Ci sono spettacoli che ti segnano per tutta la vita. Ecco: “Isam” di Amon Tobin è uno di questi. Meraviglioso. Fantastico. Pazzesco. Soprattutto, uno spettacolo audio/video che non facilmente vedrete in Italia: è da giugno 2011 che gira, da un’anteprima al Mutek (che per Tobin è un po’ come giocare in casa), ma dalle nostre non è mai passato. Tutti i promoter e direttori artistici che sono stati tentati dall’idea di portarlo qui si sono poi fermati davanti ai costi. Costi non impossibili, ma abbastanza impegnativi da far pensare che organizzare una serata apposta sarebbe stata una perdita secca, visto che Tobin è famoso sì, ma fino ad un certo punto (tipo che fa di sicuro più gente l’ennesimo dj set di… mettere un nome a piacere dei soliti, sapete bene quali). Perdita secca, sì, a meno che non ci sia un aiuto da parte di sponsor e soprattutto istituzioni. Versante su cui in Italia, soprattutto nel secondo caso, siamo al solito drammaticamente indietro. Campioni mondiali sì, ma dei soldi spesi a cazzo. O alla cultura cosidetta “giovane” (ma ha senso rinchiudere l’elettronica ancora in questo recinto?) non si dà nulla, o una volta ogni cinque anni si sparano improvvisi budget a cinque o sei zeri (è successo) per eventi pensati male ed organizzati a peggio. A Roma ne sanno qualcosa, ma non solo a Roma.
A Graz, tutt’altra storia. Già l’Austria sotto il sole della primavera dispone bene, cielo terso, temperature perfette e verde rigoglioso tutt’attorno, in più la città che ospita lo Springfestival è soprattutto dal 2003, anno in cui fu capitale europea della cultura, che pone in grande attenzione e considerazione tutto ciò che è espressione artistica (simbolo architettonico perfetto l’”aliena” Kunsthaus – casa dell’arte – che è diventata simbolo della città ed uno degli edifici più popolari degli ultimi decenni per la sua forma particolarissima). Ecco: provate ad immaginarvi una città italiana di media grandezza che ospita un evento di quattro giorni con Benga, Modeselektor, Cassius, Solomun, Ben Sims, Gilles Peterson, Dj Hype, Vitalic, Andrew Weatherall, eccetera eccetera e che a questo evento si dedica completamente; pubblicità ovunque, spazi informativi sparsi in giro, totale dedizione della macchina organizzativa comunale (a partire dal servizio di navette da un club all’altro, trattandosi di festival diffuso per la città). Inimmaginabile, con l’eccezione forse di Torino, un’eccezione però solo parziale, perché anche lì spesso e volentieri gli eventi di musica elettronica sono “sopportati”, e comunque nel resto d’Italia sono semplicemente avversati – giovani, droga, rumore, casino, musica che non è musica: barbari e basta… buoni solo per essere spremuti economicamente. Ma che gli Enti Lirici, giusto per fare un esempio, campino da anni fra contributi milionari (in euro) e sprechi ed inefficienze pazzeschi non è forse una barbarie, altrettanto grossa, se non di più?
A Graz nessuno spreme nessuno, e nessuno fa la guerra a nessuno. Grazie agli aiuti dei vari partner, per la line up che ha lo Springfestival riesce a tenere il biglietto sorprendentemente basso. Soprattutto, può permettersi di puntare sulla qualità. Portare lo show multimediale costoso ma epocale (e-po-ca-le) di Amon Tobin è un passo, enorme, ma anche coinvolgere Gilles Peterson in molto più che un semplice dj set chiedendogli proprio di fare da curatore sia di una serata dedicata ai nuovi suoni (con MJ Cole, uno dimenticato da anni ma che in realtà è bravissimo e lo ha dimostrato, lui faceva dieci anni la musica che tutti vorrebbero fare oggi, tra UK garage, house e richiami soulful; con Addison Groove, invero un po’ deludente; con Mala, che ha avuto il set però funestato da problemi tecnici; con Dimlite, cresciuto tantissimo e ora indirizzato più verso le orme di Clark che verso quelle di Flying Lotus – meglio così), sia di una commovente notte revival che ha rimesso in campo molti dei protagonisti delle leggendarie serate al Dingwalls di Camden Town, lì dove è nata la scena acid jazz originaria (i visuals curati da Swifty, con foto e flyer originari dell’epoca proiettati sulle pareti, erano da commozione pura – club culture nel vero senso della parola), è faccenda benemerita. Incredibilmente benemerita. Operazione di vero stampo culturale, non solo divertimentificio e moltiplicazione di fatturati.
