Iniziamo con un’affermazione: siamo stati a Sticker Mule, e ci siamo divertiti. Non da ricordarci in eterno l’esperienza appena trascorsa, intendiamoci, ma comunque ci siamo divertiti. La musica è stata esattamente come ce l’aspettavamo, ma d’altra parte con una line up del genere c’era davvero pochissimo margine d’errore; purtroppo però la musica, nonostante sia componente essenziale in un festival, non basta a rendere tutto perfetto. Cos’è successo? Proviamo a rimandare indietro la macchina da presa.
Qualche mese fa, sulla bacheca di Facebook di molti di noi ha iniziato a girare un video dove un drone sorvolava una spiaggia e il mare adriatico. In primo piano comparivano poi nomi di tutto rispetto come quello di Carl Craig, Jolly Mare, Radioslave, Glenn Underground, Prins Thomas e chi più ne ha più ne metta. Chiaro è che per gli appassionati del genere il click sulla pagina fan di Sticker Mule Festival è arrivato facile. “Che roba è?” ci si è chiesti. Il video ricordava molto quello di un altro festival sempre sul mare, ormai punto di riferimento per gli amanti della formula spiaggia+clubbing: il Dimensions. All’inizio non era chiaro di che si trattasse, ma col passare del tempo abbiamo capito che Sticker Mule era un festival che proprio non era il caso di perdersi. Non con tutto quel popò di artisti.
La tre giorni tra il 24 e il 26 agosto che ha avuto luogo in uno spazio del campeggio Heliopolis di Pineto, ridente località marittima abruzzese orizzontalmente sulla stessa linea d’aria di Roma, è iniziata al giovedì, ci dicono, un po’ sottotono. Ci dicono, perché causa impegni non riusciamo ad arrivare per la serata d’apertura, dove Rodion, Mr Scruff, Tiger&Woods e soprattutto un Carl Craig sul velluto, regalano set qualitativamente alti.
Venerdì finalmente ci siamo anche noi. Una volta parcheggiata la macchina, non sappiamo che ci aspettano quindici minuti buoni di camminata lungo una pista ciclabile che porta direttamente alla venue. Di certo un po’ di movimento non ci spaventa e così, a passo decisamente svelto, raggiungiamo il luogo del festival. Non ce lo aspettavamo, ma, passati i controlli lo spettacolo che ci si para innanzi è decisamente triste: la birra è ancora imprigionata nei fusti causa banconi dei tre bar tutti mediamente vuoti, esiguo il numero dei festanti davanti al palco, quasi maggiore, invece, quello delle persone sparpagliate in un’area food comunque elegante, dove si gustano arrosticini e vettovagliamenti locali. Al grande rettangolo ricavato dal camping non manca nulla logisticamente: stand alimentari, banchetti dove si regalano gadget a firma Sticker Mule e persino uno shop per gli appassionati dove comprare dischi. Il tutto però ha il sapore della grandiosità se rapportato alla partecipazione ed è in più spalmato su un bacino che in termini di metri quadri è enorme. Esagerato, come il palco, che per dimensioni sembrerebbe più consono ad ospitare i Capriati e i Liebing di turno.
Arriviamo che Moscoman sta suonando gli ultimi dischi, ma a sentir parlare chi è lì da più tempo, sembra che l’israeliano non sia riuscito a mantenere compatta la pista dopo la performance di Sadar Bahar prima di lui. Moscoman non dispiace, anzi, ma è l’aria da “festa” che sembra non partire mai, neppure, purtroppo, con Love Fingers – complice anche una selezione che si “adagia” sul sentiero dell’afro-psichedelia, un connubio di non facile approccio, ecco. La cornice migliora con l’arrivo di Prins Thomas: le chiazze di vuoto vanno pian piano riempiendosi quando il norvegese esordisce con un paio di tracce disco assai tradizionali. Il Principe del Norte è in forma smagliante, però: ci regala un set variopinto ed elegante, assolutamente all’altezza delle aspettative e tiene tutti quanti attaccati al dancefloor per un’ora e mezza, chiudendo circolarmente da dove aveva cominciato con una versione parzialmente distorta ma riconoscibilissima di “Amarsi un po’” di Battisti (finale a sorpresa, a metà tra il tocco di genio e la paraculaggine). Sono lacrime agrodolci con quella buona dose di pelle d’oca, e tutto va come deve….
