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[tab title=”Italiano”]Era il 1992 quando la Warp pubblicò un disco con una cover che ritraeva un robot sdraiato sulla poltrona del salotto di casa ascoltando musica di Pink Floyd e Kraftwerk – ricordo anche che mio padre aveva lo stesso stereo, identico! Quel disco ha segnato la storia della musica elettronica in quanto è uscito mentre c’era qualcosa nell’aria che avrebbe portato a dei cambiamenti. A Detroit si faceva una musica nuova e dal vecchio continente qualcuno aveva le orecchie tese. Jochem Paap aka Speedy J, assieme ad altri colleghi, è stato uno di quelli che hanno traghettato quel nuovo stile, lo hanno plasmato e diffuso in tutta Europa. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con il nostro olandese mentre a giorni Electric Deluxe celebrerà il sesto anno di attività dalla fondazione, esattamente il 26 aprile al Maassilo a Rotterdam. Pare che sarà una di quelle serate indimenticabili, con una lineup da urlo, se all’ultimo decidete di salire su un aereo, qui trovate i biglietti (non dell’aereo però) e le informazioni del party. Prima di partire, leggete cosa Jochem ci racconta sul suo metodo di lavoro – come quello di creare degli incidenti sul percorso – la sua idea del suono e qualche aneddoto sulle passate pubblicazioni e il futuro della label.
Artificial Intelligence è stata una delle prime cose che ho ascoltato da giovane quando ho iniziato ad interessarmi all’elettronica e adesso mi trovo a parlare con uno dei ‘classici’ dell’elettronica contemporanea, wow!
Ne è passato di tempo, eh?
Eh sì! Bene, a quanto pare state per festeggiare il sesto compleanno della label e ci racconterai cosa sta succedendo da quelle parti. Ma prima vorrei iniziare con te e la tua musica, partendo da quello che considero il marchio di fabbrica del tuo stile: questo suono tridimensionale in cui ci troviamo immersi ogni volta che ascoltiamo le tue produzioni. Una dimensione 3D, senza voce, percussioni, solo puro suono elettronico…
Personalmente ritengo che la mia musica non sia necessariamente qualcosa che si possa memorizzare o canticchiare. Nel mio caso si tratta di più di costruire uno dimensione spaziale vera e propria in cui l’ascoltatore sia trasportato. Ad essere sinceri, è stato questo il vero motivo per cui ho iniziato a fare musica, dal momento che ho sempre avuto un’impostazione visiva alla creazione. Me la porto dietro da ragazzino, quando disegnavo molto. Inoltre penso che una delle qualità più importanti di quella che definiamo musica ‘astratta’ sia di riuscire a creare qualcosa che non sia esattamente spiegabile a parole o con dei significati precisi, ma che lasci invece molto spazio libero per l’interpretazione da parte di chi ascolta. Quindi in particolare quel genere di musica elettronica che non prevede strumenti reali, voci o comunque qualcosa di tangibile, obbliga l’ascoltatore a crearsi un immaginario visivo, che può essere interpretato da ciascuno in maniera diversa. Invece di dare un indizio chiaro e diretto sui contenuti e le intenzioni, con la musica elettronica tutto quanto viene lasciato alla libera interpretazione. Ed è questo aspetto della musica e dell’arte in generale che più mi appassiona! Personalmente trovo molto meno interessante una produzione artistica perfettamente intelligibile, con dei confini netti e un’identità ben distinta piuttosto che qualcosa che mi lasci l’opportunità di immaginare le parti mancanti, mi spiego?
Chiaro! E dal momento che hai tirato in ballo questa forte propensione visiva nella tua musica, ritengo che si tratti di creare dei veri e propri paesaggi sonori, argomento che ci porta dritti ad Umfeld. Un caso in cui immagine e musica si intersecano l’una nell’altra. Come è avvenuto il processo, è la stata la musica a suggerire le immagini, o ne è stata una propagazione?
Le due cose sono andate avanti praticamente contemporaneamente. Ho conosciuto Scott Pagano da alcune sue realizzazioni che avevo trovato online, dato che ero alla ricerca di qualcuno che avesse lo stesso approccio all’arte figurativa che io avevo per la musica. Quindi qualcosa che non volesse dire immagini precise con soggetti definiti, ma un flusso libero a livello interpretativo, strettamente legato all’andamento e al mood, quindi connesso al mio stile musicale. Durante la fase di produzione, io realizzavo delle bozze dei suoni e le passavo a Scott perché potesse farsi un’idea su come tradurli in immagini. A sua volta, mi mandava le sue idee sul materiale visiva, quindi facevo delle modifiche alle tracce audio per adattarle meglio alle sue proposte. Alla fine è stato un lavoro a doppio binario, realizzato in parte in studio e in parte in remoto. Nonostante tutto, l’idea di base del progetto – il formato dolby sorround – che permettesse di usare un’informazione spaziale dei suoni, purtroppo non è stata recepita da molte persone. E considera che il formato 5.1 è ormai sul mercato da almeno 15 anni! Come sistema di codifica viene utilizzato in ambiti specifici, come installazioni o progetti artistici, in quel caso in maniera decisamente astratta ed accademica. Dall’altro lato viene impiegato massicciamente in contesti come produzioni video e teatrali. Mentre invece per tutto quello che si colloca nel mezzo, parlo quindi della musica che si ascolta regolarmente, nessuno praticamente utilizzava il dolby 5.1 nel modo che ritenevo possibile. Ci sono registrazioni di concerti in 5.1 – come i Pink Floyd – anche con la musica pop sono uscite registrazioni, concerti e DVD in 5.1. Ma, a mio avviso, senza mai realmente esplorando il formato nella sua globalità fino ad arrivare alle possibilità estreme offerte dall’informazione spaziale del suono nella musica elettronica. Per questo ho voluto realizzare Umfeld, anzi è stata l’unico motivo, non avevo altri piani. Mi hanno supportato alcune persone che si occupavano di realizzare dei software specifici appositamente per me su piattaforme come Max/MSP e Reaktor – poi anch’io mi sono occupato di alcune elaborazioni – perché potessi sfruttare al meglio il dolby. Oggi ci sono abbastanza funzioni che permettono di missare in 5.1 – ad esempio in Logic – ma quando me ne sono occupato io nel 2007 quegli strumenti non esistevano ancora e ho dovuto inventarmi qualcosa da zero per poter arrivare al risultato che avevo in mente.
