No, forse stavolta non è questione di gridare “Al lupo, al lupo” e poi alla fine non succede nulla, come mille altre volte: le ingiunzioni di sfratto al Leoncavallo milanese negli anni sono state infatti tantissime, vero, ma esattamente come alla fine Al Capone è stato incastrato per le tasse e non per i crimini, allo stesso modo potrebbe essere una recente sentenza “atipica” a far fare il salto di qualità nella questione. La Corte d’Appello di Milano ha obbligato il Viminale – ovvero, il Ministero dell’Interno, lo stesso Ministero che ha avuto notevoli alzate d’ingegno all’epoca dell’hype moralista attorno ai rave – a risarcire i proprietari materiali dell’edificio che ospita da quasi trent’anni il Leoncavallo con una cifra per niente piccola, tre milioni di euro. Non si era mai arrivati a questo. Con tutti questi soldi che ballano, questa volta le cose rischiano di andare in altro modo rispetto al solito tran tran arriva-l’ingiunzione-la-ignori-non-succede-nulla. Il d-day, quello previsto per l’esecuzione dello sfatto, è il 10 dicembre. Per chi volesse:
Ora, la questione è spinosa, lo sappiamo. La proprietà privata è sacra, ma viene da chiedersi se lo sia anche la speculazione immobiliare, soprattutto nel momento in cui viene a danneggiare e cancellare voci culturalmente libere e non allineate: sicuri sicuri che nel cambio ci si guadagna? Vogliamo davvero così tanto bene a chi diventa ricco con la speculazione bancaria e con l’immobiliare? Per giunta in questi giorni un altro spazio alternativo milanese, il Tempio Del Futuro Perduto, ha lanciato l’allarme; e come sua ormai consolidata caratteristica l’ha fatto in maniera più pop e più clubbara, con un post congiunto con Resident Advisor:
Anche il Tempio insomma si sente in pericolo, pur essendo giuridicamente uno spazio diverso rispetto al Leoncavallo, un po’ più “regolare” e regolarizzato diciamo. Ma anche lì: la scelta di aumentare l’affitto e di far capire che l’immobile è a disposizione sul mercato è una scelta politica, esattamente come è una scelta politica decidere – come lo si è deciso negli ultimi trent’anni – che il Leoncavallo era una realtà con una tale funzione sociale, culturale ed aggregativa che si poteva concedere di passare oltre alla sua situazione de facto illegale.
Gli argomenti sono quelli che già avevamo sviscerato ai tempi di Macao. Peraltro, la fine un po’ cupa ed ingloriosa di Macao stesso – per autodissoluzione, praticamente, e nella complessiva inazione generale – assolutamente in contrasto coi fuochi&fiamme della proposta socio-culturale offerta negli anni della sua esistenza, così come della sua “sicurezza” comunicativa, inizia a porre la domanda se il modello dello spazio occupato sia ormai definitivamente una questione vintage, una sorta di modernariato politico/sociale (e il modo in cui si è costituito il Tempio, il più recente dei tre, parrebbe confermarlo) che non attecchisce più granché.
Fosse così, sarebbe una notizia triste. No, non è questione di “incoraggiare” all’illegalità: è questione che il problema di crearsi ed ottenere degli spazi che siano liberi ed indipendenti rispetto alle dinamiche di mercato è qualcosa che accidenti dovrebbe stare a cuore a tutti, ed alle nuove generazioni dovrebbe farlo ancora di più. Soprattutto ora che il loro spazio sociale ed emotivo è dato troppo spesso e in troppa misura dato in usufrutto/regalo a Meta, TikTok e qualche altra piattaforma quotata in borsa e con l’obbligo costitutivo del profitto più o meno immediato. Ma accade davvero, che ci si ribella a tutto questo o almeno ci si pone il problema? Si è consci di questi rischi? E soprattutto: si ha idea che le cose realmente importanti e realmente profonde e che realmente ti cambiano la vita costano fatica, esattamente come costa un mare di fatica auto-gestire un posto?
(Uno scorcio all’interno del Leoncavallo; continua sotto)
Di sicuro è alle istituzioni che dovrebbe interessare avere dei cittadini coinvolti, consapevoli, attivi. È così che le democrazie si fanno più sane e si costruiscono gli anticorpi contro la disinformazione, contro i totalitarismi, contro la rassegnazione, contro le ingiustizie. Poi non andiamo a lamentarci se ci sono troppi analfabeti funzionali che credono alle balle di Putin (e, se è per questo, anche a quelle dell’Occidente): “La libertà è partecipazione” diceva Gaber in tempi non sospetti, e oggi questa sua frase è più cruciale che mai.
In sintesi: avremmo bisogno di più spazi occupati ed autogestiti. Oh sì. Ce ne gioveremmo tutti, sul medio-lungo periodo. E riguardo all’illegalità dell’occupazione, beh, sono talmente tanti gli edifici abbandonati ed inutilizzati in Italia – e lo sono o per sciatta incuria, o per speculazione finanziaria: scegliete voi il peggio – che ogni discorso sulla “protezione della proprietà privata” come dogma è semplicemente ridicolo, o comunque dai, diciamolo con più moderazione, è fuori fase, è miope, è astigmatico. Per inciso, se pensiamo al Leoncavallo, la famiglia Cabassi non è certo finita in mezzo ad una strada dopo aver concesso lo stabile di Via Watteau per levare le castagne dal fuoco alle istituzioni di allora; e lo ha concesso non gratis et amore dei, ma con un tornaconto ben preciso. Chi c’era al momento della trattiva, sa.
