Quella di oggi è l’ultima puntata del 2015 dedicata esclusivamente agli album, un Suoni & Battiti piuttosto scrupoloso e tutt’altro che indulgente che ha come cuore cinque delle raccolte più attese delle ultime settimane, ovvero quelle di Dax J su Monnom Black, Joey Anderson su Dekmantel, Ø [Phase] su Token, Petre Inspirescu su Mule Musiq e il various per Lazare Hoche Records. Parliamo di uscite molto attese, ciascuna accompagna da un hype giustificato dallo “stato di forma” del suo autore o dalla credibilità raggiunta dalla label che lo produce, ma che a conti fatti hanno visto cambiare decisamente le carte in tavola: c’è chi, per esempio, non ha saputo dare un vero e proprio senso al tutto e chi invece non è riuscito a dare sostanza al proprio lavoro. Ma c’è anche chi, come il rumeno Pedro, ha tirato fuori un disco inaspettato, dando una bella sterzata al proprio suono.
Sì, avete capito bene, ci sono anche delle note positive qui dentro…anche quelle senza peli sulla lingua.
[title subtitle=”Dax J – Shades Of Black (Monnom Black)”][/title]
“Shades Of Black” presenta il tipico, ma per questo non irrilevante, difetto di tutti gli album firmati da chi sembra sentirsi più dj che produttore. Le dieci tracce inserite in questo nuovo Monnom Black, la prima raccolta della discografia del londinese (ma ovviamente berlinese d’adozione) Dax J, sembrano infatti essere l’agglomerato musicale di tracce valide sì, ma comunque un troppo slegate tra loro per apparire come un ensemble armonioso e coeso. È come se in “Shades Of Black” l’artista abbia voluto inserire ciò che ama suonare o ciò che vuole farci vedere di saper produrre: “vedete? So fare questo, questo e questo. E poi mi piace questa cosa qui e quest’altra ancora”, sembra dire Dax J, ma a conti fatti manca una vera e propria storia che unisca i puntini a dovere, facendo del suo LP d’esordio un album con la “A” maiuscola. Di spunti ottimi comunque ce ne sono, tutti a cavallo del “periodo acid” che ha investito Dax J da qualche mese, e lasciano pensare che a partire da “Shades Of Black” si possa solo ulteriormente migliorare. La techno veloce e muscolosa di “Beyond The Planets”, “Devine Right” e “Protect The Prophecy”, le vibrazioni profonde di “Sempa”, i beat spezzati di “Afterlife” e “In The Shadows” e le acidate di “Black Pegasus”, in fondo, lanciano segnali impossibili da ignorare.
[title subtitle=”Petre Inspirescu – Vin Ploile (Mule Musiq)”][/title]
Il bello di questo “Vin Ploile” è che, mentre la cosiddetta “musica rumena” è tornata decisamente in auge, uno dei suoi più alti esponenti si presenta al suo pubblico con una raccolta che sposta la partita su un campo di gioco diverso, alzando il livello della sfida e mettendo in mostra aspetti del suo essere musicista “completo” svelati, fin qui, solo a tratti. Stiamo parlando di quel Petre Inspirescu che, giunto alla sua terza raccolta, la prima sulla giapponese Mule Musiq dopo “Intr-o Seara Organica…” (2009) e “Grădina Onirică” (2012) su [a:rpia:r], abbatte le mura che racchiudono e coccolano le emozioni del clubbing e ci catapulta laddove tempo e spazio smettono di contare per davvero, e non perché dilatati da chissà quale agente chimico. “Vin Ploile” è una passeggiata in un vigneto all’imbrunire di settembre, oppure un’alba di fronte al mare. È un emozionante e colorato pezzo di bravura, un lavoro che racchiude (e rimarca) tutto il potenziale e le capacità dell’artista rumeno in un album agrodolce, decadente e senza età.