Ad essere sinceri, anche se non si dovesse utilizzare un 5.1, l’impatto è comunque imponente…
Interessante! Anche se sinceramente ho voluto che il DVD fosse solo in 5.1, perché la differenza tra i sistemi stereo e 5.1 è enorme. Con un formato stereo si può suggerire un’idea di spazialità del suono, ma nei fatti l’unico elemento è la doppia fonte – destra e sinistra – tra i due speaker. Quindi in realtà la dimensione è una sola ed è lineare, non si tratta esattamente di un campo sonoro. Ma se si aggiungono più di due fonti, si crea effettivamente una dimensione più ampia, non una linea. È una differenza enorme, in quanto in questo modo non si da l’idea di una prospettiva, ma effettivamente il suono viene trasmesso in tutte le direzioni dello spazio, in una dimensione tridimensionale. Non si tratta semplicemente di dare un’impressione come quando si registra in stereo, perché, anche se il suono può risultare molto esteso, in questo caso è solo un percezione sfalsata della mente. Invece con più di due speaker, si ottiene un campo 3D in cui espandere il suono in tutte le direzioni e non solo da una fonte.
Tornando ancora sulle associazioni visive, trovi che l’esplorazione tra arte figurativa astratta e suono, sia un campo ancora tutto da scoprire per la musica elettronica?
Considera che la combinazione di arte e musica è vecchia tanto quanto ciascuna disciplina. Se pensiamo al teatro, in fondo non è che la rappresentazione visiva una storia. Quindi si tratta di una storia che si porta avanti da molto tempo. Ma se parliamo di elettronica sono convinto che ci sia ancora molto da scoprire e da sperimentare, perché i livelli su cui possono interagire le due arti sono innumerevoli. In alcuni casi il suono può ricopre il ruolo principale a cui poi si aggiungono una componente visiva, oppure viceversa, come in un film, dove la funzione della musica è puramente di supporto all’immagine in movimento. I margini di azione sono molti e la connessione è stretta, perché poi alla fine cos’è un film se non un prodotto audiovisivo? La musica agisce nel subconscio, mentre il primo senso a recepire e tradurre le emozioni è la vista; le orecchie invece agiscono più indirettamente. Possiamo accorgerci della differenza se togliamo l’audio ad un film, ci accorgiamo che ci manca tutto. Si possono fare anche altri tentativi, cercando ad esempio di oltrepassare la percezione visiva con una dimensione sonora preponderante. Presentando quindi le immagini in modo che risultino più di contorno e focalizzando invece l’attenzione sulla musica, al posto di agire al contrario. Quindi le possibilità sono molte. Senza considerare quanto anche l’ambiente circostante in cui viene recepita la musica influenzi la nostra capacità di ricezione. Diversamente da quando siamo seduti davanti ad uno schermo e siamo costretti a seguire delle immagini, queste possono essere indefinite e far parte dell’atmosfera circostante, come accade con la luce.
In effetti, se pensiamo a quanto sia importante lo studio delle luci in situazioni live e per la musica di stampo ambient. Pensi che contribuisca a creare un’esperienza di ascolto ancora più completa?
Sì, come ti dicevo, le possibilità di dialogo tra le due discipline sono talmente tante che ogni volta è interessante scoprire quale sarà il risultato finale e l’effetto sul pubblico che ascolta e guarda.
Veniamo a qualche cosa di più tecnico: cosa succede nel tuo studio, come è organizzato? Vero che quello che conta non sono i mezzi ma il risultato, ma ci dici cosa usi, se più strumentazione analogica, synth e tutto il resto o più computer e sequencer?
Uso di tutto! Negli ultimi 30 anni passati a fare musica ho provato di tutto. Mi ritrovo con tonnellate di attrezzatura analogica e digitale, controller, mixer, synth modulari, dai classici Roland, ARP, Korg, Filterbank, veramente tanto tanto materiale! Per me la questione non è però di avere a disposizione tanti strumenti, quanto piuttosto concentrarmi su poche cose e cercare di portarle al limite delle potenzialità. Si tratta di sperimentare il più possibile per arrivare ad ottenere un risultato unico per il modo in cui ci sono arrivato. Ad esempio non uso mai preset, penso che siano la morte della musica. Usando preset non si fa altro che scorrere intere librerie di suoni che qualcun altro ha creato, mettendole insieme finché non si ottiene qualcosa di soddisfacente. Non si tratta quindi di procedere con idee proprie, quanto piuttosto di cercare qualche idee! Il mio metodo di lavoro è esattamente l’opposto, mi organizzo con pochi strumenti e provo e riprovo finché non esce qualcosa di buono, traendo musica da quelle che sono le mie idee e con mezzi il più possibile ristretti. Funziona come metodo perché mi costringere ad esplorare e a superare i confini e le limitazioni tecniche. Poi è lì che sta il bello! Per il resto il mio approccio non è così tecnico, anche se conosco molto bene ormai le questioni di sintesi ed elaborazione del suono, ma in sostanza, la maggior parte del lavoro – quella più divertente – è mettersi a tavolino e scoprire le nuove possibilità e spostare ogni volta la linea di confine un po’ oltre. Per noi che facciamo elettronica, ovviamente la tecnologica è una componente obbligatoria, ma la differenza dipende dall’approccio che si ha nei confronti del mezzo. Per questo considero il mio studio come il secondo membro di una band. Anche perché facendo musica da soli, non si ha un feedback esterno. Quando si improvvisa all’interno di una band, c’è qualcosa nell’aria che lega tra loro i componenti, il cosiddetto X-factor. Mentre quando si fa musica da soli, manca il lato umano, che cerco di sostituire appunto facendo finta che lo studio sia uno dei membri, per quanto sia possibile farlo con consolle e controller. In una sessione di studio cerco di dar vita a delle circostanze in cui si verificano degli eventi occasionali. In pratica imposto gli strumenti in maniera tale che, qualsiasi cosa faccia, ci siano sempre delle variabili che permettano di avere una situazione in costante evoluzione. In questo modo il 50% è controllato da me e il restante 50% è lasciato completamente al caso, dovuto ai parametri con cui ho impostato gli strumenti. Quindi, tolto il controllo umano, rimane uno spazio enorme in cui il processo di produzione può andare in qualsiasi direzione e possono capitare cose strane e inaspettate, come se lo studio avesse una vita propria. È la mia strategia e mi piace quando gli studenti reagiscono in maniera casuale, così si possono verificare interessanti imprevisti sul percorso. In questo sistema le cose possono anche andare storte o cambiare direzione senza il mio diretto controllo.
