Stefano Fontana è uno dei nomi storici della house italiana, e questo non serve certo che ve lo spieghiamo noi. Quello che però forse non conoscete di Stefano Fontana sono la passione sconfinata e l’entusiasmo enorme che lo pervadono, che fanno in modo che ci si trovi immediatamente in sintonia a parlare di musica: Stefano Fontana è uno di noi in questo senso, è uno a cui si illuminano gli occhi quando ti parla dei suoi dischi ma anche dei dj che gli piacciono.
Ma non è tutto: Stefano Fontana è anche un uomo di quarantasette anni che mette i dischi da trenta, e che quindi ha visto passare più acqua sotto i ponti della maggior parte dei dj e in questi trent’anni ha cercato di imparare qualcosa da tutte le situazioni in cui si è trovato. Aver avuto l’occasione di parlare per un po’ con lui su Skype, approfittando, come leggerete, di un momento di pausa nel lavoro di promozione a New York del suo nuovo album “We Are”, uscito lo scorso 8 giugno, è stata quindi un’occasione non solo di chiacchierare piacevolmente con un grandissimo appassionato di musica, ma anche di imparare qualcosa da uno che quanto a saggezza ha davvero pochi eguali e che si è dimostrato enormemente disponibile a condividere con noi tutta la propria esperienza.
Come stai? Jet Lag a parte…
Bene dai! Ieri sono stato tutto il giorno con il mio amico Fabio Volo che era qua. Sono morto dal ridere, è un enorme dispensatore di minchiate. Poi siamo andati un po’ in giro, abbiamo cercato un po’ di posti perchè dobbiamo fare un documentario video relativo al disco, che poi dovremo dare a Red Bull in teoria. Poi faremo proprio un documento che descriva la creazione del disco, come le stessimo facendo ora, anche se in realtà l’ho finito quasi due anni fa. Poi sai, alla fine ogni scusa è buona per venire qui.
In effetti sei spesso lì a NYC, no?
Sì, adesso ho un po’ di difficoltà perchè avendo due figli c’ho proprio la nostalgia! Però questo posto lo adoro. Sarebbe bello portarli qui ma questa città ti uccide. È cattiva nel senso che sei non sei qui con la gente che conosci, col tuo giro, a nessuno frega niente di te ed è tutto costoso e difficile, c’è competizione e son tutti qui per gareggiare, nessuno ti aiuta.
Posso immaginarlo, per me che l’ho vissuta da turista sembra la città dove succedono le cose.
Sì esatto, dove succedono e dove sono successe tante cose. Per me parte tutto da qui, tutto quello che ho fatto. È dove tutto ha avuto inizio, anche la mia carriera. E tuttora è per me un posto importante.
Infatti, a proposito del fatto che per te parte tutto da lì, parliamo del tuo disco nuovo: correggimi se sbaglio ma la sensazione che ho avuto io ascoltandolo, leggendo la press release eccetera è che si tratti di una cosa back to basics, come se tu avessi ripreso in mano ciò che eri all’inizio per rivederlo adesso, dopo tutto il percorso che hai intrapreso.
Lo hai beccato in pieno. È innanzitutto una questione anagrafica: ho iniziato presto e per me essere dj e essere produttore sono la stessa cosa, una non può prescindere dall’altra, anche se ora, come sai, sono due cose distinte. Io ho sempre preso le cose che mi piacevano come hip hop, Chicago house, Detroit techno, un po’ di campioni che magari non c’entravano niente, per poi mettere tutto assieme. È andata bene così per un certo periodo, ma per gli ultimi due dischi devo dire che non sentivo che suonassero come le mie cose migliori. Vedila come una sinusoide: per un’artista anche i momenti in cui prendi consapevolezza di certe cose sono fondamentali, per raggiungere il livello successivo, sono salutari. E mi sono chiesto: ma come facevo prima a divertirmi in studio? Cosa facevo? Semplicemente me ne fregavo di tutto, soprattutto dei generi, anche perché erano tempi in cui si stava meno a vedere la differenza. Quindi ho deciso di prendere le cose che mi sono sempre piaciute, che sono quei tre macrogeneri di cui sopra, e di farle suonare come facevo in quel periodo che per me è stato molto importante, i primi Ottanta. Dovevo solo trovare un cantante con cui lavorare, e questo è quello che ho fatto, senza nessun filtro. E ascoltando questo disco secondo si sente che mi sono divertito, io lo sento. E secondo me si sente pure che non c’è il filtro alla Beatport, puoi incasellarlo in diverse classifiche volendo.
