Non può essere un caso che all’interno di una primavera ricca di uscite di spessore, più o meno “dance”, i lavori più incisivi siano degli album. Tra questi le raccolte che hanno saputo conquistare maggiormente la nostra impressione, meritandosi ascolti ripetuti e considerazioni più approfondite, sono quelle che portano la firma del duo Life’s Track, di Patrice Scott e di Daniele Antezza, cinquanta per cento del progetto Dadub, e qui nei freschi panni di Inner8. I tre album, decisamente diversi tra loro (soprattutto per mood e carattere), oltre a fornire degli ottimi esercizi di stile, si distinguono per la chiarezza con cui le idee e il pensiero musicale dei loro autori prendono vita attraverso le strutture ritmiche, la lavorazione dei campioni (questo è il caso dei fiorentini Herva e Dukwa) e dagli intrecci melodici creati attraverso bassline e synth-line mai scontate.
Insomma, “Venere”, “Euphonium, The Album” e “Inner8” ci sono davvero piaciuti e per questo siamo felici di riportarvi il nostro pensiero. L’ultima parola, come al solito, spetta però a voi.
[title subtitle=”Life’s Track – Venere (Bosconi Records)”][/title]
Tolta la vena un po’ punk di “Velocity”, l’EP uscito su Cos_Mos lo scorso Ottobre che c’era piaciuto a tal punto da meritarsi un piazzamento d’onore nella nostra chart di fine anno, in “Venere” resta tutta la classe con cui il giovanissimo duo toscano Life’s Track scrive le sue batterie ed edita i campioni che costituiscono il cuore della loro musica. L’album, il primo del catalogo di Bosconi Records (le altre raccolte, come “Meanwhile In Madland” di Herva e “Runaway” dei Minimono erano uscite sulla sub-label Extra Virgin), è un’interessante e variegata escursione tra quelle sonorità disco, funk e house che figure come Motor City Drum Ensemble, Soundstream e la crew olandese che fa capo a Rush Hour portano avanti da anni, ma che oggi sono riuscite ad esplodere come mai prima d’ora, quasi a voler bilanciare/equilibrare l’effetto invadente che la dark-tool techno ha avuto sui club di mezzo mondo.
Il tutto secondo una visione molto personale e originale fatta di beat tanto frenetici da sembrare talvolta irregolari, BPM “incostanti” e groove astratti e sospesi, come quelli inseriti nel 7” che completa e chiude la release con “Play With Me” e con la title-track. Insomma, un lavoro che rappresenta un grosso passo in avanti rispetto a quanto fatto ascoltare in passato (già di pregevolissima fattura) e con le trascinanti e muscolose suggestioni dancefloor del recente “It Feel Down EP”. “Needed”, ad esempio, richiama Lone e il suo “Reality Testing”, ma l’intreccio kick-snare-hihat è ancor più unico e colorato rispetto a quanto proposto dall’inglese nel suo ultimo album; mentre “Put It On” e “Freak With Us” ci rimandano, come detto, a Soundstream e ai suoi bellissimi EP. Scordatevi, tuttavia, qualsiasi atmosfera forzatamente gioiose o frivola: se da un lato è innegabile il DNA della raccolta, dall’altro a colpire è il suo essere come un lavoro “dotto e intellettuale”. Questa, con ogni probabilità, è la più significativa e importante delle sua qualità.
[title subtitle=”Patrice Scott – Euphonium, The Album (Sistrum Recordings)”][/title]
È grazie a una carriera trentennale, nonostante una discografia tutto sommato leggera (il primo EP è datato 2006), che Patrice Scott ha saputo ritagliarsi un ruolo di prim’ordine all’interno della scena americana e in particolare di quella della sua città, Detroit. Promotore di un suono unico, dove “profondità” e synth-line ricercate si combinano in modo pressoché romantico, Patrice Scott riesce a trovare con naturalezza dei punti di contatto con quanto prodotto da altri grandiosi artisti della Motor City, Moodymann, Fred P., Omar S e Terrence Parker su tutti.
È sulla base di questi presupposti che ha visto la luce “Euphonium, The Album”, la sua prima raccolta, un lavoro che tira le somme su quasi un decennio di dischi (praticamente tutti sulla sua Sistrum Recordings) e che può essere serenamente considerato l’acuto con cui l’americano dichiara, ancora una volta, l’ennesima volta, il suo amore per la deep-house, prendendo al contempo le distanze da tutti quei prodotti che l’hanno messa alla mercé dei dancefloor meno esigenti e dai gusti più basici. Per questa ragione le nove tracce che animano l’album non nascondono grossi colpi di coda (non avrebbe senso, vista l’eccezionalità della prima opera su lungo formato), piuttosto sembrano ricercare le atmosfere intime e familiari tipiche dei suoi EP. I brani, al solito caratterizzati da un invidiabile carattere analogico, prendono vita grazie al sovrapporsi di pochi, ma ben selezionati elementi: Patrice Scott dimostra di aver fatto suo il principio della “parsimonia e interpretabilità” (chi ha qualche rudimento di modelli statistici sa di cosa parliamo), creando un disco essenziale e al tempo stesso ricco di diversi stati d’animo.
La totale assenza di campioni e l’amore per gli intrecci melodici permettono a “Euphonium, The Album” di adagiarsi su di un livello sospeso e senza fretta, come se l’intera raccolta fosse nata “classica”. Prendete “They Walk The Earth”: forse così il discorso è davvero più chiaro.
[title subtitle=”Inner8 – Inner8 (Undogmatisch)”][/title]
Uno dei principali pericoli che si rischia di correre quando si vuole produrre musica “intelligente” o “socialmente utile” è quello di finire per proporre lavori, all’atto pratico, poveri di contenuti, anche quando tutti i canoni estetici vengono soddisfatti e ottengono il massimo dei voti. L’esibizionismo, insomma, è il peggior nemico degli artisti che cercano, attraverso un lavoro duro quanto l’ambizione che li muove, di combinare filosofia e ritmo, intellettualismo e trame melodiche attraenti. Bene, se c’è un progetto che è stato fin qui in grado di schivare ognuna di queste insidie, bene, questo risponde al nome Dadub e ha in Giovanni Conti e Daniele Antezza le sue due anime.
Dopo la pubblicazione di “You Are Eternity” e di quella manciata di EP che hanno contribuito a identificare il suono di Stroboscopic Artefacts, Daniele Antezza ha trovato il tempo e l’opportunità di pubblicare il suo materiale solista, dando vita a un nuovo alias (Inner8, all’interno dell’infinito) e inaugurando Undogmatisch, label che prende il nome dagli omonimi party berlinesi lungo la Sprea. Il filo conduttore di “Inner8”, come la filosofia alla base della discografia dei Dadub impone, è la commistione di ambient, dub e techno, alla ricerca di soluzioni e messaggi in grado di graffiare, colpire e lasciare il segno. L’album di Daniele Antezza esplora paesaggi torbidi e cerca di provocare l’ascoltatore (alcuni titoli, come ad esempio “The Irony Of Karma”, sono scelti non a caso), conducendolo lungo l’alternarsi di azione e contemplazione, elementi esoterici e altri dalla fisicità spiccata.
Inutile dire che l’autore dimostra di sentirsi perfettamente a suo agio, perché no, nei panni di Caronte. Solo che in “Inner8” la zattera non è poggiata sull’Acheronte, come lo stesso autore ci tiene a precisare, ma sul fiume dei paradossi della nostra società.