Uomini contro macchine, eh? Nonostante tutto la tecnologia ha risolto una serie di costi e metodi che hanno permesso a molte più persone di avvicinarsi alla composizione. Anche se poi rimangono molte difficoltà, perché ovviamente attrezzatura e software sono spesso molto complicati. Però a volte è come se obbligasse ad utilizzare parametri standard, che possono influenzare la creatività, no?
Beh sì, ci sono molti programmi – Ableton ad esempio – che si possono usare per funzioni e in circostanze diverse. Si possono usare esattamente come ho spiegato, cambiando molti plugin, usando molti fader per creare imprevisti, altrimenti si possono anche usare semplicemente a blocchi con un impianto preconfigurato. In questo caso trovo però che sia come disegnare con i numeri, hai presente quei disegni in cui usi i colori in base ai numeri? Ecco, è la stessa cosa con Ableton: prendi un loop, un basso ed è esattamente come usare i numerini. Detesto la musica in cui praticamente tutto è così diretto e scontato, che non bisogna nemmeno fare un minimo di fatica a capire il discorso! Quello che mi interessa è invece quando ti metti le mani nei capelli e ti chiedi che diamine sta succedendo, da dove arriva la musica, dove mi trovo..questo sì, mi piace! Si può fare con qualsiasi strumento, ma serve un metodo!
Era a questo che pensavi quando ti sei occupato di programmare Kreate?
In realtà mi è stato chiesto dall’azienda di elaborare una serie di librerie di suoni. La mia libreria personale è enorme ed è il frutto di 20 anni di lavoro e ricerca. Ho accettato la proposta e mi sono messo a fare una selezione delle varie cartelle per raggrupparle e ottenere un’unica libreria. Ci sono strumenti standard come kick, hi-hat, però ho costruito il resto dei suoni in modo tale che potessero essere modificati in maniera – diciamo – più astratta. Con gli arpeggiatori si possono cambiare radicalmente le funzionalità degli strumenti con pochi aggiustamenti. Ogni suono è modificabile, qualsiasi strumento con un arpeggiatore può essere usato per impostare un lead, o una percussione in pochi passaggi. Ho voluto in questo modo incoraggiare la creatività dei producer e la loro capacità di sperimentare con i suoni. Il programma ovviamente può essere usato in modalità base senza molti cambiamenti, oppure sfruttando tutte le possibilità offerte dagli strumenti da quello che ho fornito unicamente come punto di partenza.
E quando passi alla performance live, hai delle regole precise per passare dallo studio allo stage?
Tutto sommato quello che faccio sul palco non è molto diverso da quello che fanno gli altri. Utilizzo Traktor e Ableton, ma il metodo è più da live che da dj set. Per come si è sviluppato il mio percorso, è solo da una decina di anni che utilizzo anche tracce di altri nei miei set. Prima invece ho solamente usato la mia musica, per cui tendo a creare direttamente sul momento, improvvisando liberamente con apparecchiatura che ho impostato all’occorrenza. Improvviso molto, uso dischi, miei strumenti, loop, drum machine e tutto quanto ma non so mai esattamente cosa potrebbe accadere. Ho bene in mente quello che avviene nei primi dieci minuti, questo sì, sento come reagisce il pubblico, che atmosfera si crea, prendo una direzione e da quel momento si passa nell’ignoto. È l’unico modo che conosco per rendere la cose realmente emozionanti, perché, se si arriva con molto materiale già pronto, poi non si potrà cambiare un granché durante la performance. Per me conta il momento, non mi interessa suonare una traccia in particolare o per forza fare un determinato mix, tutto sta nel saper reagire al mood del pubblico e giocarci di conseguenza.