Sì, non è fatto per essere messo in un determinato cassetto.
Ora escono ogni settimana moltissimi dischi che suonano identici, te li dimentichi subito. Questo secondo me è un problema, perché secondo me se tu dai le spalle alla console, su dieci dj dovresti riuscire a riconoscerne almeno cinque o sei, ora non so tu ma io faccio fatica a distinguerne la maggior parte. Poi ci sono quelli come Jamie Jones o Davide Squillace e mille altri che mi fanno impazzire, che sono dei dj della madonna, però il mio è un discorso più generale. Comunque, se voglio pensare di riposizionarmi ho pensato che dovevo prima di tutto divertirmi. Volevo fare qualcosa che avesse un senso, anche dal punto di vista grafico, che richiamasse la New York City dell’83-84, che però, attento! Non è per niente un’operazione di nostalgia, col cazzo! Non sono per niente nostalgico.
Infatti la domanda cattiva che ti avrei fatto dopo è proprio quella.
I nostalgici sono altri, io ho fatto tutto con Ableton, continuo a studiare strumenti, alla fine ho quarantasette anni, mica sessanta, anche se avendo iniziato presto la gente pensa che magari io non abbia più voglia di fare cose nuove. Tant’è che nel frattempo è uscito anche un pezzo per l’etichetta di Flashmob che è un dj supernuovo quindi fondamentalmente mi sono riappropriato con un po’ di freschezza di quella che era la mia materia. Poi sì, è vero che ogni tanto son stanco eh. Due bambini, le serate…coi bambini hai praticamente il jetlag dentro casa!
Rileggevo un’intervista con noi che hai fatto cinque anni fa, in cui dicevi che il dj è uno che non deve aver paura di fare cose nuove, diverse, che inizia mandando a fanculo le chitarre. Ed è una cosa bellissima questa, molto giusta. Poi però fai un disco che un po’ guarda indietro. Quindi alla domanda “hai fatto un’operazione nostalgica” la riposta è “no, ho fatto quello che mi diverte”.
Fare quello che mi diverte, poi comunque, senza scendere troppo in tecnicismi, se confronti dischi di allora con questo, il suono è comunque tutta un’altra cosa, a livello di dinamica, poi comunque ci sono delle tracce pensate prettamente per funzionare come tool da dancefloor. Per dirti, conta che uno come Danny Tenaglia lo ha ascoltato l’altro giorno e gli è piaciuto. Per me il punto di partenza è stato proprio quello che hai detto tu, la volontà di non omologarmi, l’omologazione è la cosa che manda in merda tutto. Capisco che i dj giovani hanno voglia di fare serate come ce l’ho ancora anche io, che se non lavoro un weekend do di matto, però questo non può tradursi nel fare sempre pezzi identici a quelli dei tuoi idoli. Magari per iniziare ti ispiri a qualcuno, ci sta, però Jamie Jones esiste già. Poi però devi sorprendere, non puoi inibire così la tua creatività, non puoi giocare in difesa. Poi la mia è solo un’opinione, però io voglio fare cose che si distinguano, sia che vadano in radio sia che vadano nei club. Adesso sto lavorando ad un progetto esclusivamente orientato al club, fatto solo di tools, che rappresenta il mio tocco nel mondo techno; non so se ci riuscirò, però intanto mi sto divertendo.
Beh, è un’idea più che nobile.
Sai io sono un romantico, anche se qualcuno pensa che io sia scemo, ma in realtà anche se a volte non sembra sono molto concentrato. Mi piace essere romantico perché sono appassionato come un bambino di questa cosa.
E ti dirò, io ormai qualche dj e qualche dancefloor li ho visti, e dal mio lato della console questo entusiasmo, questa passione, sono cose che si percepiscono assolutamente e fanno tutta la differenza del mondo. Anche se sei uno che non ha mai visto un dj suonare, ti accorgi se sei davanti a uno che sta facendo il compitino o a uno che ci sta mettendo del suo. Mi hai fatto venire in mente una cosa che ho letto anni fa in un’intervista a Fatboy Slim, in cui lui diceva che il tuo lavoro, come dj, è divertirti un 20% in più delle persone che hai davanti.
Ha assolutamente ragione, ma non a caso tutti i miei dj preferiti, penso ad esempio a Seth Troxler, o a Jamie Jones stesso che balla come un pazzo, o MK, o lo stesso Norman Cook, li vedi: cioè, oh, la vita è già dura, noi che dobbiamo far ballare la gente dobbiamo metterci qualcosa in più. Che attenzione, non vuol dire essere commerciali: guarda Nina Kraviz, che oltre a essere una bravissima dj è una bellissima donna, comunque ha sempre il sorriso; poi certo, ci sono anche i dj più concentrati e seriosi, e va benissimo, eh, però non è la mia storia.
