Dopo 3 anni di essenza torna su Items & Things Andrea D’amato, in arte Madato, giovane talento partenopeo che ha fatto della label di Magda, Marc Houle e Troy Pierce la sua dimora artistica ufficiale. Svestite le spoglie dei primi EP in piena era minimal, il nuovo album, di cui si percepisce subito un piglio più maturo e consapevole, si srotola attraverso 11 tracce in cui il vero filo conduttore è la contaminazione e la sperimentazione in tutte le sue forme, miscelando sonorità più strettamente dancefloor a estetiche rock e derive post punk dove frammenti vocali, accordi di chitarra appoggiati su linee di basso in bilico tra dub e dark si mescolano a ritmiche in 4/4 mai scontate. In ogni brano di “Crafted” la chiave di violino fissata sulla tecno deriva verso ambiti più cupi e decadenti dove riecheggiano le note di Ian Curtis e dei sui Joy Division. “17 Miles”, “Oh Lover”, “Make a Chick” per citarne alcuni, sono brani che contengono un infinito musicale fatto da un bagaglio culturale notevole che pesa e si percepisce in ogni struttura.
Abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo per approfondire, scoprire e capire la genesi di un opera complessa e a tratti pretenziosa che davvero non sfigura e si fa apprezzare dall’inizio alla fine.
Partiamo dalle basi, nella tua biografia parli di trascorsi nella musica folk e della passione per la chitarra classica spagnola che spesso usi nei tuoi brani, hai studiato oppure sei un autodidatta?
Fu per colpa di Bob Dylan che un Natale mi feci regalare questa chitarra ma a dire il vero non avevo la minima intenzione di imparare a suonarla. Era giusto perché mi piaceva l’idea di possederne una. Insomma, dopo diversi anni era ancora lì, tutta impolverata, poggiata ad una parete del mio studio e ricordo che era uno di quei pomeriggi in cui ti guardi intorno alla ricerca disperata di un oggetto da utilizzare per registrare qualcosa di diverso. Mi venne in mente di usarla per ricavarne dei suoni di batteria. Nacque così il brano “Slow” contenuto in “Variables”, la compilation su I&T che è uscita qualche tempo fa. Il 90% dei suoni fu fatto con quella stessa chitarra. In realtà per tutto questo tempo non ho mai studiato né, a dire il vero, ho mai voluto addentrarmici troppo; considero la tecnica un aspetto importante che però si allontana dal mio modo di vivere la musica.
Hai iniziato a fare il dj a 14 anni seguendo le orme di tuo fratello. Avere da subito un archivio di musica da cui attingere e studiare è un privilegio e allo stesso tempo il sogno di molti, tu cosa ascoltavi e cosa proponevi all’epoca? Come ti sei avvicinato all’elettronica?
Col senno di poi direi che il vantaggio più significativo fu per me quello di aver conosciuto la musica direttamente attraverso il vinile. Ne ero molto affascinato perché avevo la sensazione di “toccare” i brani che ascoltavo. Grazie a mio fratello dunque avevo accesso continuo alla musica house dei primi anni 2000 ma non furono quelli i primi dischi che iniziai a mixare. L’hip-hop a quei tempi mi sembrava bellissimo. Ricordo che compravo dischi veramente incazzati. Durò poco in ogni caso, almeno fino a quando in casa trovai un giorno “DE9 Transitions” di Richie Hawtin.
Prima di Items & Things ci sono due trascorsi in piena era minimal, il primo sulla netlabel Exprezoo Records nel 2007 con l’EP ora introvabile “First Fragment” e il primo 12” nel 2008, “Mercado Populare” sulla cometa napoletana Mosaiko Musik insieme anche a Rio Padice, Joseph Capriati, Lucio Acquilina, Dokser. Se ti guardi indietro, quanto e in che modo è cambiata la tua musica e il tuo modo di fare musica?