Ora qualcosa sui tuoi album, mi piacerebbe in particolare che ci ricordassi qualcosa del clima che si respirava quando, nei primi ’90, Warp faceva uscire i dischi di Artificial Intelligence. In pratica è successo che avete preso le novità che arrivavano da Detroit, le avete lavorate e diffuse in tutta Europa. La cosiddetta second-wave…
Prima di tutto ricordiamo che eravamo all’inizio degli anni ’90, non c’erano quindi internet e cellulari e il canale principale per cui il pubblico veniva a conoscenza delle novità musicali erano in pratica esclusivamente magazine e programmi radio. È un aspetto mica da poco, perché al tempo le cose per svilupparsi e prendere piede avevano bisogno di molto più tempo rispetto ad oggi. Succedeva che quando si scopriva qualcosa di interessante, si iniziava la ricerca che significava andare nei negozi di dischi o ascoltare programmi radio particolari che potevano trasmettere quello che si stava cercando. Era molto più complesso che oggigiorno, quando possiamo invece trovare tutto quello che desideriamo in pochi millisecondi, però di contro in quel periodo c’era il fascino della scoperta. La scena di allora era anche molto più ristretta di oggi e tutti noi che erano attivi in quel momento non avremmo mai immaginato che sarebbe letteralmente esplosa pochi anni dopo! Ci sentivamo come degli esploratori alla scoperta di una piccola nicchia musicale e cercavamo da veri entusiasti di portare queste novità nella nostra musica. Nessuno di noi aveva manie di grandezza o pensava di diventare una star, anzi non avevamo nemmeno idea che quello che facevamo avrebbe avuto un seguito, però eravamo presissimi! All’inizio eravamo in pochi, un po’ underground, e abbiamo subito percepito una profonda sintonia tra tutti noi. In poco tempo siamo arrivati anche al grande pubblico. Rob Mitchell della Warp si era reso conto che quello che stava accadendo nei club era qualcosa di nuovo e che meritava un’attenzione particolare. Pensava che quella musica poteva essere portata anche nel salotto di casa. In quel periodo uscivano molti dischi con una traccia rave sul primo lato e sul secondo magari una traccia ambient, come ad esempio i dischi di Aphex Twin, LFO, Autechre, i miei e anche di altri produttori di Detroit, che scrivevano musica più da ascolto e non solo per il dancefloor. Quindi Warp ha saggiamente messo insieme tutte queste tracce, una sorta di variante d’ascolto della musica dance e le ha portarte sul mercato per l’ascolto ‘domestico’. Una mossa intelligente, in seguito, dopo la prima release di Artificial Intelligence – quella verde – una compilation, Rob ha chiesto a ciascuno degli artisti coinvolti di pensare alla pubblicazione di un album solistico. Quelli di Warp sono stati i primi a pensare che questo genere potesse trovare spazio nel mercato degli album, prima esistevano solo 12’’ reperibili esclusivamente in negozi dedicati, indirizzati ai DJ. Loro invece hanno voluto portare questa musica di nicchia ad un pubblico molto più vasto.
Roba da veri pionieri! Quindi dopo la Warp sono usciti Ginger e G Spot per Plus 8, per arrivare al nuovo millennio con A Shocking Hobby su NovaMute. Vedi questo percorso come un cammino progressivo, oppure c’è stato un punto di rottura in un momento, magari con Loudboxer?
Beh le cose cambiano e meno male! Uno degli aspetti più interessanti delle arti e della musica, come processo di emozioni, è da sempre la dialettica azione/reazione. Esistono persone che escono fuori dalla massa e reinterpretano cose che sono state inventate in precedenza, aggiungendo una visione personale, in questo modo altre artisti in futuro saranno influenzati e così via. Quindi, in pratica, è come se ci fosse una sola grande massa di idee tutte in relazione l’una con l’altra. Esattamente come in una conversazione, è una realtà in costante evoluzione. Nel mio caso, il fatto è che sono una persona che si annoia facilmente, quindi, non appena ho esplorato un nuovo territorio, il mio lavoro è finito e devo passare ad altro! Mi sposto allora in ambienti sconosciuti e in cui mi interessa muovermi e fare esperienza. Ecco cosa è successo con Plus 8, NovaMute, poi con le collaborazioni con Chris Liebing, un maestro del dancefloor.
Ecco, proprio di Chris Liebing vorrei mi parlassi, di sicuro è stata un’esperienza pazzesca…
Sì, quando ci siamo conosciuti, tra il 2005 e il 2006, suonavamo spesso alle stesse serate. Così siamo diventati amici e abbiamo deciso di lavorare insieme. Ho partecipato a questa serie di collaborazioni per NovaMute, chiamata Collabs, assieme ad Adam Beyer, Literon e George Issakidis. Una volta insieme in studio, Chris ed io ci siamo accorti che andavamo velocissimi ed eravamo estremamente produttivi, quindi arrivare all’album è stato un passaggio naturale, proprio perché è stato semplicissimo. In sostanza i nostri percorsi si sono incrociati nel momento giusto: Chris voleva imparare più cose sulla produzione in studio e io invece volevo avere più nozioni come dj. Quindi ci siamo aiutati a vicenda, io per lo studio e Chris per il djing. Veramente, è stato il momento eccezionale, ci siamo divertiti moltissimo insieme e anche oggi abbiamo un ottimo rapporto. Anche live, insieme abbiamo quella marcia in più!
Ancora differente l’esperienza con Lucy, con cui lo scorso anno hai pubblicato Zeitgeber lo scorso anno. Come sono andate le cose questa volta?
Con Lucy è stato memorabile! Qui in Olanda organizziamo molte serate con Electric Deluxe e spesso invitiamo alcuni ospiti con cui poi è interessante affrontare una sessione in studio insieme. Con Luca è andata così. Era la prima volta che arrivava in Olanda quando lo abbiamo invitato. Anche se non ci eravamo ancora conosciuti di persona – ci eravamo parlati solo via mail – quando gli avevo chiesto se fosse interessato a fermarsi un po’ dopo la performance per divertirci insieme in studio, aveva accettato. Conosceva bene la mia musica – e ovviamente io conoscevo bene la sua – ed avevamo tutti e due una grande stima l’uno dell’altro. Abbiamo pensato che fosse una buona idea provare, quindi il giorno dopo il concerto siamo andati in studio. Lì ci siamo incontrati per la prima volta. Ci siamo messi subito al lavoro, non ci siamo detti molte cose, non avevamo un piano vero e proprio, ma siamo andati dritti filati senza sosta. Abbiamo sentito quello che è venuto fuori, ci è piaciuto…ed ecco l’album! Terminato in tre/quattro giorni, facile no?
L’abbiamo solo citata, senza parlare ancora di Electric Deluxe, che sta per festeggiare il sesto compleanno tra pochi giorni. Sulla piazza dal 2008, ha rappresentato negli anni una sorta di terreno di prova – una piattaforma piuttosto che una label – per musicisti emergenti. Come stanno andando le cose in casa Electric Deluxe e dove vi state espandendo al momento?