[title subtitle=”Ø Phase – Alone In Time? (Token)”][/title]
Quando si ha a che fare con label come Token, il timore è che a partire da una certa uscita in avanti il tutto finisca con l’uniformarsi e l’allinearsi alle più basiche richieste di un pubblico che ormai si sente padrone della materia, la techno; che il fisiologico processo di crescita porti sì a una grande riconoscibilità, ma che questo finisca per sacrificare le sfumature e l’eterogeneità di chi ne è protagonista dall’interno. Insomma, si tratta del più grande e pericoloso dei tranelli che attende chi fa, promuove e sostiene l’arte, quello che è riuscito a mietere vittime come una scarica di mitra e che rappresenta il complemento perfetto, l’anima gemella, della carenza d’ispirazione. “Che catastrofismo!”, direte voi, ma chiunque abbia letto e seguito questa rubrica sa quanto sin dall’inizio sia stata dedicata un’attenzione particolare alle faccende di casa Token e per questo ci dispiacerebbe se la label belga dovesse finire in questa trappola con entrambi i piedi. La nuova raccolta del britannico Ø [Phase], forse a causa di un “pacchetto” tanto valido da finire per offuscare il suo stesso contenuto, non riesce purtroppo a dissipare queste nubi: sappiamo che è estremamente ingiusto attendersi sempre il disco della vita, tanto ingeneroso quanto egoistico, ma dopo aver ascoltato più e più volte questo “Alone In Time?” non possiamo fare a meno di pensare che, peccato, questa volta è stata ciccata la palla a pochi metri dalla linea di porta.
[title subtitle=”Various Artists – Lazare Hoche presents Access (Lazare Hoche Records)”][/title]
Sebbene sia innegabile il ruolo giocato dal trio Apollonia per la rinfrescata subita dal movimento underground francese, è impossibile non riconosce a Lazare Hoche (e a quelli del suo giro) il merito di aver fatto di Parigi uno dei punti nevralgici dell’intera scena house europea, grazie a un suono sì ricco di groove, tanto da tener testa al “tiro” dei produttori d’oltremanica, ma anche sufficientemente asciutto ed essenziale da richiamare in modo inevitabile la scuola capitanata da Raresh, Rhadoo e Petre Inspirescu. In questo scenario, magari non così variopinto quanto sarebbe comunque auspicabile attendersi, ma decisamente tenace, rigoroso e “quadrato”, si inserisce alla perfezione il various voluto e presentato in questi giorni da Charlie Naffah (questo il vero nome di Lazare Hoche) sulla sua label. “Access”, il titolo della raccolta è legato alla traccia dello stesso Hoche, racchiude quanto di meglio ci si possa aspettare da questi allegri compagni di studio e merende: “Formes” e “Session 2”, nate dalla collaborazione con Malin Génie, “Fouad” del progetto Mandar (a Hoche e Génie si aggiunge S.A.M.) e “Your House Is Yours” dei Nimbus Quartet fanno di questo quintuplo vinile un buonissimo investimento.
[title subtitle=”Joey Anderson – Invisible Switch (Dekmantel)”][/title]
Fugge via un po’ impalpabile questo “Invisible Switch”, seconda raccolta a firma Joey Anderson dopo la ben più apprezzata “After Forever”, come se non ci fosse molto da aggiungere a quanto già fattoci ascoltare con le precedenti uscite. Stiamo parlando di due spessissimi EP su Dekmantel, “Fall Off Face” e “1974”, di “Head Down Arms Buddha Position” su Tanstaafl Planets e di “Earth Calls”, probabilmente il suo out che preferiamo, sulla Deconstruct Music di Levon Vincent e Anthony Parasole; lavori che hanno delineato in modo piuttosto chiaro il carattere e l’attitudine del produttore del New Jersey, prerogative che qui evaporano senza lasciare veramente traccia. Ed è un peccato, non solo perché la musica di Joey Anderson ha sempre e comunque avuto quel quid in grado di renderla riconoscibile, ma perché siamo perfettamente consapevoli che non c’è prova più importante per un artista che quella in cui si è chiamati alla riconferma. Ora, è chiaro che messa così la faccenda sembra piuttosto tragica, ma è altresì vero che da questo “Invisible Switch” era lecito attendersi un pochino di più, perché non possono bastare “Beige Mantis” e “Nabta Playa” per superare l’esame. Da te Joey ci vogliamo di più.