Bardi Johannsson – ai più conosciuto come Bang Gang, e Jean-Benoit Dunckel – la metà più dark degli Air – hanno unito le forze per creare il progetto Starwalker e dopo quattro anni trascorsi tra la France e l’Islanda hanno finalmente pubblicato il primo, omonimo, disco. Data l’esperienza dei due – il primo ha all’attivo diversi album anche come Lady & Bird, mentre il secondo, be’ lo conosciamo tutti molto bene – il disco suona come un intelligente gioco di citazioni, dove le colonne sonore dei film di fantascienza inglesi gli anni ’60 e ’70 si uniscono al prog e alla disco music più morbida, con un tocco di Piero Umiliani e Armando Trovajoli nell’estetica e nella produzione.
Partiamo dalle domande di rito che ogni giornalista dovrebbe porvi, cioè come e quando è nata la vostra collaborazione.
Ci siamo incontrati brevemente a Parigi nel 2011 tramite un’amicizia comune, ci siamo dunque visti per un caffè e per suonare. Da lì abbiamo ripetuto le sessioni in studio ed abbiamo registrato il primo singolo “Bed Weather”, per poi andare avanti e registrare, nel corso degli anni, questo omonimo disco. C’è voluto parecchio ma vivere in due città diverse non ha aiutato.
Tu vivi in Islanda e Jean-Benoit in Francia, non dev’essere stato rapido e semplice registrare il disco, per l’appunto…
Abbiamo trascorso del tempo insieme prima a Parigi dove abbiamo registrato il grosso del materiale, successivamente JB è venuto in Islanda a completare il disco. È un album registrato al 100% insieme e scritto a quattro mani da due amici.
Quanto di te c’è nel progetto, e quanto di Jean-Benoit (posto che questa domanda abbia senso)?
Eheh, il DNA di Starwalker nasce da questo mix di personalità: unendo la mia musica con quella di JB si è creato un un nuovo corpo, con il quale possiamo esplorare stellari territori artistici…come una specie di genitori…eheh una specie di nuova vita, sì, nata da noi due, che unisce il mio carattere con quelli di JB.
Considerate dunque la vostra musica come un’estensione fisica del tuo corpo, o della tua testa – o volendo essere romantici, anche della tua anima?
Posso solo parlare per me stesso, perché JB non è potuto venire qui all’intervista [bloccato nel traffico, a quanto pare], ma posso dirti che utilizzo la musica per esprimere i miei sentimenti, siano buoni o cattivi. Ad essere onesti, la musica è proprio qualcosa che mi diverte.
Il processo creativo è qualcosa che uno o un’artista deve espletare o cosa? Come lo vivi questo sentimento artistico?
Per quel che mi riguarda è qualcosa di totalizzante, nella misura in cui se non compongo musica, impazzisco. Ho iniziato a comporla intorno ai dieci anni di età perché non mi piaceva quello che l’insegnante mi faceva suonare a scuola, sicché ho deciso di scrivermi io quello che volevo veramente suonare. Mi ricordo di aver composto un’orribile filastrocca per bambini quando avevo dodici anni.
Tornando a Starwalker, che ci dici del suono della band? A me pare smaccatamente anni ’70, quasi fosse uno Stargate che catapulta l’ascoltatore in quegli anni…
Sì, sono d’accordo. C’è qualcosa di anni ’70 sia nel mio DNA che in quello di JB. É un suono sicuramente molto spaziale, molto ampio, aperto, qualcosa che ricorda le colonne sonore di quegli anni. Ci sono parecchie influenze, anche se non sono smaccatamente chiare o volute…
…a che pensi?
Be’ ci sento molto delle colonne sonore – nessuna in specifico, è più una questione di attitudene e forma – c’è la disco, un po’ di prog, del rock, del pop, un tocco di dark, parecchio groove… abbiamo giocato bene le nostre carte. Potrei andare avanti ad indicare altre influenze più e meno chiare, ma va bene così, non avrebbe senso altrimenti.
Vorrei sapere qualcosa di più sui brani del disco. Il singolo “Everybody Got Their Own Way” è molto catchy. Come scrivete le vostre canzoni?
Tutti i brani del disco sono stati scritti a quattro mani, tranne “Holiday” nella quale JB ha lavorato quasi esclusivamente da solo.
Che mi dici di “Le President”? Suona molto dark -pur schiacciando l’occhio al pop. Il brano ha una struttura prog sulla quale due voci si chiamano e si chiedono di non dimenticarsi.
Il testo del brano è semplice, ma c’è una storia dietro a quelle parole. L’idea è che la gente voglia a tutti i costi essere ricordata, ma certe volte non se lo meriterebbe affatto. Forse per questo ti sembra un brano dark… è un sentimenti piuttosto triste. Altra gente invece vuole essere ricordata a tutti i costi, ma finisce nel dimenticatoio, come se facesse cose così strane per essere ricordata, che preferiamo invece cancellarla dalla nostra testa. Non so se mi sono spiegato, ma insomma, questo è il senso.
Ascolta, se dovessero chiederti di comporre la musica per l’atterraggio su Marte, che faresti?
Mh, non ci ho mai pensato. Magari una colonna sonora di un film dell’orrore, o qualcosa con tanti fiati, molto patetica e carica di tensione, forse opterei i più ovvi Carmina Burana, o la colonna sonora di 2001, mmm no, ce l’ho! “I don’t Care” dei Ramones, così tanto da rendere il tutto più ironico. Magari qualche alieno di Mars Attack si presenterebbe a ballare…
Te lo chiesto perché c’è un ché di fantascientifico nella vostra estetica, a partire dal nome…
Sì, chiaro. Siamo entrambi starwalkers se siamo entrambi connessi con lo spazio ed il cosmo, nel senso però che siamo sognatori. La nostra mente fluttua nello spazio e diventiamo dunque viaggiatori tra le stelle.