Abbiamo una distribuzione a livello mondiale, con un distributore di stanza a Berlino e un negozio online che vende ovunque, non in un territorio in particolare.
Mi piace l’espressione che usate quando parlate di musica elettronica che sia funzionale ma anche cerebrale, ci puoi spiegare qualcosa in più?
Penso che stiamo facendo qualcosa di diverso dalle altre etichette techno: molte di queste hanno creato attorno al nome un sound di riferimento, uno stile particolare che spesso è connesso ad un club – vedi Ostgut e Berghain – e tutti gli artisti che producono con loro devono in qualche modo rifarsi a quello stile. Noi invece facciamo all’esatto opposto e vogliamo che Electric Deluxe sia una piattaforma per persone che vogliono sviluppare le loro idee. Quindi incoraggiamo quelli che pubblicano con noi perché facciano delle scelte in base a quello che piace veramente a loro e non a quello che potrebbe piacere a noi. Preferiamo che ognuno esprima se stesso e sviluppi la propria personalità al massimo livello possibile. In sintesi quello che conta è ciò che rende la musica interessante, per cui non si può essere più unici se non si confida pienamente nelle proprie intenzioni. Quando invece si obbliga un artista a muoversi in uno spazio vincolante, non si potrà mai ricavare tutta l’unicità che la sua musica può esprimere. Quindi faccio il possibile per far sentire le persone a proprio agio e la mia attività consiste solo nel facilitare le cose. Solo così un artista potrà un giorno veramente crescere e distinguersi.
Quindi al centro non c’è la label, ma la personalità del musicista. Si è aggiunto qualche nuovo membro alla famiglia di recente?
Usciranno alcuni album quest’anno, tra cui il duo inglese AnD. Si sono uniti recentemente ed hanno recentemente pubblicato Kundalini, ora sono al lavoro su un nuovo album. Poi abbiamo Giorgio Gigli, anche lui ha un album in arrivo per Electric Deluxe, ancora Subjected e infine Lucy, che sta preparando altre collaborazioni. Direi che c’è abbastanza fermento!
E poche settimane fa BlackAsteroid ha pubblicato Metal…
La sua è in sostanza una trilogia intera uscita per Electric Deluxe, il primo album è stato Black Acid, quello con la cover nera, il secondo bianca e ora abbiamo Metal con una cover grigia. Quindi nero, bianco e grigio a formare una completa trilogia rappresentativa della sua musica. L’ultimo album comprende anche i remix di Luis Flores e Pinion. Mi fa piacere avere un artista come BlackAsteroid con noi, le sue produzioni hanno una forte identità, trovo che nessuno abbia uno stile come il suo, neanche nell’aspetto, un po’ glam: la sua è techno ma non suona come la classica techno!
Bene, passiamo al vostro party! Pare che ci siano dei nomi importanti che si uniranno a festeggiare, come l’istituzione berlinese Ben Klock, assieme a Blawan ed altri…
Sì! Abbiamo trovato questa location bellissima a Rotterdam, un ex-silos granaio che può ospitare qualcosa come 4.000 persone e sono sicuro che lo riempiremo. Quella sera si celebra anche la King’s Night, una festa nazionale in Olanda, quindi la gente è libera e – soprattutto – può dormire il giorno dopo. Fin dalla fondazione, sono sei anni ormai, organizziamo serate in Olanda e in tutto il mondo, ad esempio quest’anno saremo all’apertura ufficiale del Movement di Detroit e il giorno facciamo uno showcase in un club di NY, il Verboten. Siamo poi invitati a suonare in altri festival in giro per il il mondo, senza dimenticare che abbiamo la nostra serata ufficiale al Berghain. Che dire, siamo pieni di impegni![/tab]
[tab title=”English”]It was 1992 when Warp Records released an record with a robot lying down on an armchair in the living room listening to music by Pink Floyd and Kraftwerk (and I remember my father had exactly the same stereo). It marked a crucial milestone in the history of electronic music as things during that time were about to change. Back in Detroit some artists were setting a new tone and Europe was listening. Jochem Paap aka Speedy J, along with other colleagues, took up the challenge and defined that new sound in the old continent as well. We caught up with the Dutch musician some days before Electric Deluxe 6th anniversary, fixed on April 26th at Maassilo in Rotterdam. Featuring an exceptional lineup of artists, a huge party is coming ahead, so check here to find tickets, in case you want to join them. Before that, read as Jochem tells us something about his working method, like the thing about creating what he calls ‘sudden accidents’, his very own concept of sound, old stories behind earlier releases and about the future of the label.
It’s a real pleasure to have this interview as I have to tell you Artificial Intelligence has been one of the earliest electronic records I listened to when I was young and now I get to speak with one of the ‘classics’ – let’s say – of contemporary electronic music. Cool!
It’s a long time ago, eh?
Definitely a long time! So looks like someone’s going to have a party quite soon and we’ll talk about that, but first I want to start with you! I’d like to begin then with your very own concept of surrounding sound. When listening to your music I get the feeling that we are sort of immersed in a 3D dimension. No vocals, no drums, it’s just pure electronics…
Well, I see the music that I make as not necessarily something you can memorize or something you can sing along with, but the stuff that I do is more like creating a place where you can be transported if you listen to it. And, to be honest, that is the reason why I got into music in the first place. When I was a kid I used to be more visually oriented, like – you know – with drawing and painting. More visual stuff. But I think that the special quality of abstract music is the fact that you can create something without telling in words or in very pronounced ways what it’s actually about, but you can leave a lot of space open for interpretation for the listener. So especially electronic music with no real instruments, no vocalists and nothing we know from the real world, obviously creates a kind of imaginary landscape, which can be interpreted by the people who listen to it in a personal way. Instead of giving somebody a very clear or direct clue of what the work is about, with electronic music you make it more open for interpretation. And that’s the thing that attracts me in music and art in general! If someone gives me something which is very concrete, that has a very strict border or has a very defined identity, I think it’s less interesting than when someone gives me the opportunity to imagine the blank parts, right?
