Questa settimana cambiamo registro ed estendiamo il nostro pensiero a un tema su cui tutti, ma proprio tutti, amano pronunciarsi e dire la loro, nonostante settimane di “a me di RA e delle sue Poll non frega una sega”. E invece no, vi interessa (ci interessa), perché arrivare in alto nella classifica per dj (e live act) più autorevole in circolazione è, per un artista, come qualificarsi alla Champions League: dall’anno successivo tutto cambia e si inizia a giocare, ammesso che già non si faccia parte dell’élite dei nomi più amati del mondo, insieme ai Real Madrid, Chelsea e Bayern Monaco della musica elettronica. Cambia la musica, sì è così, e non è un semplice giro di parole: girare i quattro angoli del mondo, avere a che fare con una consolle e con un dancefloor ogni tre giorni e veder mutare i propri “interlocutori” (a volte anche sorprendentemente) non può non avere ripercussioni su quella che, auspicabilmente, dovrebbe restare la propria ispirazione in studio e la propria voglia di mettersi in gioco.
Essere un top dj, per usare il gergo televisivo, è diverso dall’essere un dj. Il Suoni & Battiti di oggi prova a presentarvi alcuni casi di grandi artisti (tra quelli più in auge ultimamente dalle nostre parti) che, dopo aver scalato la vetta, hanno cambiato il proprio approccio alla produzione musicale, talvolta radicalmente e senza possibilità di ritorno.
[title subtitle=”Maceo Plex, la star di Ibiza col pilota automatico”][/title]
Dopo aver cavalcato per anni l’alias Maetrik, Eric Estornel trova la definitiva consacrazione – e la fama degna dei palcoscenici più importanti del pianeta – con la nascita del moniker Maceo Plex. L’artista americano, trapiantato da qualche anno in Spagna, è riuscito a crearsi un pubblico di affezionati sempre crescente, grazie a release di grande successo su quella Crosstown Rebels che qualche anno fa arraffava a colpi di release (due al mese) quanto le capitava a tiro. Questo tipo di approccio, se da un lato ha finito per uccidere l’hype che circondava la label di Damian Lazarus, ha fatto il gioco di Maceo Plex, che con le sue “Vibe Your Love”, “Your Style” e (soprattutto) “Can’t Leave You” ha impiegato pochissimo tempo per diventare il paladino di un certo tipo di suono, tanto che la classifica di Resident Advisor ci ha messo pochissimo tempo a sbatterlo nella top 10 e a consegnargli le sue chiavi. Da quel momento in poi, in particolare con le sue release su Ellum Audio, certi successi hanno tuttavia faticato a ripetersi, tanto che nemmeno la sua compilation Dj Kicks ha saputo far innamorare i fan della collana. È troppo tardi, però, affinché certi giudizi su di lui cambino: Maceo Plex è, a ben vedere, uno dei dj più importanti e amati di Ibiza e tale resterà a lungo, anche senza release stratosferiche.
https://www.youtube.com/watch?v=OnHK6NBD0SI
[title subtitle=”Jamie Jones e la benedizione pop”][/title]
Prima di diventare uno dei resident più amati del Circo Loco e il leader del riuscitissimo party Paradise, Jamie Jones è stato un trendsetter vero e proprio. Non che ora non rappresenti un punto di riferimento per molti amanti della musica house, di questo gli va certamente dato atto, ma negli anni in cui la sua Hot Creations stava iniziando a vedere la luce, era il suo nome quello a cui gli amanti del suono disco-house avevano scelto di votarsi. A Jamie Jones e a nessun altro, almeno prima che il mercato si rendesse conto di quanto il suo stile fosse vincente e per questo appetibile da tutte quelle “iene” che, una volta trovata la strada spianata, hanno iniziato a usare bassi di gomma come se gli anni ’80 fossero l’unico periodo musica da cui prendere spunto. Così dal connubio con Lee Foss nascono hit di portata mondiale, su tutte “Forward Motion”, che spazzano via il passato di nicchia, in cui l’inglese si divertiva a fare il bello e il cattivo tempo, e fanno spazio alle luci della ribalta. Così non sorprende nessuno che Jamie Jones sia stato eletto come dj più importante del mondo da RA nel 2011 e che, visto il sempre crescente numero di date in giro per il pianeta, il londinese abbia continuato a produrre musica col contagocce – fanno eccezione i soli “Benediction” e “Different Sides Of The Sun”, l’album prodotto al fianco degli altri Hot Natured.