Poi ancora: se è vero che Modeselektor visti ormai molte volte (lo spettacolo è lo stesso visto in Italia mesi fa, con la tracklist un po’ aggiustata per renderlo ancora più potetente) e Cassius dj set pure, è anche vero che rimettere in campo la drum’n’bass dandole giusta esposizione (dal già citato Dj Hype alla Ram Records Night della serata d’apertura), esplorare i nuovi stimoli più interessanti della contemporaneità (dalla disco spaziale di John Talabot, bravo nel suo set anche se un po’ in calando, ai sempre strepitosi Elektro Guzzi con la loro minimal techno fatta da basso, chitarra, batteria e zero computer), dare comunque spazio ai nomi “caldi” del momento (Solomun, che personalmente continuiamo a trovare un po’ sopravvalutato, dOP, sempre caciaroni), rendere omaggio alla techno più pura e vera con una line up da piangere da quanto era bella (nella stessa sera Kirk Degiorgio, Ben Sims, Rolando, Luke Slater come Planetary Assault System, Dj Surgeon… nella stessa sera!), ecco, tutto questo dà l’idea di un festival costruito veramente bene, musicalmente parlando.
Per giunta, c’è poi da parlare delle location: perfette. La Helmut-List Halle e la Stadthalle sono capannoni, ok, ma avevano un sound system perfetto, nei limiti del possibile si sentiva veramente bene. E anche in altri due locali nel network dello Sprinfestival – il Postgarage e il ppc – la prima cosa che dicevi era “Ma caspita, si sente benissimo”, la seconda era che comunque erano della grandezza giusta, né troppo grandi né troppo piccoli, col giusto “sfogatoio” delle sale più piccole al piano di sopra. E poi c’è il Dom Im Berg: il posto dove forse si sentiva meno bene (un pò sacrificata la seratona techno, lì) ma di un suggestivo assurdo – in pratica per accedervi bisognava fare un centinaio di metri dentro un tunnel scavato nella montagna che domina la città, il tutto ricavato dai rifugi antiaerei scavati durante le varie guerre mondiali).
Tutto bello, tutto idilliaco, tutto fantastico? No. Va detto che per quanto le istituzioni e la logistica siano state dalla parte del festival, la città ha risposto fino ad un certo punto. Non si respirava aria realmente “particolare” fra le persone in strada, non c’era atmosfera da grande evento come invece lo sforzo comunicativo ed organizzativo avrebbe meritato; se Amon Tobin con “Isam” ha fatto il sold out, gli altri appuntamenti sono oscillati fra presenza di pubblico buona, così così e ogni tanto nettamente deficitaria (vedi la sera di Benga, Foreign Beggars, Toddla T e Ms. Dynamite alla Stadthalle: 1500 persone in una sala che poteva contenerne ad occhio il sestuplo); questa sostanziale sensazione non di freddezza ma nemmeno di irrefrenabile euforia ha un po’ influenzato anche gli artisti: praticamente tutti hanno suonato bene, ma nessuno benissimo… mancava insomma quel “quid” in più, quello – per dire – da calore umano mediterraneo. Non una cosa da poco. E’ anche vero che l’improvvisa fioritura di festival in Croazia – ormai ce n’è uno ogni cinque secondi ed ogni venti metri, e sono tutti bellissimi – ha tolto allo Springfestival un abituale bacino d’utenza, quello composto diciamo dall’area Alpe-Adria, soprattutto nella sua componente balcanica: evidentemente questo ha influito. Però insomma, se volete godervi un festival in mezzo a una situazione logistica ineccepibile, accolti da una città deliziosa, omaggiati da una line up di alta qualità da potersi godere senza star lì a sgomitare e a lottare con gente cafona e trovandosi anzi in un club e situazioni civili ed accoglienti, il consiglio è di cominciare subito a tenere d’occhio e a segnare sull’agenda le date di Springfestival 2013, quando usciranno.