Abbiamo voluto dare uno sguardo approfondito alla musica elettronica contemporanea e al mondo circostante indagando cosa si cela nei meandri della mente di Obtane, l’altra metà insieme a Giorgio Gigli della Zooloft Records, techno label italiana dall’alone dark e sci-fi, che tramite una musica in bianco e nero ha il potere di colorare la bizzarria dei sogni, rinfrescare l’aria di sospiri ed evocare con le sue fantasie artistiche gli spiriti rifugiati nell’anima. Abbiamo esplorato insieme i corridoi serpentini del processo creativo, dove ogni angolo nasconde qualcosa, dove ogni deviazione porta da qualche parte. Cosa c’è nel vortice di questo processo? Quanto le esperienze infantili del singolo, i piccoli inciampi del passato influenzano il nostro modo di esprimersi e come si fanno largo per emergere?
Secondo Obtane “nulla nasce per caso. C’è sempre un’intenzione inconscia, seppur esile, a dare luce a progetti e idee. Forse è la proiezione di quello che vorremmo essere, o forse, anche di quello che più ci fa paura. Nel mio caso potrebbe essere la prima spiegazione, dato che mi sono sempre considerato un sognatore ‘lucido’. Tra le prime cose che mi colpirono da piccolo, a parte l’interessante fotografia dei trailer dei film horror degli anni Ottanta, ci fu un piccolo ma significativo episodio che mi segnò definitivamente: un banale programma di magia su un’emittente privata toscana, la cui sigla non era altro che ‘Oxygene’ di Jean Michel Jarre. Mi colpì subito quell’inconfondibile laser cosmico che, peraltro, ritroverò in uno dei primi dischi di Redshape. E’ stato come tuffarsi nei ricordi remoti della propria infanzia ed essere felici della strada intrapresa, quasi come ne fosse la prova della validità”.
L’altro punto di grande curiosità e attenzione per Obtane è uno dei concetti chiave che accompagnano la Zooloft: il binomio utopia / distopia, che assume un sapore che ricorda le opere di Čapek e Kubin, soprattutto nel loro rapporto con la creazione artificiale e su come questa si intersechi con l’uomo. Non sono forse gli androidi del dramma “R.U.R” e le pozioni de “L’affare Makropulos” il risultato della voglia di grandezza e di eterno a cui aspira il genere umano? O la grottesca città di Perla la proiezione dei sogni e delle aspirazioni terrene?
“L’interesse per il cosmico e l’ignoto mi accompagna da sempre ed è forse per questo che sono affascinato dal mondo delle macchine, che sono programmate dagli umani, ma hanno un’infinità di varianti e di combinazioni. Riuscire ad avere piena padronanza di una macchina significa spingere i propri limiti al di fuori delle proprie possibilità, creando così un elevazione del nostro spirito. L’uomo molto spesso si sente limitato più di quanto non lo sia in realtà: costruisce grattacieli, tunnel subacquei, lavora nel settore aerospaziale…e produce musica elettronica con lo stesso impegno degli esempi sopracitati. Con la musica riesce a cambiare il mondo (Pink Floyd, Kraftwerk), ne stabilisce la durata nel tempo (Tangerine Dream, Clock DVA, Throbbing Gristle), ne unisce le influenze stilistiche (Jeff Mills), ne conserva le tradizioni mutandola con il ‘zeitgeist’ attuale (Marcel Dettmann, Milton Bradley)”.
Obtane ha definito ironicamente la sua musica ‘techno freudiana’ dato che alla base delle sue creazioni c’è un’analisi profonda e personale del suono. Musicalmente si può dire che lavora sul campo visivo: ogni traccia è come un cortometraggio ed ogni suono ne è un fotogramma; suoni che tenta di rendere il più possibile innaturali, stridenti, artefatti, in perfetta sintonia con la sua visione del mondo, una visione di certo poco ottimistica, ma nemmeno catastrofica. Questa indagine particolare delle sonorità elettroniche si affianca ad una totale coscienza di ciò che è la musica nella sua integrità, tanto che nasce un parallelismo con quella che il linguaggio comune definisce ‘musica classica’, un campo con cui Obtane ha sempre avuto a che fare, dato che il padre è parte dell’orchestra del Teatro del Giglio di Lucca: “E’ già un notevole passo avanti trasmettere su una radio culturale a diffusione nazionale una rivisitazione elettronica in real-time di un compositore classico statunitense. Se analizziamo la struttura della maggior parte di questi brani non possiamo non notare un tema ricorrente ed uno sviluppo lento, determinato da un inizio scarno e soffuso, con una sezione centrale ricca di armonici e generalmente più potente, che si avvia verso un finale che ritorna in modo diverso allo stato iniziale. Questa struttura, non identica ma notevolmente affine, ricorda molto quella utilizzata nei dischi techno. E un altro fattore che a mio avviso accomuna i due generi è l’assenza di parole: nessun altro stile musicale è così umile dal non importi un messaggio, anche perché entrambi non ne hanno la necessità. La musica può perdere di importanza quando si aggiungono le parole ed in questo caso potrebbe sfociare nel puro accompagnamento. Nella techno, come nella classica, ogni parola è superflua: non c’è niente da dire, la musica parla da sola. Forse è proprio per questo che chi suona strumenti orchestrali riesce a comprendere meglio la musica elettronica. Credo che spesso alla base di tutto ciò non ci sia una vera e propria avversione, se non in rari casi, bensì un semplice disinteresse, o forse, una diversa concezione dell’emozione, del tempo e dello spazio”.
Questa visione a 360° sfocia, naturalmente, nel clubbing, occasione dove gli artisti si esibiscono e hanno modo di concretizzare e mostrare le loro idee a chi è lì per ascoltare, partecipare, vivere, assaporare: “Mi è sempre piaciuto il clubbing, specialmente dal punto di vista temporale: tutto passa molto più velocemente e quando esci è quasi sempre l’alba. Prediligo i mixaggi lunghi e sfumati e di solito dischi di durata superiore ai 7 minuti: credo che un bel viaggio si costruisca lentamente, con sfumature impercettibili, senza che il pubblico se ne accorga, ipnotizzando. Qui entrano in gioco il versante onirico e l’astrazione, che sono i fondamenti della musica techno concepita in un certo modo. Per esaltare questa predisposizione onirica dell’elettronica si è iniziato ad affiancare le installazioni video ai dj / live set ed il risultato è una stimolante sinergia di arte sonora e visiva. Un modo nuovo di concepire ed evolvere i club che, grazie anche alla tecnologie odierne, stanno sempre più prendendo le sembianze di teatri proiettati nel futuro”.
Perciò questo piccolo angolo di mondo sta allargando i suoi confini, diventando una miscela di arti trasferita nella quotidianità: basti pensare all’ambiente teatrale, dove le installazioni e le scenografie di Robert Wilson in collaborazione con Philip Glass e di Josef Svoboda hanno avuto, e hanno oggi più che mai, un grande successo, tanto da essersi guadagnati delle esposizioni personali nei maggiori musei mondiali.
“La mia incompatibilità con l’alienazione del mondo attuale viene espressa attraverso la forma di comunicazione che prediligo: il sound-design e la produzione discografica. E la mia più grande soddisfazione sarebbe nell’elevare questo genere ancora ingiustamente relegato nella sua funzione di ‘svago notturno’: il club non più come ‘luogo di distrazione di massa’, bensì luogo di cultura e conoscenza”.