Right. As you mentioned the visual orientation of your music, I think it’s about creating kind of soundscapes. This leads us straight to Umfeld, a project consisting of images music blending together. Is that the case in which music comes from visual ideas, is that how sound is brought to you? I mean you figure it visually and than you come out with the music?
Yeah, it was produced almost at the same time. I found Scott Pagano through his work that he published online and I was looking to someone with an approach in visuals that was very similar to the way I think about music. So something which is not clear pictures with a clear subject, but more something which is also open for interpretation. Very atmosphere-driven and very mood-driven, so something that would connect to the way I make music. During the production process of Umfeld I usually made a sketch of sound and then I would give it to him to come up with some ideas, how to visualize it. Than I got his ideas back like a rough sketch of the visuals and sometimes I made changes in the music to make it go better with the visuals. So it was like an up-and-down process. We actually spent some time together in the studio but we also did some work by sending each other stuff online. The reason why I wanted to do it was my idea of a surround format, using spatial information based on the music. But I wasn’t really represented by a lot of people! The 5.1 format is already with us in a commercial sense until about 15 years now. So you have a lot of offers in a very extreme side, like the academic world, for installations or art-related projects. And on the other side of the spectrum, you have a lot of surround sound going on with movies, theatres and stuff like this. But in the middle, with music that we usually listen to, nobody was really doing it in the way that I thought it was possible. You have concert recordings from – whatever Pink Floyd or others – and they’re remixed in 5.1. Some artists have done 5.1 productions in pop music, concerts, DVDs, but not really to explore the format and to really try to find the cutting-edge possibilities of what you can actually do with spatial information in electronic music. That’s the only reason why I wanted to do it, I had no plan, no idea of how to do it. I had some help from people who built special software instruments for me and special things in Max/MSP and Reaktor – and I did some developing myself as well – to make it possible actually to deal with this format. Because, right now you have pretty good things going on in Logic and stuff to mix in 5.1. But when I was doing this in 2007, it was not available, it wasn’t something that you could do. I had to completely invent something to make it possible!
I can say that, even if not playing in a 5.1 system, the effect is still pretty much impressive…
It’s cool to hear that! To be honest, I made a choice for the DVD to be only in 5.1, because the difference between stereo and 5.1 is so big, it’s huge. The fact is that if you’re working in stereo you can suggest space, but really the only thing you have is an access between your left and right speaker. So it’s basically just one dimensional line, you know, it’s not really a field. Once you put more than two speakers, you create not a line, but you have an actual field, with a space. It’s a huge difference, because you’re not suggesting a position of sound, but you can realistically put something in a different place, you can make it three-dimensional. But it’s not based in suggestion as you do by mixing in stereo. Because a stereo mix can also sound very spacious and suggest a lot of space, but it’s only tricking your mind! But with more than two speakers, you have actually a 3D field to play around with, it’s more than one access.
And, turning on visuals again, do you think that the exploration of sound and abstract visuals is one of the most important aspects in this kind of electronic music?
You known, the combination of sound and visuals is basically as old as both disciplines. In a sense things like theatre or playing with actors are some kind of old-school, very rudimentary ways to visualize a story. So it’s old, but if you take it to electronic domain, it hasn’t been around for ever, but I think the reason why it’s still open for a lot of experimentation, it’s because there are so many levels at which you can make sound and image work together. You can make the sound play the major role and then just visualize something to add another dimension to it. Or you can have a movie which is based on the fact that the story is mainly taking place in the visual domain and then use the music to support it. So there are many different levels which you can combine the two disciplines. They are very much connected, because, in a sense, every movie that you see is an audiovisual work. The sound is more subconscious, whether your eyes are always the first sense that circuit the information. I mean, your ears are picking up information too, but it’s more subconscious. You only notice the difference when you are watching a movie and if you turn off the sound, you realize you’re missing everything! I’m not so conscious about the sound but it’s a very important thing with every audiovisual work; but you can experiment with different things, trying to overpower the visual attention that somebody pays to a visual work with the sound, for example. So you can present the visual in such a way that is becoming something more like a background atmospherical layer and draw the attention to the music, instead of the other way round. There are so many ways of combining it! Than also the place, how do you experience the work is very important in the way it works. I mean, if you are sitting and staring to a screen or a display, you are forced to look at it, but you can also use images as more like and ambience kind of thing, more in the sense of light.
Precisely, that’s why there has been a growing attention in light design during live sets, especially for ambient music. And I do think it helps to experience a thorough sense of transportation?
Yeah there are many levels at which the two disciplines can support each other and it’s interesting to find out how it works. Because if you try certain things, you notice that there are lots of possibilities to make the two work together, and it’s nice to find it out by doing it and see how the result is going to be, what effect it has on the people who are listening or viewing it.
Ok then, now to some tech-stuff. So what kind of studio set-up do you use to go trough all that sound manipulation. Though it’s not the means that matter but the result, is it stuffed with synths, cables, gears and other weird stuff or do you use mainly computers and sequencers?
