E’ un po’ il caso del giorno, se non della settimana, se non del mese, il reel che è apparso su Instagram di “3 Days Awake”: la collaborazione fra Marco Faraone – che dovreste conoscere bene, anche seguendo queste pagine – e Stella Bossi, e dai numeri che lei ha su Instagram (veleggia ormai verso il milione di follower) dovreste conoscere bene pure lei. Prima di tutto, vai con l’embed:
Bene. Visto? Di sicuro, non lascia indifferenti. Di sicuro, spinge a reazioni forti.
Viene da dire, prima di tutto: e meno male. Accidenti, meno male. Il mondo della techno e della tech-house è infatti da un sacco di tempo mortalmente piatto: anche e soprattutto perché si prende drammaticamente sul serio. Già.
Tutto questo nerovestirsi, tutte queste immagini di producer pensosi ed accigliati, tutti concentrati su una musica che, in realtà, è stagnante e su binari pretedeterminati da un sacco di tempo quindi viene da chiedersi perché sei così pensoso e così accigliato; ma rientra nella categoria “prendersi sul serio”, altra faccia della stessa medaglia infatti, anche il profluvio di immagini festanti, vincenti, sale sempre piene, serate che sono sempre “a blast”, una realtà edulcorata che si rifiuta di mostrare ciò che sta dietro ai lustrini dell’euforia continua. Oh sì. Sono due facce della stessa medaglia. Quella medaglia di una scena che, forte magari anche dei guadagni economici e del prestigio sociale presso la gente-che-piace (vesi il sistema fashion d’alto livello), ormai si crede abbastanza ‘sto cazzo, e fa fatica a prendersi un po’ per il culo da sola.
Ben venga allora qualcosa che dissacri. E che dissacra estremizzando, sì. Chi ha commentato sotto questo video scandalizzato dal fatto che “…si dà una immagine sbagliata della techno”, dal fatto che si faccia apologia di tossicodipendenza, dal fatto che “questi artisti-da-Instagram spuntano come funghi”, dal fatto che sempre questi due mettano in una luce positiva la dipendenza da cocaina che invece è una cosa che uccide, ecco, chiunque abbia fatto così è noioso e poco profondo tanto quanto la più dozzinale della tech-house commerciale e “da instagram”.
Invece, abbiamo bisogno di qualcosa che scompagini le acque.
Abbiamo bisogno di riportare un po’ il clima iconoclasta del primo electroclash (…ve lo ricordate, o siete troppo giovani e/o ad Ibiza ed al Berghain non ve ne hanno parlato?), col suo sarcasmo, con le sue tracce che sanno essere piccoli inni intrisi di black humour sguaiato e non solo il solito display di inappuntabile ingegneria del suono con due suonini in croce, e stop.
Non solo. Abbiamo anche il bisogno di qualcuno che affronti, ridicolizzando, anche il grande non-detto della stupefacenza nella nostra scena.
Qui siamo da sempre per la responsabilità individuale, siamo da sempre per la libera scelta, e siamo da sempre per tutto questo partendo dal presupposto che ci deve essere libera e completa informazione senza ipocrisia: ovvero, le droghe si possono usare – ed accidenti quante persone le usano – ma possono anche fotterti completamente il cervello e trasformarti in una mezza persona o, addirittura, sul lungo andare o col tanto abusare in un rottame rincoglionito ed inutile (…come del resto accade nel video di cui sopra, se uno si degna di guardarlo sino in fondo).
L’eccesso di serietà ed autocompiacimento della scena attuale nasce spesso da due partiti uguali e contrari: da un lato dalla posizione accigliata e moralista di chi non ce l’ha fatta e allora per giustificarsi tira in ballo presunti valori old school ed eterni di un benpensantesimo da Giovanardi (ma siete mai stati ad un rave o ad una serata acid house o ad una techno anni ’90?); e dall’altro dall’euforia arrogante, ingessata ed “a comando” di chi guadagna tanto e tanto tira su col naso, diventando a lungo andare un pallone gonfiato pieno di sé. Detto proprio senza infingimenti.
Posizione personale: affrontare il clubbing sistematicamente da drogati è faticoso, fa male al fisico ed alla testa sul lungo periodo, ti impedisce di sintonizzarti davvero con la musica – perché il tuo focus diventa la droga e la sua assunzione, non altro. Quindi ecco, figuriamoci quanto posso essere favorevole al magnificare l’uso trionfale della cocaina in contesti techno e house, sapendo quanto possa sfuggire di mano, quanto sia facile diventarne dipendenti (e quante persone ci restano, anche solo temporaneamente).
Ma al tempo stesso questa cosa del consumo esiste, è una presenza; lo è tanto nel mainstream quanto nell’underground (già); e proprio desacralizzarla in questo modo parodico potrebbe aiutare a dare la giusta dimensione al fenomeno, invece di nasconderlo dietro la scusa dei vizi privati da non svelare pubblicamente o della necessità di un intransigente moralismo salutista che mai c’è stato e mai ci sarà, se non in qualche nicchia integerrima.
Mal che vada, al di là di tutti questi discorsoni, siamo tutti abbastanza intelligenti da poterci fare una risata, capendo la portata grottesca di questo reel. E, sperabilmente, siamo tutti abbastanza intelligenti – e abbiamo amici abbastanza intelligenti – che non è che se vedono questo video la prima o la seconda cosa che pensano è “Che divertente la cocaina, voglio fare come loro, voglio essere come loro, vado a farmi una pista!”.
Oppure no?