TESTO DI ANTONIO FATINI E DAMIR IVIC
[separator type=”thin”]
Una storia interessante spesso si basa su dei retroscena gustosi che riescono ad aggiungere un valore in più e che si traducono in quel dettaglio che rende tutto ancora più speciale. Ecco: i retroscena di questa edizione di Spring Attitude sono le preview, preview che hanno connotato il festival nel migliore dei modi. Soprattutto le ultime, quelle con M+A, i The Giornalisti e Nils Frahm, fondamentali per mettere i puntini sulle i e dare dei riferimenti chiari sulla direzione artistica del festival romano: tanto indie, molto hip hop, un pizzico di ricerca e una buona dose di coraggio, per scavalcare bordi che negli anni si sono fatti sempre più ampi per un festival che continua a migliorare la sua identità anno dopo anno. Quest’anno, tra l’altro, Spring Attitude stupisce ancora prima di iniziare inserendo a sorpresa una domenica nel palinsesto del festival: non un giorno in più come riempitivo con nomi di poca sostanza, ma un giorno di tutto rispetto con la partecipazione di Red Bull Music Academy e artisti da cartellone importante (leggi Clark e Indian Wells). Anche questo significa far crescere il proprio pubblico, educarlo, portarlo ad amare il festival anche nei mesi che precedono l’evento e guadagnarsi la sua fiducia, potendo permettersi infine una line up coraggiosa fatta non solo di grandi o “soliti” nomi che in quattro giorni ha visto 12000 persone (in base alle dichiarazioni dell’Ansa) partecipare in modo entusiasta.
Al di là delle premesse, andiamo subito al punto. Spring Attitude è diventato grande (e non usiamo la parola “maturo” appositamente, ma ne parleremo dopo). Lo dimostrano tante cose. A partire dalla conferenza stampa che si è tenuta ai Mercati di Traiano: location bella, ma soprattutto istituzionale. Lo capisci poi dal fatto che tra le location spunta il MAXXI oltre gli spazi del Macro: location bellissime e storiche che hanno poco a che vedere con i ring a cui Roma è abituata ultimamente.
Proprio il MAXXI si può considerare la ciliegina sulla torta di questa edizione: spazio incredibile, che solo ad accostarlo a questo genere di evento ci ha fatto venire in mente il primo Palazzo Dei Congressi e l’aura magica che emanava grazie alla contaminazione (all’epoca inconsueta) con “l’elettronica”. Quelle vecchie sensazioni sono tornate attuali: ci siamo sentiti catapultati indietro, in un ricordo piacevole del sapore dolce che si prova a fondere un luogo “sacro” con una proposta intelligente e raffinata. Roma di suo ha risposto a dovere, anche di giovedì, catapultandosi fin da subito in gran numero a godersi i droni di Robert Henke, la cassa di John Talabot o il bellissimo set di Yakamoto Kotzuga. Il primo giorno insomma ha rapito tutti, che si trattasse di guardare verso il cielo per farsi colpire fisicamente e psicologicamente dalla maestria di Edwin Van Der Heide e dei suoi laser, o che ci si sforzasse per definire al meglio il bellissimo e al tempo stesso urticante live di Dean Blunt.
Spring Attitude nel 2015 torna anche al Macro, questa volta in modo più importante rispetto all’anno precedente nonostante i lavori di ristrutturazione del piazzale esterno. Quest’anno le sale si sono sviluppate negli spazi della Pelanda e della Factory: la prima vista anche l’anno scorso, quest’ultima invece al centro dell’edizione 2015. Colpo d’occhio bellissimo a partire dal venerdì, giorno che ha visto trionfare anche la sala più piccola, alla Pelanda, grazie al bellissimo live di Populous (che l’anno scorso aveva avuto diversi problemi che gli avevano impedito di esibirsi nel modo migliore). La Factory invece è una delle vecchie sezioni del mattatoio, per questo delle vecchie vasche costeggiano un corridoio di pietre che ti porta direttamente sotto palco, e il tutto si fonde con i visual creati da Lord Z e animati da StudioAira. Il venerdì, programma alla mano, è stato uno dei giorni più interessanti: la curiosità di sentire SBTRKT e il suo dj set, la voglia di avere conferme live da parte di Romare, Redinho e Shigeto infatti avevano creato diverse aspettative. Aspettative più o meno tutte soddisfatte. SBTRKT è partito alla grande poi verso la fine si è forse un po’ troppo adagiato su trap e dintorni, ma resta un dj molto interessante, che ha una personalità, che si prende dei rischi: con tutte le imperfezioni che ancora affliggono il suo live set, forse per ora è meglio dietro la consolle che dietro a macchinari, synth e controller. Gli altri tutti ok, all’altezza della fama, con menzione particolare per un ispiratissimo Shigeto.
