orgoglioso, e mi da un nuovo stimolo per vivere un’esperienza che certamente segnerà il mio percorso lavorativo. La mia presenza due sabati al mese significa dare un’impronta ben definita al profilo musicale del Titilla che vogliamo (insieme ad Andrea Arcangeli) costruire. Sono molto contento di inaugurare la mia residenza avendo tutta la serata a disposizione, con almeno quattro o cinque ore di set, questo permetterà di esprimermi al meglio, facendo onde sonore, salendo e scendendo, come piace a me, toccando più sfumature musicali.