Well, I use everything! I’ve been making music for almost 30 years now and in the time I have collected so many things. I have shit and shitloads of analogue and digital equipment, output gears, mixers, modular synths. Everything like classic modular synths, old Roland stuff, ARP, Korg, EMS, Filterbank..I have many many things. But for me it’s not about having lots of equipment, it’s more about restricting myself to just a few things and trying to find the boundaries of a certain piece of equipment. It’s all about trying things and really explore all the possibilities, to basically come up with something which is unique to the way I approach it. I never use presets, they are the death for your music! Because all you do with presets is going through a bank of sounds that somebody else has created and then skip to the next one until you find something. That’s not really working with an idea – you know – it’s more like finding an idea. The way I work is from the bottom up: I set up a small group of instruments and I basically restrict myself to come up with something, to make some music or some ideas from very limited possibilities. I push myself harder when I have certain restrictions or boundaries and I try to explore the edges. It’s also the fun, you know! I’m not really technical but I know a lot about synthesis and about sound manipulation, and for me the fun is always to sit down and focus on one thing and then trying to discover the possibilities and pushing it even further. Then obviously electronic music is very much driven by technology, but eventually it’s how you interact with the equipment, it’s the human factor that makes it interesting! For that reason I treat my studio sometimes as a second band member, because if you make music alone, you don’t get feedback from other reference. When you are in a band and you are jamming, something is in the air and you get like moments where it’s happening – the X-factor thing. While when you’re working alone, the human factor with ideas from other people is not there, but I get a lot of times by treating the studio as a band member. I take care about that in a way that is so much possible with an electronic gear. When I’m in the studio I try to create circumstances in which things start happening. And what I mean is that I set up certain musical instruments in such a way that whatever you do, there are so many variables that it’s always changing. So in that way, it’s like 50% is human driven and 50% is chance, happening because of the parameters of the equipment. It’s like having human control but also having a huge scope of variables which can take the moment into a completely new direction at any time. So this is my strategy to come up with uncertain things and in that way I mean that the studio can be regarded as a second band member..it lives it own life! I like when the instruments are doing things which are unexpected, so you can find happy accidents or you can find things that you cannot immagine. Then once I find something that I like, I try to keep it in a certain direction. I like to be in a system where things can also go wrong or go in a different direction without my control.
Man vs machine…nonetheless technology has made things cheaper and much more reachable nowadays, but I think there are still many difficulties learning how to use properly several hi-tech equipment. Sometimes it’s almost like as if we have to fit into fixed parameters, do you think it’s affecting creative music making these days?
Yeah, I mean take some of these programs like Ableton, for example: you can use it in many different places, you can use it exactly in same way I described, while making very long change of plugins, then having lots of faders to create spontaneous accidents; but you can also just use the blocks and stick to the grid, and in that way it becomes almost like painting by numbers. You remember these things with painting in which you can make a drawing having a little number for each color? It’s the same with Ableton: you put in a loop, a bass line and it’s exactly like painting with numbers. I hate that! You can hear that in some productions everything is completely easy to identify. I like music where you scratch you head and think “What the fuck is going on?! Where is this coming from? What is this place?” That’s what I’m interested in. And you can use software in the same way but you have to send it up in a certain way.
And was this what you had in mind when working on the Kreate software?
Actually I was asked for it, because this company wanted to create some sound libraries. I have a personal library made for myself which is very very big – you know – from the last 20 years or something. And for me it was like going through everything I had, making collections which I then put on this sound library. Of course there are always the standards like a bank of kick drums, a bank of hi-hats, but then I made the majority of the instruments in such a way that you can use them in anyway you like, more in abstract ways. With arpeggiators you can completely change the function of an instrument with just a few buttons. So the outcome of the sound is very unpredictable, the instruments are like “this is something with an arpeggiator and something with a bass sound” but you can use it to make a lead, or a drum out of it very easily. I wanted basically to encourage experiment with it. So the people who buy it, they can use it like painting with buttons but it also has a lot of possibilities to create your own sound with the starting point that I give them. That was the idea.
And when it’s time to perform live, do you have any particular rules or ways of working when moving from a studio to a stage environment?
Well, technically the thing that I do on stage now is not very different than most other people. I use Traktor and Ableton, but the way I use them is more a live set than a DJ environment. Because of my background, I only stared DJing about 10 years ago using other people’s music as well. But, before that, I only played my own music live, so my background is creating something on the stage, while I’m improvising and that is built in my system. So, even though I use Traktor and I use other people’s records, this is still my mentality and my approach. I improvise a lot – this is what I do – I use records, I use my own instruments and loops, drum machines and stuff but I never know what I’m going to do! I know the first 10 minutes, when I come to a stage, I see the people, I feel the atmosphere, I kind of know what direction I want to go. So I prepare for the first minutes and from there I jump into the unknown. And this is the only way for me to make it exciting, because if you think of it too much before, you can never really adjust to the moment. But for me a live performance is all about the moment, it’s not about that you really want to play a specific record or that you really need to make a certain mix; it’s all about reacting to the mood of the audience and play with it.
I’d like now to spend a few words about your releases. And I’d like to recollect something of the atmosphere around the early 90s when Warp was coming out with Artificial Intelligence series. In brief you guys took the sound that came out of Detroit, modeled it and spread it in Europe. The so-called second wave…
First of all you have to realize that it was the beginning of the 90s, so there was no internet, no cellphones and the channel trough which people found out about music was magazines and radio shows, basically. And that is a completely different thing, because it takes a lot longer for something to develop. So you find out something about music that you like and you start searching for it, you have to go to record stores, find special radio stations who broadcast such a thing. It’s way more difficult to discover than these days! Nowadays you can find anything in a few milliseconds, but back then it was more like a time of discovery. Also the scene was very spoiled compared to what it is now, so I and all the people that were active in this music had absolutely now idea that it would explode in such a big way! We felt like we had discovered a little niche and we were fan of what was going on, trying to make music ourselves. Nobody would plan to become a big star, we didn’t even think we would have a queue, we were just really attracted to it. We were very few people in the beginning – sort of underground – and we started to feel connected between us. It then crossed over the bridge to the mainstream pretty quickly, actually. Rob Mitchell from Warp felt that this stuff that was happening in the clubs was something very special and very new and he imagined himself that it could also be transported to the living room. Back in the days you had a lot of people who were releasing stuff that had on one side a rave track and on the other side a more ambient track or something for the after parts. A lot of people did that, like Aphex Twin, LFO, Autechre, myself and also people from Detroit who made things which were more listenable, not necessarily only for the dancefloor. So Warp was very smart in a way to think to collect all this stuff, all these B-sides, all this listening variation of dance music, and market it to the people who listen to music at home. The first Artificial Intelligence was a compilation album – the green one – and everybody appearing on this album was also asked to think about creating an entire solo album. The guys from Warp were really the first ones to think about this kind of music having a place in the album market. Before that it was only 12’’ in special import record shops, very niche only for DJs, but they made it available to the living room, to the larger audience.