Tra l’altro, una cosa che mi hai fatto venire in mente prima quando mi parlavi del video che stai preparando e che si ricollega tantissimo al discorso della passione che ci metti, è quello che hai fatto nella press release del disco: devo dirti che non mi era mai capitato di ricevere un disco che avesse tra le note di accompagnamento tre-quattro righe per ogni traccia che la raccontassero agli occhi di chi l’ha prodotta.
Sai, credo sia un po’ una questione generazionale, in questo momento il mercato richiede ai dj di fare tante release per essere sempre sulla cresta dell’onda, perché l’agenzia possa continuare a venderli, e per forza di cose va a finire che alcune risultano più sterili. Io però arrivo da un percorso completamente diverso, e anche se è vero che le tracce del disco hanno senso anche prese singolarmente, e volendo l’album si poteva dividere in quattro EP, sono comunque molto innamorato di quello che ho fatto, e ho voluto raccontare anche in modo verbale quello che pensavo dei pezzi. Per lo stesso motivo per raccontare a trecentosessanta gradi il disco, ho fatto il video teaser, che è stato un lavoraccio perché comprimere cinquanta minuti di musica in tre minuti e mezzo che siano significativi è stato un casino. E alla fine quello che è successo che ho dovuto tenermi, perché avevo un sacco di cose da dire sulla mia musica e rischiavo di dilungarmi troppo. Però ad esempio, se io avessi la possibilità di leggere cosa dice Thomas Bangalter, ma anche Jamie Jones, che come avrai capito è uno che mi piace un sacco, delle sue tracce, io leggerei un libro per ogni traccia: io non sono assolutamente come loro due, però mi è sembrata una cosa innanzitutto professionale, e poi una forma di rispetto per chi ascolta la musica, dare modo a chi volesse di saperne di più.
In effetti quando mi dici che è una cosa generazionale mi hai fatto venire in mente che in realtà un’idea del genere è tanto simile a quando “da giovani” compravamo il cd e leggevamo il booklet, che è una cosa che adesso quando senti il disco, tipo, su Spotify, un po’ si è persa.
Esattamente, non ci avevo pensato ma in effetti è una cosa molto simile, adesso la gente ascolta la musica così (si appoggia il telefono vicino all’orecchio, ndI) mentre sta mandando una mail e facendo mille altre cose, e per certi versi è dura fare musica quando su dieci persone che la ascoltano sette la ascoltano così, io ok, lo faccio per quei sette ma è per gli altri tre che la ascoltano su un impianto come si deve che sono venuto a fare il disco a New York. Ok, suona meglio anche su un telefonino, però credo che dobbiamo anche un po’ riappropriarci del fatto che i dischi devono suonare bene e che la musica va ascoltata bene, che non vuol dire per forza dover andare a tutti i costi negli studi grossi, è semplicemente una questione di approccio e di approfondimento, e a volte sembra che questa cosa non possa convivere con quell’altro aspetto, quello più legato all’immagine, che ne so, su Instagram, che ok, è fondamentale e l’ho imparato di recente, però non è che una cosa escluda l’altra. Se fai le foto da dio, bene, ma non vuol dire che non puoi anche fare dei dischi che suonino bene, e viceversa.
Però allora la domanda, che è quella che ci facciamo un po’ tutti in fondo, è come fare a far percepire a quello che ascolta la tua musica distrattamente su Spotify mentre fa duecento altre cose che tu ci hai messo quel qualcosa in più, che non è necessariamente lo studio figo e il suono più curato, ma è comunque qualcosa che è difficile da trasmettere.
Beh innanzitutto, al di là dello studio, per me nel caso di questo disco è importante che ci abbia messo le mani quello che è di fatto l’inventore del suono della house di New York, per cui se ti piace quel genere di musica fammi il favore di sentirlo su un impianto come si deve, o perlomeno in cuffia. Comunque è una questione culturale, per dirti, entri in libreria e ci sono cento libri del cazzo, ma magari fai lo sforzo di andarti a cercare un libro in fondo all’ultimo scaffale del negozio, perché ti piacciono i libri, torni a casa e lo leggi con tutto un altro gusto. Credo sia stato fatto un passo indietro in questo senso, grazie alla tecnologia che ha abbattuto drasticamente una serie di tempi dedicati alle passioni, è un po’ un ossimoro eppure è così. Poi ok, questo disco lo senti in discoteca e suona meglio degli altri, e tutti quelli che hanno orecchio o sono del mestiere mi hanno detto “porca puttana come cazzo suona!”, che è una cosa che mi rende l’uomo più felice del mondo, se poi non tutti se ne renderanno conto in fondo non fa niente, è una cosa che ho fatto principalmente per me perché ero io a volere che suonasse in questo modo.