La politica deve prendersi carico della possibilità di incoraggiare la nascita di posti che operino sperimentando vie espressive libere, non vincolate cioè al mercato ed alla burocrazia. Succede in tutte le parti del mondo, anche e soprattutto quelle dove il business dell’industria dell’intrattenimento prospera, vedi un po’ che bizzarra coincidenza. Poi chiaro: può farlo in maniera “soft”, come accaduto col Tempio, regolarizzandone la presenza con contratti d’affitto di favore; può farlo in maniera fondamentalmente paracula usando la tecnica dello struzzo (come accaduto appunto per anni col Leoncavallo); può farlo in maniera più costruttiva creando un dialogo con le realtà che portano avanti autogestioni sensate e di oggettiva importanza sociale e culturale (non è impossibile capire quando essa sussiste, dai, su) o, se non un dialogo, permettendo almeno che certe realtà si possano sviluppare senza bastoni tra le ruote, senza vessazioni inutili ed imposizioni esterne paternaliste.
(Continua sotto)
Le esperienze più avanzate ed interessanti negli ultimi anni spesso nascono da questa ultima ipotesi. Senza andare per forza nel politico, nel controculturale e nel “centrosocialismo”, così non si innervosisce nessuno, è notizia recente che un polo d’eccellenza della elaborazione della “nuova” cultura in Italia, il veneziano Cosmogram, è a rischio sfratto. Ecco, a proposito della capacità di individuare parametri oggettivi per capire l’importanza di un’esperienza: per la difesa di Cosmogram si sono spesi nomi come Brian Eno, Gavin Bryars o, per stare nel “nostro” mondo, Kode9, Caterina Barbieri, il co-fondatore e direttore artistico di C2C Sergio Ricciardone, ma l’elenco è davvero lungo. Bene: “proteggere” in qualche modo una esperienza del genere dovrebbe essere compito di una amministrazione avveduta, e sarebbe sconfortante vedere la Città di Venezia che si volta da un’altra parte dopo l’appello pubblico di Emanuele Wiltsch Barbiero, il creatore dell’esperienza-Cosmogram.
(All’interno di Cosmogram; continua sotto)
Ogni situazione è diversa. La situazione del Leoncavallo è diversa da quella del Tempio che è diversa da quella del Cosmogram. E, come dicevamo, il dubbio se l’esperienza del Centro Sociale Occupato Autogestito sia ormai da consegnare agli annali della storia e/o sia residuale socialmente, un riverbero della stagione degli anni ’70, ’80 e ’90, c’è. Ma ciò che di sicuro c’è è che il Leoncavallo è ancora oggi uno spazio aggregativo importante, un punto di riferimento anche per alcune esistenze ai margini e non allineate, un incubatore culturale che continua a farsi sentire (per parlare di cose “nostre”, grazie al lavoro in primis del collettivo di Lobo il miglior clubbing in città – quello più scevro di cazzate sovrastrutturali e di volontà modaiole di ostentazione, quello più vicino alla musica nella sua essenza – nell’ultimo periodo lo si è avuto proprio al Leoncavallo). Del Tempio nemmeno serve dire qualcosa, visto quanto è attivo nel comunicare – con giusto orgoglio, e ogni tanto con un eccesso di retorica – le proprie iniziative e i propri meriti. Milano sarebbe meglio, senza di loro? Sarebbero meglio le vita di chi Milano l’attraversa, e ne trae idee, energie, afflati imprenditoriali legati alla cultura?
Le esperienze vanno e vengono, certo. Vedi appunto Macao: possono estinguersi, possono avere il loro ciclo, iniziare cioè e terminare. Ok. Ma il Leoncavallo si porta comunque dietro decenni di storia, una storia importantissima nel “capire” l’Italia dal Dopoguerra ad oggi, e il Tempio ha avuto il merito di parlare meglio di altri alle nuove generazioni ed a nuovi pubblici politicizzati sì ma in maniera “diversa”, molto più contemporanea e meno schierata. Non è poco.
Poi in un mondo ideale tutte le persone che credono in un certo tipo di cittadinanza attiva e/o in una cultura non asservite alle logiche di mercato si unirebbero, e sappiamo quanto questo non sia successo (i bisticci tra Macao e Tempio sono stati a lungo un must, su Facebook, e di sicuro nessuno di loro si è mai occupato troppo di “fare sistema” con altre realtà già esistenti in città, tranne qualche sporadica eccezione). Però ecco, quello che conta è il concetto: abbiamo bisogno, tutti!, di spazi aggregativi e culturali di un certo tipo.
Di sicuro è alle istituzioni che dovrebbe interessare avere dei cittadini coinvolti, consapevoli, attivi. È così che le democrazie si fanno più sane e si costruiscono gli anticorpi contro la disinformazione, contro i totalitarismi, contro la rassegnazione, contro le ingiustizie. Poi non andiamo a lamentarci se ci sono troppi analfabeti funzionali che credono alle balle di Putin (e, se è per questo, anche a quelle dell’Occidente): “La libertà è partecipazione” diceva Gaber in tempi non sospetti, e oggi questa sua frase è più cruciale che mai
Ne hanno bisogno pure gli spazi di intrattenimento commerciali e 100% legali: perché sono gli spazi “alternativi” a fare da incubatore alle mode ed alle pratiche su cui domani proprio gli spazi commerciali&legali in questione faranno fatturato, e si guadagneranno da vivere (…in qualche caso pure molto bene), e ci faranno vivere meglio.
Se non volete farlo per gli ideali – peccato, eh – fatelo allora almeno per i soldi, e per il vostro benessere personale futuro. Senza un’idea di Leoncavallo, e senza il Leoncavallo stesso, Milano diventa più povera.
…se poi nel frattempo si hanno idee e proposte migliori, ben vengano. Nel frattempo, speriamo che quello del 10 dicembre sia l’ennesimo allarme a vuoto, per il Leoncavallo. E che il Tempio possa continuare le sue buone pratiche, le sue buone intenzioni.