Sabato è stato invece il giorno più impegnativo. Abbiamo iniziato presto con un live intrigante, quello de La Batteria, formazione di musicisti romani di vaglia amanti di western, synth vintage, colonne sonore italiane e tutto ciò che c’è di mezzo: molto intrigante da un lato, un po’ statico – essenzialmente come presenza scenica – dall’altro. Godblesscomputers, poi, presenta per la prima volta dal vivo il materiale del nuovo “Plush & Safe” e il pubblico gradisce: da “Closer” (bella la versione rappata del live) in su, un susseguirsi di brani che sembra poco movimentato in un primo momento ma che cresce con lo scorrere del set fino a un prolungato e convincente trionfo finale. La matrice più hip hop del festival è tutta concentrata in queste ore pomeridiane: il beatmaker romano Sine One riscalda a dovere la piazza per quello che è stato uno degli act più divertenti del festival, ovvero gli Scratch Perverts. I turntablist inglesi iniziano il loro viaggio di felicità scaricando in pista un vero e proprio tributo a tutto quello che l’hip hop ha portato in gloria: tantissimi beats di origine jaydilliana all’inizio, poi Dre, Kanye e Jay-Z e cose commerciali ma di qualità come The Roots con Cody Chesnutt e The Streets fino a sfociare, con il calare del sole, nella disco e nelle coattate più dure. Saltiamo Ninos du Brasil, sempre bravi a fare “caciara”, va bene, ma mai a proporre qualcosa di nuovo (…scusate, abbiamo visto lo stesso act in tutti i festival italiani degli ultimi due anni).
Sempre sabato, ci spostiamo dalle 23 in poi in quella che è considerata la casa madre di Spring Attitude, quello Spazio 900 che ormai è croce e delizia della rassegna. Qui si concentrano gli sforzi maggiori, i nomi più importanti ma anche tutto il pubblico che sente la location dell’EUR come il vero evento del festival. Non basta infatti la scelta di aver eliminato i privee laterali o quella di aver tolto il bar al centro, non basta nemmeno aver aperto una balconata in più: il pubblico aumenta ogni anno e quest’edizione probabilmente sarà l’ultima in questo spazio. La proposta musicale è ben divisa e creare un percorso sensato e di facile fruizione diventa piuttosto semplice: Portico (soporiferi e deliziosi allo stesso tempo), Youarehere (giocare in casa fa bene), Kelela (bella, anche con quei pantaloni discutibili), Drink To Me (amore incondizionato, anche in versione “greatest hits” per l’imminente tour europeo), Baths (colpo al cuore su “Lovely Bloodflow”), Omosumo e infine il gran finale in chiave berlinese. Il live che tutti aspettavano, anche gli artisti stessi, è quello del mix tra Siriusmo e i Modeselektor: accoppiata vincente se parliamo di melodie “viaggione” e cafonaggine raffinata. Il pubblico non molla un colpo e viaggia insieme a loro e ai bellissimi visual (targati Pfadfinderei, ovviamente) che accompagnano lo show. Cassa, urla, mani al cielo. Dopo un’ora e mezza è il turno di Apparat, sempre più superstar e divo, sempre più mattatore delle notti dei festival italiani: come a roBOt qualche mese prima, prende la pista, la mette in tasca e vince facile quando chiude con le prime luci dell’alba fa partire una “A New Error” che ti toglie il fiato e ti mette a letto con da un lato i sensi di colpa per il mal di testa che ti sei procurato e dall’altro il sorriso malefico di chi sa che ha vissuto una notte di piacere che si scorderà difficilmente.
