E’ stata una grande girandola di emozioni questo SUNcéBeat numero 4. Ad occhi non allenati potrebbe sembrare uno dei tanti festival di organizzazione anglosassone che hanno, da alcune stagioni, caratterizzato le lunghe estati croate. Niente di più lontano dalla realtà.
E qual è allora la verità? Spesso capita di sentire commenti da parte di puristi del club su come i festival rendano il concetto di festa troppo estremizzato ed ingigantito. Eppure in questo festival credo non si toccassero le 2000 presenze per raggiungere il sold out ed ogni aspetto della situazione era a misura d’uomo. Come un club, esattamente la stessa atmosfera. E quando si riesce a far convergere il meglio dell’intimità che un club può regalare con la spensieratezza e l’allegria dell’open air e della spiaggia, non sono mai troppe le volte che si può ringraziare per quella che senza dubbio è stata una delle esperienze estere più sorprendenti che mi sia capitato di vivere negli ultimi anni. Una convergenza perfetta tra la limpidezza del mare del Garden di Tisno e la leggiadria con cui la musica, sempre attiva da mezzogiorno a tarda notte, si fondeva con la rilassatezza dell’ambiente marittimo. Quasi come fosse una parte integrante del suo ecosistema.
E tra ciò che ha reso tutto questo una pagina memorabile, forse l’ultima cosa a cui viene da pensare sono state le guest. Per carità, Kerri Chandler che mette “To Be In Love” dei MAW alle 6 del mattino o la sensazionale presenza fisica in consolle di Joe Claussell hanno sicuramente dei meriti e su questo non ci piove. Ma la vera anima del SUNcéBeat ha trovato nei nomi di minor richiamo i suoi massimi esponenti, veri appassionati fino al midollo e persone stupende, sempre pronti a fare due chiacchiere, ad abbracciare (spesso anche fisicamente) la pista, a dividere un drink. Insomma, capite da voi che passare una settimana a fianco di persone che non si pongono su di un piedistallo ha tutto un altro gusto rispetto a guardare una guest da 20 metri di distanza. Un cliente non può che rispecchiarsi in ciò che ha davanti ed il risultato è una bomba atomica di presa a bene. C’è poco da fare, la soulful e l’house classica in generale (sonorità su cui si basava principalmente il festival) ormai risultano essere una nicchia, ma senza dubbio i loro avventori possono vantare una competenza e preparazione musicale veramente sorprendente e fuori dal comune. In questi giorni non c’è stato un solo momento in cui dietro la consolle del beach stage non si radunassero decine di persone volenterose semplicemente di parlare all’infinito di musica tra di loro e con chi suonava. E la risposta da parte dei dj è sempre stata positiva, forse proprio perché si riconoscevano in quella passione quasi maniacale che li circondava. Il popolo del SUNcéBeat è come una grande famiglia, me ne sono reso conto appena salito sul primo boat party di presentazione del festival. Suonavano solo i resident, eppure la barca straripava e si poteva vedere come le persone che si erano conosciute gli anni precedenti si ritrovassero dopo tanto. Grandi abbracci, foto di gruppo e tanti grandi sorrisoni.
Tutto bene direte voi? Quasi, dico io. Purtroppo c’è sempre un’altra faccia della medaglia, quella un po’ più scolorita e che lascia sulle mani un amaro retrogusto. Ci sono stati alcuni aspetti che non hanno convinto fino in fondo, e che forse alla quarta edizione andrebbero ovviati senza nemmeno sforzarsi troppo. Senza contare che lo staff è lo stesso del leggendario Southport Weekender quindi di esperienza ce n’è parecchia in gioco. Non è possibile che in un festival di fama europea 2 dj del calibro di Derrick Carter e Joe Claussell debbano interrompere (o addirittura non iniziare neanche) il proprio set per problemi tecnici, soprattutto perché visibilmente volenterosi di dare il meglio in una situazione così matura ed esigente come il SUNcé. Inoltre le poche agevolazioni per chi (come noi) non pernottava all’interno del Garden non sono cosa da poco. Nessuno chiede la Luna, ma essendo comunque un sacrificio (ed un costo) in più, almeno la possibilità di parcheggiare all’interno della struttura la propria auto e rapportarsi con una sicurezza che parli un’altra lingua che non siano il croato e gli sguardi minacciosi non sarebbe stato poi tanto male.
Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare, a parte qualcosa di (facilmente) rivedibile, non posso essere altro che soddisfatto di quanto ho vissuto, un’esperienza stupenda dove ho conosciuto moltissime persone splendide, che ogni anno si ritrovano sulla spiaggia di Tisno per vivere insieme altri giorni come questi. Come una grande piccola famiglia.