Che poi anche questa è una cosa che si percepisce, almeno, se sei un ascoltatore un po’ smaliziato sei in grado di renderti conto di quando uno sta facendo un disco perché gli andava di farlo così e quando invece sta facendo il paraculo e vuole piacerti.
Anche perché a fare un disco qualunque, diciamocelo, non ci vuole proprio più un cazzo, cioè, su Internet puoi cercarti pure i loop nella tonalità che serve a te! Però è anche la differenza sostanziale che senti quando ascolti i pezzi su Beatport o su altri store, in cui trovi veramente tutto però senti cento pezzi e sono tutti uno il loop dell’altro più che essere dischi degli artisti.
Che tra l’altro è il dettaglio che sposta la conversazione da Stefano Fontana produttore a Stefano Fontana dj, perché sono curioso di sapere tu come ti orienti nel marasma di roba che esce oggi, rispetto a “quando eravamo giovani” che andavi al negozio di dischi e c’erano, a dir tanto, i cento dischi che erano usciti quella settimana.
Ammetto che, come penso tutti, anche se non tutti hanno il coraggio di dirlo, ho avuto un momento di grande difficoltà, nel senso che non capivo più un cazzo, avevo tanta roba, anche solo stando nel mio, nella house, e proprio perché c’era così tanta offerta mi capitavano dei momenti in cui guardavo nella borsa, o nel computer nel mio caso, e sentivo delle tracce che mi dicevo veramente “ma che cazzo è sta roba?”. Ora invece ho fatto un lavoro di pulizia e di selezione delle fonti molto importante, sono iscritto a due-tre pool che mi mandano delle anteprime già scremate in base a un lavoro di selezione che io ho fatto con loro nel momento in cui mi sono iscritto, e cerco di prendere il meglio che arriva da lì, che credo sia il meglio che offre il mercato, e poi mi faccio sempre il mio giretto su Beatport o su qualche altro store, ascolto, ma quello che fa la differenza è che ora se per quelle due-tre settimane mi sono perso il disco al numero tre della classifica di Beatport sticazzi, non mi interessa. Di questa cosa parlavo con Bot (ex Crookers, ndI), a entrambi è capitato qualche volta di passare tutta la settimana in studio e rendersi conto al venerdì sera di avere una serata nel giro di qualche ora, scaricare al volo le prime venti tracce della classifica di Beatport e cavarcela in qualche modo, però è avvilente, non può essere così, non è così che intendo l’essere dj, quindi è importante riuscire a ricavarsi del tempo per trovare le proprie tracce, io ad esempio faccio dei macrogruppi, cartelle sul computer nel mio caso, e poi ovviamente vado molto freestyle. Per questo, ad esempio, mi piace un sacco Seth Troxler, l’altro giorno ho visto il set che ha fatto assieme a uno dei miei eroi, Laurent Garnier, ed è stato meraviglioso perché percepivi l’enorme libertà espressiva che avevano entrambi. Ecco, io voglio pensare che chi mi chiama a suonare mi chiami per questo motivo, perché sa che creo un’onda, perché sa che metto un certo tipo di musica, poi ok, adesso è uscito un disco quindi magari ho un po’ di visibilità in più, però in fondo se sono qui da trent’anni, coi miei alti e bassi, credo sia anche perché questa direzione l’ho presa fin dall’inizio. Poi ok, ci sta che non puoi sempre giocare in Champions League, a meno che tu non sia il Real Madrid: per dirti, l’anno in cui è nato il mio primo figlio, ci credi che non me ne fregava niente? Alla fine le energie sono limitate.
Però io qui ci vedo anche tanto di generazionale e di legato all’esperienza, che per un dj è un fattore determinante: probabilmente, quando hai visto sia gli alti che i bassi, magari più volte, hai imparato il magico potere dello “sticazzi” che ti fa dire “ok, mi sono perso le ultime uscite della settimana” o “ok ho fatto una serata e non è stata gigantesca” ma non perdi comunque di vista la tua direzione, e credo che sia una cosa che impari col tempo, una pressa da cui impari a liberarti con molto tempo.