Non li dimenticherò mai. Ad un certo punto mi dissi che avrei voluto farli io i dischi che compravo. Fu così che iniziai. Gli anni dal 2004 al 2006 furono i migliori per quel che riguarda il genere in questione. Ne fui influenzato tantissimo perché c’era in quelle produzioni qualcosa di veramente nuovo. La mia musica suppongo sia cambiata da quelle due release, ma questo principalmente perché sono i tempi ad essere cambiati. La tecnica almeno lo è di sicuro. Credo che in qualsiasi forma d’arte gli artisti debbano essere consapevoli dei tempi e degli spazi che li circondano per raccontare la realtà a modo loro. Ripensando adesso al passato, a quel passato, penso sia rimasto in me qualcosa che ancora oggi spero non mi abbandonerà mai ed è appunto la consapevolezza dei tempi e il tentativo talvolta di provare ad anticiparli un pochino.
Nel 2008 a Ibiza Troy Pierce ti folgora e al rientro in Italia cominci a lavorare su nuovi brani con l’obiettivo, perfettamente raggiunto, di entrare nel rooster Items & Things ufficializzato nel 2011 con il primo EP “Speak Of The She Devil”, passando per una prima apparizione con la traccia “The Night’s Rumors” nel Fabric 49 di Magda datato 2009 che ci fa supporre una collaborazione iniziata già qualche anno prima. Determinazione, competenza, lavoro duro e pianificazione sono sicuramente i componenti chiave di questo grande risultato; musicalmente e artisticamente c’è qualcosa a cui hai dovuto rinunciare e/o strategie che hai adottato per definire e costruire il suono adatto alla label?
Potrei parlare di questo per ore perché c’è tanto da raccontare. Moltissima determinazione, moltissimo lavoro duro, moltissima pianificazione. Infinita voglia di raggiungere il mio obiettivo, tutto vero, ma la realtà è che all’inizio non pensavo nemmeno di poter fare un disco con loro, questo avvenne dopo. All’epoca Items & Things era ancora parte di M-nus e quindi “per pochi” solamente. No, io in realtà volevo solo che Troy e anche Magda potessero ascoltare i miei brani e apprezzarli al punto tale da volerli suonare. Perché proprio loro? Perché quella sera a Ibiza mi sembrava tutto perfetto: la musica, le luci, le scritte e loro due che si alternavano in consolle. Ricordo tutto. Lasciai che quella serata diventasse la mia vera grande ispirazione dandomi così modo di costruire il mio suono che poi si rivelò essere adatto all’etichetta. Quindi sì, direi che le cose iniziarono ben prima del 2011, più o meno verso la seconda metà del 2008 quando ero ancora nei miei 19 anni e mi proposero di fare un disco sulla loro etichetta.
L’11 settembre esce “Crafted” il tuo primo album di cui hai curato anche la grafica, un disco evocativo e ambizioso che mescola house/techno/rock/dub in un sogno vivido alla David Lynch, sospeso tra il dancefloor e le atmosfere di Bauhaus e Ian Curtis in un vero e proprio caleidoscopio sonoro. Qual è stato il tuo approccio? E’ un progetto nato a tavolino oppure una serie di brani che hai semplicemente deciso di raggruppare in un lavoro coeso?
Venivo da un periodo musicalmente deprimente, nel senso che tutto quello che registravo non mi dava alcun piacere nel riascoltarlo. In genere la cosa non mi preoccupa se si tratta di 5/6 mesi al massimo. Però ricordo che dall’uscita di “Portraits” nell’aprile del 2012 ebbi un blocco totale che mi spaventava e che non riuscivo a superare. Intorno all’estate del 2013 ero infastidito dal non riuscire più a lavorare come volevo. Un giorno per caso riscoprii un vecchio multi-effetto della Roland che avevo dimenticato di avere. È banale ma iniziai a riutilizzarlo e le idee cominciarono a scorrere di nuovo, rompendo quella routine piatta e asfissiante. Scoprii che mi piaceva utilizzare quegli effetti con la mia stessa voce. Iniziai a registrare freneticamente suoni, sintetizzatori, chitarre, trombe, percussioni. Comprai un basso elettrico a buon mercato e un microfono nuovo. Cercavo di usare tutto quello che avevo accumulato col tempo nel mio studio, improvvisando molto e sfruttando quasi tutte le prime, senza troppe accortezze nel metodo di registrazione. E poi, per ogni brano finito, ne facevo un piccolo disegno. Il tutto durò poche settimane, però alla fine avevo un certo numero di tracce che, un volta messe insieme, in qualche modo, avevano un senso.