La notte fila liscia, sia per chi la trascorre sotto un tetto, sia per chi, più romanticamente e più squattrinato, decide di trasformare la spiaggia di Pineto in un “comodo” letto affacciato sulla volta stellata e sul mare. Poco conta, il giorno dopo (sabato, ndr) siamo di nuovo tutti davanti al palco. Tutti, si fa per dire: sono le 19, e Jolly Mare sta deliziando non più di cinquanta persone con la sua musica bellissima, consegnandoci qualche chicca come “Tequila” di Bo Boss, una versione funky di “Candida Follia” di Nada, e il nuovissimo edit di “Andamento Lento” di Tullio De Piscopo, che è davvero un missile. Anche in questa occasione la musica ci dà quello che non c’è in pista, perché purtroppo 48 persone sono davvero troppo poche affinché si instauri quell’empatia a tratti indispensabile tra l’artista e il dancefloor, soprattutto perché gli spazi sono troppo ampi e la situazione diventa davvero dispersiva. Dopo un cambio palco relativamente breve, ecco arrivare Kerri Chandler, uno dei padri fondatori dell’house music made in USA. Chandler riesce a riportare il dj alla sua funzione – ci verrebbe da dire – “sciamanica”: nonostante non sia proprio piccolino, sparisce tutto dietro la consolle e ai dischi suonati, cosicché i suoi duecentoquaranta minuti filano via ch’è un piacere in un viaggio nell’universo house lungo trent’anni, dai Groove Commitee a Liem. E’ sabato, l’house è un piatto meno elaborato di quello del giorno precedente (ed è più buono perché fa divertire). E’ la prima volta che accade, ma al passaggio di testimone tra Chandler e Radioslave ci troviamo finalmente davanti ad un dancefloor compatto e ad un vibe decidamente più “da festival”. Radioslave poi ci mette il carico da novanta non risparmiandosi in nulla e picchiando senza pietà, facendo alzare i decibel e i giri della situazione e dispensando presa a bene fra i presenti.
A segnare la parola fine in grande stile a questa prima edizione di Sticker Mule Festival ci hanno pensato gli organizzatori che, mentre Matt Edwards ci faceva sognare intrecciando tra loro “Baby Baby” e “Never Grow Old” di Robert Hood in versione Floorplan, hanno allestito uno spettacolo pirotecnico che ha dato quel tocco magico in più alla serata. Serata che, a nostro avviso, è andata esattamente come ci aspettavamo. La scelta di concludere il primo capitolo di Sticker Mule con un dj come Radioslave è stata perfettamente centrata, dando un tono più techno a tutta la questione e regalando al pubblico proprio quello che voleva. Ed è stata la musica, sicuramente, che non è mai caduta nel banale e che anzi ha regalato perle d’alto lignaggio, la regina indiscussa dei tre giorni. Ciò che invece non abbiamo avuto la possibilità di valutare, causa mancanza di gente e, quindi, affluenza, è se l’organizzazione e l’allestimento della location siano stati all’altezza. Le strutture sono sì sembrate consone, ma è mancata un banco di prova probante per valutare l’efficienza dei servizi di fronte alle classiche seccature da festival (leggi soprattutto file e accessibilità alle diverse aree del luogo).
Purtroppo, nonostante la musica abbia davvero rispettato tutte le aspettative, non deludendo quasi mai, la scelta della venue e del luogo del festival hanno probabilmente influito sulla quantità di gente presente nella tre giorni abruzzese. Perché se è vero che l’Italia ha dimostrato di non avere nulla da invidiare alle vicine Spagna, Germania o Olanda in tema di festival, qui c’è sicuramente ancora da lavorare per creare quell’atmosfera che normalmente si respira ad eventi del genere. L’impianto, il palco, la zona food erano comunque allestiti a regola, così come il merchandising gratuito ha fatto sì che per Pineto girassero tantissime magliette Sticker Mule Festival, per non parlare della fortissima comunicazione che c’è stata dietro al festival prima durante e dopo. Tutto questo, purtroppo, non è bastato. Perché? Alcune volte “fare meno”, pensare un pizzico meno in grande, non è un segno di debolezza ma sintomo di lungimiranza, specie nell’Abruzzese e in una località come Pineto che è praticamente digiuna d’una identità clubbing. Non che Sticker Mule non abbia dei meriti (una line up del genere a quel prezzo la si rivedrà raramente, ad esempio), ma avremmo voluto vedere (anche) qualcosa d’altro. Non è una bocciatura, perché la musica è sempre protagonista centrale in queste situazioni, e protagonista d’alto livello, ma è un invito a studiare meglio per la prossima volta affinché tutti i fattori che rendono grande un festival riescano a incastrarsi tra loro. Pensando, possibilmente, anche meno in grande…
Ha collaborato Costanza Antoniella