Certo, a meno che tu non sia una persona già superinquadrata in questo senso a vent’anni, ma credo sia rarissimo, e credo comunque che le nuove generazioni siano molto più formate di com’eravamo noi da questo punto di vista: io a diciott’anni ero un babbione, pensavo solo ai vinili e a nient’altro. Poi ok, ho imparato a fregarmene ma anche ora, se vedo che la gente non ha ballato ci rimango male e non ci dormo su, perché comunque io ancora ho una passione che se mi metto a fare a testate con gli altri dj per chi ne ha di più vinco io, non c’è storia, però poi la passione va veicolata, va gestita, va trasformata, va rinnovata. Però sì, tante volte anche sticazzi, anche se sono e rimango sempre un perfezionista, uno che anche quando va a suonare in un posto da cento persone scarse è comunque sempre la serata della vita, ogni volta.
E il perfezionismo tutto sommato però credo che invece sia una cosa che o ce l’hai o non ce l’hai, credo si faccia fatica ad allenarlo, e però per essere ancora in giro dopo trent’anni credo serva. Se penso ad altri dj con cui ho parlato che sono in giro da così tanto tempo, in effetti molti sono veramente attentissimi ai dettagli, alle piccole cose, e quando ci parli senti veramente che hanno il fuoco dentro che li anima. Per dirti, uno così è Jeff Mills, che è veramente un attivista, è uno che ha una missione a cui ha dedicato tutta la propria vita. E anche quella poi è una cosa che dal mio lato della console si percepisce, non so spiegarti come ma si percepisce.
Ah sì sì, assolutamente, è come quando una donna ti affascina e non sapresti dire perché, ci sono delle cose che passano da una persona all’altra senza che si riesca a spiegarle. Jeff Mills tra l’altro è assolutamente uno così, tutte le volte che sono andato a vederlo in passato uscivo che ero rapito, guardarlo è un po’ come andare a teatro. Poi è ovvio che se uno fa duecento date in un anno non possono essere tutte perfette, però nello spirito sì, è sempre così. E io lo spirito voglio mantenerlo, anche perché mi viene naturale. La disciplina sta nell’alzarsi ogni mattina e andare in studio anche nelle giornate in cui sembra che non ti venga niente, e sono tante, sistemare le macchine, ascoltare i dischi, mettere in ordine il computer, ed è lì che sta il difficile. Quando le cose non vanno bene è molto più facile mettersi a guardare gli altri, domandarsi perché loro hanno successo e tu no, invece la strada giusta da seguire è mettersi lì con la testa bassa e andare avanti perché evidentemente c’è un motivo per cui non sta andando bene, magari scelte sbagliate o semplicemente un momento storico in cui il tuo suono non funziona. Guarda Kerri Chandler: qualche anno fa dov’era? Era nel New Jersey a fare le sue cose, e adesso invece è ritornato alla ribalta fortissimo. Corsi e ricorsi. Quello che devi fare tu è essere in grado di rispondere presente quando ti chiameranno, è un po’ un lavoro da caserma, e in un certo senso a me piace.
Tu stesso, tra l’altro, hai avuto degli alti altissimi e dei momenti, diciamo, “meno alti”.
Bassi, bassi, proprio bassi! Non sto a nasconderli, anche perché non serve, e poi comunque è normale. Questo disco, tra l’altro, oltre ad avermi fatto recuperare un sacco di entusiasmo, spero possa portarmi in alcune zone, in alcuni contesti in cui magari ero meno presente, sembra che alcune delle tracce più “underground” dell’album stiano piacendo ad alcuni dj che penso possano riabilitarmi in alcune situazioni in cui magari ultimamente ero un po’ meno forte, e devo dirti che ho intenzione di continuare ad andare in quella direzione perché mi sento pronto a confrontarmi di nuovo con questi ambiti.
Ecco, ma rispetto a questa cosa: io faccio parte di una generazione che ha iniziato a comprare i dischi, a mettere i dischi e ad andare nei club in un momento in cui tu eri già una leggenda, però immagino che per via degli alti e bassi e dei corsi e ricorsi adesso ci possano essere dei ragazzi giovani che non hanno idea di chi tu sia, che si chiedono un po’ “ma questo chi cazzo è, da dove arriva?” Come la vivi questa situazione di doverti rapportare, di fatto, con due tipi di pubblico che sono, in sostanza, diametralmente opposti?