Cosa ti aspetti dopo l’uscita del disco? Seguirà anche un tour di lancio?
Non saprei… diciamo che non mi aspetto sicuramente di diventare famoso! Piuttosto mi auguro di vendere molte copie. Vorrei che la gente ascoltasse e comprasse questo disco perché l’ho fatto davvero col cuore. Sul tour ci stiamo ancora lavorando e ammetto che un giorno mi piacerebbe poterne fare uno tutto italiano.
Raccontaci qualcosa di basso livello, come hai realizzato l’album? Come nasce una delle tue tracce? Quali sono i tuoi strumenti principali hardware/software?
Credo di aver già risposto senza volerlo due domande fa?
Parlando dei mostri sacri di I&T, Magda, Troy e Marc ti hanno aiutato/ispirato/influenzato in qualche modo nella realizzazione del disco? Cosa si prova a lavorare per un’etichetta così importante e influente?
C’è da imparare tantissimo da ognuno dei tre. Marc è semplicemente geniale: senza di lui probabilmente quest’album avrebbe reso praticamente la metà. Insieme abbiamo mixato tutte le tracce per giorni interi nel suo incredibile studio a Berlino, poche persone al suo posto lo avrebbero fatto. Troy e Magda allo stesso modo sono sempre stati un supporto fondamentale e un punto di riferimento per tante cose, spesso anche al di fuori della musica. Stessa identica cosa per il mio grande amico Danny Benedettini. Mi sento fortunato ad aver condiviso con loro tanti momenti, tante esperienze e tantissime avventure. Insieme abbiamo spinto l’etichetta in molte direzioni; sono legatissimo ad Items & Things così come lo sono a tutti loro. D’altronde credo sia abbastanza chiaro dal momento che ho scelto di non pubblicare dischi altrove negli ultimi 6 anni.
Tra le tue produzioni qual è la tua preferita e perché?
Sono molto legato a “Model 27” e “She Dancer” perché rievocano in me molti ricordi. Allo stesso modo tutti i brani di “Crafted” nei quali mi rivedo musicalmente più maturo.
Se dovessi dare un consiglio a un giovane che come te decide di iniziare la carriera nella musica elettronica quale sarebbe? Se dovessi dirgli cosa non fare quale sarebbe?
Qualche tempo fa gli avrei detto di porsi un obiettivo, lavorare sodo e cercare di raggiungerlo a tutti i costi. Oggi gli direi di non perdere tempo a spedire tracce in giro e di trovare qualche soldo per auto-prodursi e creare un proprio concetto, non credo servano molte risorse. Tante etichette si dicono troppo impegnate per ascoltare roba nuova oggi e finiscono così col risultare dei circoli chiusi, elitari, escludenti: è terribile per chi si affaccia a questo mondo! Gli direi di non fare compromessi con nessuno e che il digitale paradossalmente non è il futuro della musica. Gli direi infine che se crede davvero in quella sua idea, allora non c’è nessuno che possa influenzarlo ad agire diversamente.
Ultima domanda, 5 brani che consideri un riferimento e perché:
Neu!- Hallogallo, questo per me rimarrà il brano perfetto per sempre.
Guy Cuevas – Ebony Game, ogni volta che la ascolto mi fa venire proprio la pelle d’oca.
CAN – Your Friendly Neighbourhood Whore, il modo in cui i suoni si mescolano tra di loro è bellissimo.
Cabaret Voltaire – Gut Level, mi ricorda che la musica è fatta per sentirsi liberi di farla così come la si vuol fare.
Syclops – Where’s Jason’s K, perché avrei voluto farlo io un pezzo così. Wow!