[title subtitle=”Tale Of Us, gli italiani d’esportazione”][/title]
Una manciata di anni fa Carmine Conte e Matteo Milleri univano le forze e si abbattevano sul mercato musicale come una tempesta. Nel 2010 esce il loro remix di “Disco Gnome”, l’anno dopo quello di “Every Minute Alone” e di “Sense”, quindi è la volta di “Dark Song” su Visionquest. È nato un mito, una scheggia impazzita che cambia radicalmente le regole del gioco come pochi altri artisti sono stati capaci di fare negli ultimi anni. C’è voluto pochissimo: il duo italiano è amato sin da subito, acclamato e desiderato praticamente ovunque. I Tale Of Us propongono il suono che va per la maggiore, niente di più, ma lo fanno senza appiattirsi mai (difetto in cui cadono molti di quelli che hanno provato a emularne le gesta) e senza arrestare una crescita che li ha portati, oggi, in cima agli indici di gradimento di chi anima i locali “lato dancefloor”. In buona sostanza, snellendo l’analisi, hanno il merito di aver fatto meglio e in modo più diretto quello su cui praticamente tutti si sono tuffati, scegliendo la via che è (ed è stata) di Life And Death e che oggi ha “contagiato” anche Innervisions. In attesa che esca un doveroso album, probabilmente il lavoro che – se fedele alle premesse – può consacrarli definitivamente, oggi i fan dei Tale Of Us devono accontentarsi di una discografia che procede lenta, ma comunque senza passi falsi.
[title subtitle=”Richie Hawtin, il silenzio alla fine del tunnel”][/title]
Dal 2008, anno in cui la classifica di Resident Advisor è diventata una graduatoria che tiene conto di cento artisti anziché dieci, Richie Hawtin è entrato in pianta stabile nel suo podio, senza mai scendervi. A guardare i risultati dei voti raccolti dal portale australiano, infatti, il canadese viaggia a vele spiegate da anni senza subire la benché minima flessione, incurante anche del giudizio (via via più critico) di quegli ex-fan che lo hanno idolatrato fino a una manciata di anni fa. Ripercorrere in questa sede la storia di quello che è stato un artista visionario sarebbe più che mai fuori luogo, ma se ci si concentra esclusivamente su quella che è stata la sua discografia, tralasciando lo show che negli anni è riuscito a mettere in piedi attorno alle sue esibizioni, non si può non convenire che esista una relazione di inversa proporzionalità tra la sua ispirazione in studio e il suo crescente gradimento mondiale. Messi via i lavori pubblicati sotto il compianto alias Plastikman, di fatti, e quelli che hanno caratterizzato la prima parte del catalogo Minus (“Minus Orange” e “Minus Yellow” su tutti), resta ben poco di quel talento liquido e ipnotico che ha sconvolto la musica da ballo all’inizio degli anni 2000, ora che il nome di Richie Hawtin è diventato un’icona mondiale. La verità è che, nonostante qualche sporadico – e non sempre riuscito – tentativo, di lavori come “The Tunnel” si è persa ogni traccia da fin troppo tempo. “Risk Assessmnent” è uscita nel Novembre del 2007; pensate ancora che il legame con la celebrità sia un caso?
[title subtitle=”Ricardo Villalobos, l’eccezione che conferma la regola”][/title]
L’unico artista in controtendenza rispetto alla “sindrome RA” che ha colpito, edizione dopo edizione, i suoi principali protagonisti è Ricardo Villalobos. L’artista cileno, infatti, pur non essendo mai uscito dalla top 10 negli ultimi anni (ed essere arrivato primo nel 2008 e nel 2010), ha continuato a produrre musica seguendo lo spartito che ha caratterizzato gli anni della sua affermazione europea: “Re:ECM” e “Dependent And Happy”, quindi, seguono i meravigliosi “Alcachofa”, “Sei Es Drum” e “Vasco”; escono “Enfants”, un paio di Perlon e una serie di remix che hanno scritto pagine incredibili del clubbing degli ultimi anni – “Blood On My Hands”, “Everywhere You Go” e “Since We Last Met” vi dicono qualcosa?. Ricardo Villalobos, forte di un’attitudine che lo fa approcciare alla musica a 360 gradi, è stato quindi capace di vincere la tentazione di tirare i remi in barca e campare di rendita, lasciando alla produzione discografica un ruolo parimenti importante a quello dell’esibizione dal vivo. Benché ovvio per molti di noi, questo rende il cileno una figura eccezionale tra gli artisti di maggior spicco della scena elettronica mondiale.