Beh sì è verissima questa cosa, è come quando ti danno del lei! Non è ovviamente una cosa che posso controllare. Per quelli “grandi”, diciamo dai trentacinque anni in su, in qualche modo non c’è niente da dirsi, ci conosciamo da tempo. Per i più giovani, spero di riuscire a stimolare la curiosità di quando esce un gruppo nuovo, che ne so, come quando qualche anno fa sono usciti i Disclosure, e che a qualcuno poi venga voglia di scoprire la storia a ritroso. Poi qualcuno sicuramente dirà per partito preso “è vecchio, non mi interessa”, ma è normale ed è anche giusto che sia così, anche se io non mi sento vecchio, però ci sta. La stessa cosa vale per le serate, è normale che tu non possa chiamare sempre gli stessi dj, e anzi è assolutamente corretto, quindi cosa fa chi ha una carriera lunga, se è minimamente intelligente? Innanzitutto accetta i momenti più bassi anziché dirsi che fa cagare, ma poi soprattutto si prepara armi nuove, perché il mercato di adesso, a differenza di quello degli anni ‘90, ti permette di rientrare. Certo, devi ovviamente prima di tutto continuare a fare buona musica e poi confrontarti con delle dinamiche nuove che, è vero, c’entrano di meno con la musica ma ci sono e sarebbe sbagliato ignorarle. Ne parlavo proprio di recente con un amico che ho in comune con Laurent Garnier, mi diceva che anche lui a un certo punto si è reso conto che il suo suono non era più “hype” per i giovani e si è tirato da parte per un po’, poi lui essendo un “supermegagiga” ha potuto gestire questa cosa più in autonomia, io l’ho decisa fino a un certo punto, ma in ogni caso lui si è preso del tempo per rinfrescarsi e poi ritornare più forte di prima, e infatti quel party di cui ti parlavo prima che ho visto di recente con Seth Troxler è stato devastante. Poi ok, facciamo le debite proporzioni, io so perfettamente chi sono e non ho bisogno di dire di me di più o di meno di quello che sono, ma anch’io in questo momento ho voglia di riprocurarmi delle occasioni. E questa voglia di procurarmi delle occasioni in modo non canonico è una cosa di me che mi piace un sacco, perché mi dà modo di entrare nell’arena, anche prendendo degli schiaffi se necessario, di mettermi in gioco, è molto più stimolante di stare sempre in panchina e magari entrare dieci minuti una volta ogni tanto.
Che è un’idea che tra l’altro mette un po’ insieme due grossi argomenti che abbiamo toccato, cioè il saper accettare che ci sono alti e bassi e il saper sfruttare i secondi per ripartire dall’idea di sfanculare quello che c’era prima.
Esattamente, ed è proprio ripartendo dai momenti bassi con l’esperienza e con la voglia che poi alla fine alzi il livello. Questo disco, se lo guardo nel suo insieme, non sulle singole tracce ma come un oggetto intero, probabilmente è il migliore che ho fatto, per omogeneità e per coerenza. Se riascolto tutta la mia discografia, ok, magari non c’è una hit come “Baby Beat Box”, ma sono anche cambiati i tempi, però è comunque un disco che non avrei potuto fare se non avessi passato tutto quello di cui stiamo parlando. Poi comunque devi sempre tenere conto che i tempi cambiano, sempre: per dirti, io ho avuto residencies a Ibiza per tanti anni, ma poi le cose sono cambiate, e per ritornare devi mettere in conto che le cose cambiano, ovviamente a parte quei dieci che ci sono sempre, tipo Carl Cox, ma stiamo parlando dell’Olimpo. Noi comuni mortali invece dobbiamo sapere che il cambiamento è sempre dietro l’angolo.
Tra l’altro, quando mi dici che questo disco è probabilmente il migliore che hai fatto, quanto è perché in effetti è l’ultimo disco e lo dicono tutti dell’ultimo disco che hanno fatto e quanto invece è perché è un disco che è tanto solamente tuo? Per dirti, il disco precedente e quello prima ancora avevano molte collaborazioni e featuring, qui invece siete solo tu, Kena e Dave. (Kena Anae, che canta in tutto l’album, e Dave Darlington, ingegnere del suono, ndI)
In effetti detta così sembrava un po’ una banalità! (ride) Però in realtà hai trovato esattamente il punto. Mi sono allenato tanto, cioè ok, io le macchine le so usare, però volevo imparare un approccio nuovo, te lo dico senza alcun problema, mi sono messo a guardare i tutorial su Youtube dei ragazzi di vent’anni che fanno un genere a me affine per poi rendermi conto che a parte due o tre tecnicismi sottili alla fine non cambia niente rispetto a come ero abituato a fare musica io, quindi nel mio caso si trattava probabilmente solo di un po’ di stanchezza. Stavolta quindi ho deciso di prendermi un rischio, come quando un attore di teatro fa un monologo: è un rischio completamente diverso da quando sei in cinque o sei sul palco e magari nei momenti in cui non sei al massimo della tua forza non sei da solo. Questo disco, a parte ovviamente l’aiuto di Kena che è stato fantastico e ci siamo trovati benissimo insieme, è stato un po’ la riprova, anche perché non è che ti puoi mentire per tanto tempo. Io non sono in grado di fare quello che butta fuori tonnellate di tool a caso, anche se mi piace fare i tool, ma quello che conta per me è avere chiaro in mente un percorso e sapere perché fai le cose che fai. Quindi ecco, mi sono messo da solo e niente, l’ho fatto, e devo dirti che mi piace un casino sto disco, sono davvero orgoglioso di averlo fatto.
