“Volete fare i BadBadNotGood italiani, o volete fare gli Studio Murena?”: non è uno da tanti giri di parole, Tommaso Colliva. Ma del resto se lo può permettere. Non lo si cita mai abbastanza, ma oltre ad essere una delle colonne del progetto Calibro 35 è anche uno che tipo ha vinto un Grammy Award (lavorando su “Drones” dei Muse), ed ha un’esperienza ormai infinita. Quindi, può permettersi di andare dritto al punto. Sì. Eccome. “Ma lavorare con lui per noi era sempre stato un sogno, quando abbiamo capito che stava succedendo davvero quasi non ci credevamo, figurati”, ci raccontano gli Studio Murena, e lo vedi proprio che te lo dicono con tutta la sincerità del mondo.
Eccoli. Amedeo Nan (chitarrista, Maurizio Gazzola (bassissta), Giovanni Ferrazzi (elettronica varia), Matteo Castiglioni (tastiere), Carma (l’MC). Manca il batterista, Marco Falcon, ma tutti gli altri li incontriamo nella magnificente sala plenaria della Universal, che è esattamente quello che ti aspetti dalla sala-prestigio di una casa discografica. Vetrate senza soluzione di continuità, moquette, tavolone infinito attorno a cui far sedere decine di persone, megatelevisori, casse da cui far uscire la musica per un ascolto perfetto. Fa strano, essere in un posto così.
Fa strano al sottoscritto, che per il disco d’esordio degli Studio Murena s’era entusiasmato moltissimo, e vai a pensare che un disco che piace a me ed è maledettamente jazz-funk-rap senza compromessi e nasce dai sotterranei può trovare la sua strada verso una major; e fa strano ovviamente pure loro. “Nemmeno nell’immaginazione più incredibile, mentre lavoravamo al primo disco, pensavamo che ad un certo punto ci saremmo ritrovati a lavorare con Colliva e poi a presentare questo lavoro in una sala come questa. E invece…”. Per poi però aggiungere: “Ma di una cosa siamo fieri: le nostre conquiste e i nostri progressi sono stati graduali. E, anche, siamo arrivati qua senza scendere a compromessi. Che magari questo è pure un autogol, eh: ora vediamo se la cosa paga davvero. Magari no. Però Gabriele Minelli della Virgin ha fermamente creduto in noi, così come siamo”.
Parlano insieme e si completano i discorsi a vicenda, gli Studio Murena, anche se a guidare il discorso sono spesso Carma, Maurizio e Matteo, i più loquaci. Però appare davvero chiaro che è una formazione perfettamente policentrica: dove non ci sono leader, o dove ognuno è leader a modo suo – ma anteponendo a tutto il gioco di squadra. E poi, ci fossero dubbi o ripensamenti, riecco in campo il piglio e l’esperienza di Tommaso Colliva, e di nuovo ci raccontano un aneddoto significativo: “Quando siamo entrati in studio a registrare con lui ci ha detto: ‘Una regola che vorrei sempre mettere è che ciascun musicista, in studio, non deve parlare del suo strumento. Chiaro?’. In questo modo ci ha fatto capire una volta di più che con l’individualismo non vai da nessuna parte”.
Qui arriva una parte molto importante della nostra conversazione: “Noi non vorremo passare per quelli bravissimi a suonare. Sì, ogni tanto ci presentano così, e magari per gli standard della musica a largo consumo la nostra musica è complicata e suonata con grande virtuosismo tecnico, ma in nessun modo vogliamo presentarci come gli alfieri della musica “buona”. Davvero. Noi semplicemente siamo bravi a fare quello che facciamo, e ci piace farlo. Stop. Nient’altro. E un’altra dinamica molto interessante è che tutti noi, presi singolarmente, abbiamo le insicurezze che possono avere quasi tutti, se musicisti: la paura cioè di non essere abbastanza bravi, abbastanza preparati, abbastanza alti di livello in quello che facciamo. Ma quando invece suoniamo noi sei insieme, beh, queste paure come per incanto scompaiono. Diventiamo convinti che sì, possiamo fare qualcosa di potente”.
Accidenti se scompaiono, queste paure. Perché la cosa incredibile di questo “WadiruM” in uscita oggi 12 maggio 2023 è quanto sia un cazzo di passo in avanti rispetto al loro album d’esordio: detto così, proprio bruscamente. E nota bene: come già accennato, il loro album d’esordio c’aveva fatto gridare al miracolo. Era peraltro facile – ed era pure conveniente – infilarlo in tutto quel filone dei Comet Is Coming, dell’UK Jazz, di Kamasi, dei Louis Cole o Snarky Puppy, una roba che roba che ora (inspiegabilmente?) funziona benissimo nel mercato più alto-hipsterico, dopo anni in cui invece il jazz era una roba da vecchi e la fusion una cosa da sfigati; in realtà per noi c’era un po’ di crudezza, di sincerità e di urgenza in più in ‘sti Studio Murena, per quanto da sgrezzare perché ancora in forma non del tutto matura e sonicamente consistente (“Inevitabile: quel disco è stato registrato in due giorni, figurati. Anzi, il nostro fonico Simone Tornaquindici ha fatto un autentico miracolo a fare così tante cose e così bene, in così poco tempo”).