Chi è stato più forte dell’hangover e delle ore di sonno non dormite è stato ampiamente premiato la domenica, il giorno “a sorpresa” a cui accennavamo ad inizio report. Venice ha scandagliato psichedelie varie, pescando a piene mani in funk africani brutali e stilosissimi. Raoul K invece ha alzato decisamente i bpm e il tasso di digitalità con cassa in quattro, ma lo ha fatto con stile notevole (inserendo perle sublimi come “Found A Place” di Tony Lionni). Ci si è poi spostati dal cortile all’interno, dove prima Indian Wells poi Clark hanno fatto faville – soprattutto, hanno fatto entrambi ancora meglio di quanto ci aspettassimo. Il producer calabrese infatti ha dimostrato una maturazione notevolissima, riuscendo a trovare nel suo live il perfetto equilibrio fra calore dei suoni, originalità delle soluzioni e trasporto della parte ritmica: non più solo “bravo per essere italiano”, ma bravo a trecentosessanta gradi. Tant’è che, complice lo spostamente d’orario rispetto al programma ufficiale, più d’uno è rimasto convinto che quello sul palco fosse Clark. Il quale Clark è stato invece ancora migliore di… se stesso: rispetto a qualche mese fa ha infatti ulteriormente affinato il suo set, rendendolo una vera e propria bomba techno ad alto tasso di psichedelia. Estremo, in certi momenti, ma se si ha il coraggio di “affrontarlo” e di non indietreggiare si vive davvero un’esperienza intensissima ed altamente appagante.
In generale, una cosa che ci fa piacere notare è che Spring Attitude 2015 è tra le altre cose la continuazione di un percorso iniziato lo scorso anno che aveva già messo “al centro del villaggio“ (passateci la frecciata calcistica) gli artisti italiani che meglio stanno facendo in questi ultimi anni. Non è un caso infatti che molti di essi per il pubblico non fossero nomi da scoprire, ma artisti da ritrovare, aspettare e consacrare. Ma SA2015 è anche un festival pieno di contrasti: quelli delle location belle ma a tratti scomode, per dire, o quelli per cui da un lato vedi bambini che giocano in pista e i sorrisi reali e mai chimici del suo pubblico ma dall’altro noti l’inesistenza di sponsor “pesanti” (tolto quello già nominato), sponsor che a quanto pare non vedono in Roma un territorio fertile o interessante, nonostante ci siano tutti i presupposti per poter lavorare ed offrire al pubblico ancora di più. Quest’anno tra l’altro Spring Attitude si è scontrato con un’altra rassegna (quella degli Internazionali di Tennis, dalla line up stavolta a sorpresa in quanto a qualità ed indirizzo, vedi alla voce Four Tet, Mos Def, Tiger&Woods) ma non ne ha accusato minimamente il colpo, anzi, restituendo numeri importanti e insegnamenti a chi nella Capitale aveva provato a fare eventi dai format simili senza però mai riuscire pienamente del tutto. Piuttosto, col giusto pudore, con le corrette proporzioni e con enorme rispetto va fatto il paragone con Dissonanze, per amore di un bel ricordo ma anche per dovere di chi quest’anno ha fatto respirare (soprattutto al MAXXI) un’atmosfera che mancava da molto. Applauso al rischio che gli organizzatori hanno scelto di affrontare senza timore, mossa che alla fine li ha visti trionfare, con il padrone di casa Andrea Esu che sigilla l’edizione e si trova ancora a metter dischi alle prime ore del lunedì mattina, quando tutto doveva essere già finito: degna e felice conclusione. Ci salutiamo e ci vediamo l’anno prossimo, allora: dove quello che c’è da migliorare sarà migliorato, e le sorprese che verranno faranno ancora più stupire. Perché i festival più belli sono quelli che hanno qualche pecca, pecche che però puntualmente ti dimentichi in poco tempo perchè troppo interessante e fatto con troppa passione è il resto che ti circonda. Il bello trionfa sempre, come la primavera.