Che tra l’altro è una cosa a suo modo un po’ strana, perché mi dicevi che il disco ormai l’hai finito da un po’, e tanti produttori di solito dopo che hanno lavorato a lungo su un disco non vedono l’ora di metterselo alle spalle e dedicarsi a qualcosa di nuovo e trovano noioso il lavoro di promozione che ti costringe a continuare a sentire a oltranza delle cose che ormai consideri finite.
Beh, devo essere sincero, per quasi un anno non l’ho ascoltato! Però sono arrivato a un punto in cui per me era, non perfetto, perché la perfezione non la raggiungi mai, però era giusto, sentivo di non poterci aggiungere né togliere niente, e adesso devo dirti che mi piace ascoltarlo, mi guardo il teaser e mi diverto. Mi sento proprio come un adolescente, com’ero all’inizio, ma nel senso esattamente contrario delle varie operazioni nostalgia, è proprio l’opposto, è un’operazione per costruire un continuum. Che poi a me le operazioni nostalgia fanno venire l’acidità di stomaco, quando sento dire “facciamo una serata anni novanta” mi viene veramente la lacrima, perché la stiamo facendo ogni volta la serata anni ottanta-novanta-duemila, le influenze le senti comunque, e allora che necessità c’è di limitarsi così? Magari una volta lo fai, ma poi è limitante. Ok, un conto è il Deejay Time, che però faceva tutta un’altra cosa, hanno fatto qualcosa che è stato unico nel mondo ed esula da quello di cui stiamo parlando, ma se senti dei dj come, che ne so, i The Martinez Brothers, magari ti fanno mezz’ora di house anni Novanta e poi in mezzo ci mettono le robe nuove.
Certo, è limitante tanto quanto dire a un dj di fare una serata solo con dischi del 2018, mentre al contrario la bravura di un dj è proprio l’abilità di sorprenderti mettendo un disco che magari se te lo dico così a parole sembra una pessima idea e invece glielo senti fare ed è perfetto.
Esatto! E quando la sbagli te ne rendi conto, perché alzi gli occhi e la pista è vuota, ma il dj bravo è quello che ti mette un disco che non ti aspettavi e dici “minchia!” e viene giù tutto il mondo. Quelli sono i dj, e sarà sempre così.
Senti, invece, cambiamo del tutto discorso: mi racconti la storia di Sound Identity? Non ne sapevo granché e invece mi pare una cosa interessantissima.
Certo, non è assolutamente una cosa che ho mai tenuto nascosta, anzi: già una decina d’anni fa, proprio in un momento in cui giravo un po’ a vuoto, ho deciso di approfondire un argomento che mi interessava tantissimo, ossia la connessione tra il marketing e la musica, come il marketing usa il valore della musica nelle sue azioni. Ho iniziato a interessarmi a questo tema quando è capitato che tante mie tracce venissero usate per degli spot pubblicitari, e ho iniziato a chiedermi perché e a cercare di approfondire questo discorso, fino a cercare di industrializzare l’idea e a creare una società che facesse consulenza in questo ambito.
Che tra l’altro immagino fosse una professionalità che in quel momento non esisteva minimamente.