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“La prima cosa che Tommaso Colliva ci ha detto appena siamo entrati in studio è stata: ‘Ok, fotografiamo gli Studio Murena così come sono. Ma arricchiamoli. Stratifichiamo la loro musica. Creiamo diversi piani di suono e di dinamica’. E così è stato. Ma nel fare così, ha lavorato su un’altra cosa fondamentale: farci capire quanto sia importante dare delle priorità, alle varie stratificazioni. Ogni soluzione aggiuntiva deve essere al servizio della canzone nel suo insieme, mai fine a se stessa”.
Ed è così. “WadiruM” è un disco complesso. Le canzoni hanno cambi, code, arrangiamenti cosmici ma mai piacioni. E anche quando ci si tuffa nel cantato femminile – ci sono infatti ospiti Laila Al Habash ed Arya, in due tracce – non si “adagia” (“All’inizio Laila era un po’ perplessa, la canzone in cui la volevamo le sembrava abbastanza complessa e noi dal canto nostro le facevamo però fretta, eravamo obbligati a farlo, ‘Purtroppo Laila questo pezzo dobbiamo chiuderlo entro massimo due settimane, scusaci’. In realtà dopo due giorni c’aveva già mandato, via vocale WhatsApp, la linea perfetta”). Al massimo c’è un po’ di sano timore reverenziale nei confronti di Paolo Fresu, ospite di lusso nell’album, perché in “Illusioni ed astrattismi” si vede che tutto gira attorno ai suoi vagabondaggi, con l’attenzione a non soverchiarli (ma il pezzo comunque è molto riuscito, sia chiaro). Però ecco: in “Corri!”, “Mon Ami”, “Psycore” si preme parecchio il pedale dell’acceleratore, ma non si fa l’errore di stare sempre a tavoletta (o a virtuosismo strumentistico spianato). E l’iniziale title track, poi, per certi versi ricorda “Just Another Story” dei Jamiroquai: ovvero una partenza di album fulminante ed inaspettata, con un brano complesso, strutturato a più sezioni, teso, incazzato. Non una partenza paracula, piaciona o morbida, insomma. Tutt’altro.
Non solo. In un periodo in cui la retorica hype-trionfalista-positivista attorno a Milano è arrivata a vertici siderali, e dove al massimo ci sono polemiche molto “a favore di social” sul costo della vita e degli affitti ma sempre da una prospettiva da studente mantenuto o da lavoratore del terziario culturale sofisticato, e in un periodo in cui generale la canzone (indie) italiana è rivolta quasi solo al proprio puccioso ombelico e il rap al proprio SWAG, le parole di Carma nei pezzi – ma anche proprio il modo di suonare nella band – evocano qualcosa di più autentico, di più sentito, di meno “social” e pronto ad essere “consumato”, e di più invece serio, concentrato, a fuoco rispetto alla realtà meno on line. Qualcosa di più “carnale”, ecco. Una piacevole ventata di realtà e di vita. Lo ripetiamo: sia nei testi che nella musica.
Perché negli Studio Murena, seppur con grande competenza tecnica (arrivano quasi tutti dagli studi colti al Conservatorio, alcuni di loro con l’illustre Riccardo Sinigaglia: mica cazzi), c’è comunque una reale urgenza. Ed è una urgenza spoglia di ogni compiacimento e strizzata d’occhio a “ciò che funziona”, e più incline a fidarsi del “tremendismo” della creatività pura. Più che Glasper, Kamasi, Snarky Puppy o Bonobo, questi Studio Murena ricordano gli Area. Non sono “dolcemente complicati”, no, sono maledettamente veri e diretti, oltre che bravi.
In una riga: “WadiruM” per quanto ci riguarda è uno dei dischi italiani più importanti dell’anno e, nota personale e ci si sposta alla prima persona singolare, credo gli vorrò bene così come ne ho voluto ormai quasi trent’anni fa a “Sempre più vicini” dei Casino Royale, parlando sempre di “Milano” come categoria del pensiero e dell’emotività del sopravvivere nei tempi moderni. Ecco: se certi apprezzamenti e certe sensazioni di vicinanza le provi così raramente e le appioppi una volta ogni vent’anni o passa, vuol dire che questo disco t’ha colpito davvero. Non stai solo facendo una recensione a favore d’applauso e di simpatia. Diteci se fa lo stesso effetto su di voi. Sia come sia, evviva i dischi così. Che siano su major o meno.