Guys were so pioneering! Then later you released Ginger and G Spot on Plus 8 then you entered the new millennium with A Shocking Hobby on NovaMute. Do you feel there has been a breaking point at a certain time or do you consider your production as something constantly evolving?
Well I mean, things change all the time and I’m happy it does! If we would be doing the same things for 20 years it would become boring very quickly. One of the beautiful things about art and music – that is always process emotion – it’s always action and reaction, you always have people standing up and re-interpreting things that are already happening and give them their own twist. Then other people get influenced by that, so that there’s one big sort of wave of ideas which are responding to each other. It’s almost like a conversation, something which is developing all the time. The thing about myself is that as a person I am very easily bored. Once I have explored a certain area, my work is done! So I move on to the next thing, to a territory which is unknown and I want to do some exploration. That’s what happened with Warp, Plus 8, NovaMute, then doing Collabs with Chris Liebing, who is a dancefloor expert.
What about the Collabs with Chris Liebing, yet another different experience I guess…
Yeah, in the time I met him – it was between 2005 and 2006 – we were playing at the same parties many times. So we became friends and we decided to maybe do something together. And I had this Collaboration series with NovaMute, called Collabs, I did something with Adam Beyer, Literon, George Issakidis. When Chris and I decided to go to the studio, we noticed that we had such a fast way of working and we were very productive. So it was only a logical thing to do an album, because it was very effortless, easy to do. Basically our path crossed exactly at the right moment, because he was trying to learn more about studio work and I was trying to learn more about DJing, so he could teach me more about that and I could teach him something about studio. Yeah, it was the right time and we enjoyed each other’s company a lot! We can get along very well and when we play together on stage it’s also a very good click, you know.
And how was working with Lucy, with whom you released Zeitgeber last year?
With Lucy it was pretty cool! We’re doing a lot of parties here in Holland with Electric Deluxe and sometimes we host some guests which are interesting to invite for a studio session. That’s the same thing I did with Luca. He was to Holland for the first time when he came for us and we have never met, but I talked to him on email and asked if he would have been interested to stay maybe a little bit longer and explore the studio, doing something together. And he was very interested, because he knew my music and of course I knew his as well and we are very impressed by each other’s work. So we thought it was a good idea, came to the studio the day after the gig, and that was really the first time we ever met in person. We basically went to work straight away, we didn’t talk as much, we didn’t have a conversation, no plans, we just jumped straight in and started to work. So the music is really the result of an abstract musical conversation and not something that was planned. We just accepted what came out and that’s the album! It was made in 3 or 4 days, that was very easy!
We’ve only mentioned but still haven’t said anything about Electric Deluxe, who’s going to celebrate its 6th birthday in a few days. Up and running from 2008, it has been a testing ground – you call it a platform rather than a label – for emerging musicians. How are things going at the label right now and where is it spreading?
Well, we have worldwide distribution, there’s a distributor in Berlin and our online shop and – yes – we sell worldwide. It’s not for a certain territory.
And I like when you say you deal with electronic music that can be both functional and thought provoking, can you explain this?
I think what we’re doing different from a lot of other techno labels is that many of them have created a certain sound for the imprint, they have a certain style. And sometimes it’s connected to a label, sometimes to a club – like Ostgut and Berghain. Basically they have their own style and everybody who’s releasing on the label is expected to make something which fits in the style. But we do it completely the other way around. You know Electric Deluxe to be a platform for people who want to develop their ideas, so we encourage everybody who’s releasing to not think what is good for the label but what is good for them and what they really want to express. I want to provide this platform for people to be as much themselves and develop their own personality as much as they can. The bottom line is what makes music interesting, you can never become more unique if you are really sticking to your own personal style. Once you try to force an artist doing something which has a restriction, then you don’t really get the complete uniqueness out of his music. So I try to encourage and make people comfortable to be the way they are, and the only thing I’m doing is to facilitate them. That’s the only way an artist can eventually flourish or shine.
So not about the label, it’s about them. Is there anyone that has joined the family recently?
Yeah, we are doing some albums this year, we’ve signed the guys from the UK, AnD: they’ve recently released Kundalini and now they’re working on more material for an album. Giorgio Gigli is doing an album on Electric Deluxe, then we have some more stuff from Subjected coming out and also Lucy is doing another collaboration with somebody else. You see, there’s a lot of things going on!
Last monday BlackAsteroid was out with Metal…
It’s basically a complete trilogy on Electric Deluxe, the first one was Black Acid with a black cover, the second one was white and now we have a silver one for Metal: so black, white and grey is like a perfect trilogy for his music. The last one he did has some remixes by Luis Flores and Pinion and I’m happy with BlackAsteroid’s releases because he has a very strong identity, there’s nobody who sounds like him or even that looks like him. He has always this kind of glam touch to it: it is techno but it doesn’t sound like standard techno!
Ok then, party time! Heard there are big names coming to Electric Deluxe Birthday, like Berlin institution Ben Klock, joined by Blawan UK and many more…
Yeah for sure! We have a really nice venue in Rotterdam, it’s an old grain silo and the maximum amount of people is 4,000 and hopefully we get this amount of people. It’s on King’s Night, a traditional bank holiday in Holland, so everybody’s free, they can sleep the next day. We’ve been doing events since we started 6 years ago in Holland but also worldwide, for example we also do the official opening party for Movement festival in Detroit this year and the day after we do Electric Deluxe label night in a club called Verboten in NY. Then we are hosting stages on festivals around the world, we have our own night in Berghain…many things coming up![/tab]
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