No, infatti, è stata una cosa molto da precursore e anzi per tanti anni è stata una cosa molto divertente ma non se la cagava davvero nessuno: tutti gli amici mi dicevano “ah, che figata”, ma il mercato non era forse ancora pronto. La mia idea, e quella di altre società che sono emerse nel frattempo, era che come qualunque brand sta dei mesi a decidere il font e il logo che lo rappresentano, allo stesso modo il suono che lo rappresenta in tutte le sue declinazioni, come ad esempio negli spot, nelle suonerie, nella musica nei negozi, o agli eventi, eccetera, dev’essere molto coesa e coerente coi valori del brand. In sostanza, io ho studiato ingegneria e ho applicato un approccio ingegneristico allo studio di questa materia, che tra l’altro poi mi è stata utilissima anche per fare i dischi, perché la conoscenza che ho acquisito su alcune meccaniche e alcuni meccanismi della musica mi è tornata utile. In questo tra l’altro sono un po’ tanto old-school, perché penso che la cultura in generale non faccia mai male. Insomma, ho messo in piedi questa società con altre due persone e abbiamo fatto molta fatica all’inizio, poi a un certo punto, ti parlo di quattro-cinque anni fa, il mercato si è reso conto che la comunicazione per immagini era stata spremuta al massimo e si poteva usare la musica e affidarsi a dei professionisti che ti diano dei criteri non soggettivi per individuare, per fartela molto breve, come “suona” un brand. Poi si approfondisce ulteriormente, si traducono i valori del brand in timbri, in mood sonori, e poi la cosa si può complicare ulteriormente, perché magari puoi costruire delle playlist per i negozi del brand ma devi tenere conto delle aree geografiche, del fatto che magari in qualche posto non si possono dire parolacce, ma tutto deve rimanere col denominatore sonoro comune che hai deciso all’inizio. Per me è stata una cosa estremamente formante e lo è tuttora, sono tuttora l’amministratore delegato della società, anche perché sono l’unico socio, e questa cosa è un po’ il “progetto B” della mia vita, anche se in alcuni momenti diventa il “progetto A”. All’estero hai diversi dj che fanno anche altre attività collaterali rispetto alla musica, sai, magari qualcuno fa i vestiti, tipo Marcelo (Burlon, ndI), per restare vicino casa, fa i vestiti e fa il dj ed è bravissimo a fare entrambe le cose, io invece ho preferito restare vicino alla musica, nel mio mondo.
Anche perché, raccontata così, è una cosa che è tantissimo “da dj”, assomiglia tantissimo al momento in cui arrivi in console in un club, metti le cuffie, ti guardi attorno e scegli la musica che rappresenta il contesto che hai attorno e il mood verso cui lo vuoi guidare. E in questo senso quindi è probabilmente qualcosa per cui un dj d’esperienza è veramente la persona perfetta.
Esattamente, solo che sei seduto a un tavolo con un direttore marketing, però è assolutamente identico! Secondo me se tu prendi dei dj che hanno testa, che nella propria carriera hanno fatto un po’ più del loro compitino, puoi tranquillamente metterli a fare i direttori creativi di un brand, soprattutto se hanno una formazione manageriale di qualche tipo, e probabilmente dovrebbero averla. Per dirti, io adesso sto cercando di imparare come fare per avere un linguaggio comune quando devo comunicare con gli amministratori delegati, però poi comunque esco e il pomeriggio lo passo in studio con l’MPC a fare i suoni. E per me è importante avere entrambe le cose, non solo dal punto di vista economico ma anche perché mi permette di restare sempre a contatto con la musica, e anzi una cosa aiuta l’altra e viceversa. E poi, oltre a essere un bell’esercizio mentale, mi ha dato modo di avere un sacco di contatti che altrimenti non avrei avuto, mi ha dato la possibilità di venire a New York a fare musica, mi ha fatto incontrare delle persone davvero capaci, da cui ho imparato un sacco.
Beh sì, se hai l’approccio giusto già solo avere a che fare con persone che fanno qualcosa di diverso da quello che fai tu è un’opportunità per imparare qualcosa di nuovo.
Certo, è qualcosa che vale sempre nella vita, figurati poi se lo applichi a un mestiere o a una passione. In questo senso credo di essere fortunato, anche se non credo sia solo fortuna perché mi ci è voluta anche tanta determinazione nei momenti in cui rischiava di andare tutto male, e anche nei momenti in cui era più di un rischio.
Tra l’altro in quei momenti, che come ci dicevamo sono fisiologici e inevitabili, avere un “piano B” che ti permetta di diversificare gli sforzi e di cambiare prospettiva probabilmente ti aiuta, fosse anche solo per rinfrescarti un po’ la mente.
Esattamente, anche perché oltretutto io, fossi anche il dj più ricco del mondo – e non è così – io comunque dopo un po’ mi rompo il cazzo, io ho bisogno di alzarmi la mattina e imparare qualcosa, avere qualcosa da fare, avere una sfida, io voglio ascoltare la musica. Per dirti, sembra una cazzata, ma adesso a breve esce il disco dei Cassius, e a parte che sono degli amici, devo dirti che sono eccitato, ed è di questa eccitazione che ho bisogno.