Mai fare l’errore di dare per scontato che qualcosa stia effettivamente cambiando, specie se non se ne hanno prove certe, soprattutto se si sta parlando di musica. Quindi se è vero che è ancora presto per abbracciare sonorità più calde e solari, quelle che abbiamo neanche troppo velatamente auspicato la scorsa settimana, è ancor più vero che noi restiamo comunque qui, vigili. L’attesa non ci vieta di goderci questa montagna di musica pazzesca, non necessariamente “primaverile”, ma assolutamente pazzesca.
[title subtitle=”Tobias. – A Series Of Shocks (Ostgut Ton)”][/title]
“E’ il movimento costante di questo disco. Non si ferma mai, qualsiasi cosa faccia, che salga o che scenda”. Partirei dalle parole di Mattia Grigolo, uno che quando c’è in ballo la techno con del malessere dentro ne sa a palate, per descrivere “A Series Of Shocks”, seconda opera di quel monolite dell’elettronica tedesca che risponde al nome di Tobias Freund. Perché è quando leggi queste semplici frasi capisci davvero perché questo album ti ha stregato: è come se si accendesse improvvisamente la lampadina, lampadina che comunque avevi già ben avvitata in testa da una vita. Perché, a ben vedere, non c’è nulla di veramente innovativo nell’album che abbia bisogno di tempo per essere assimilato e apprezzato, quindi la differenza va ricercata nei suoi dettagli e nelle sue sfumature, il vero plusvalore delle dieci tracce che lo compongono. “A Series Of Shocks” è un disco da avere perché è un disco techno fatto come i dischi techno vanno fatti: inarrestabile, compatto ma agile, veloce ma avvolgente, duro ma estremamente coinvolgente e attrattivo. E’ la musica che vorresti ballare perché ricca di energia e punti di riferimento – passatemi il termine – vincenti (“Heartbeat” e “Instant”) , nonostante anche qui si nascondano angoli bui e pericolosi che rendono il percorso viscerale disegnato da Tobias. ricco di insidie (“Testcard” e “The Scheme Of Things”). Citando Andrew Ryce e la sua review di “Learning Over Backwards” – “Tracks like that are a big reason why the debut Tobias. album feels like a triumph for a man who’s spent a career making mostly “difficult” music.” – non possiamo non estendere questa riflessione a “A Series Of Shocks”. Non si tratta di un ascolto tra i più semplici, ma di un lavoro che comunque non sapreste come arrestare finché la puntina non ha finito di solcare “Fast Null”, la bellissima traccia di chiusura. Ditemi voi se non vi sembra una caratteristica imprescindibile per un grande album.
[title subtitle=”Dscrd – Panopticon (Dement3d)”][/title]
Non cedete alle difficoltà iniziali e non lasciatevi fregare dal formato: “Panopticon”, la seconda uscita (terza se si tiene conto di “DSCRD Remixes EP”) per il quintetto francese Dscrd su Dement3d, è un lavoro che va ascoltato tutto d’un fiato senza cedere ai tranelli che nasconde tra i suoni distorti che “popolano” i suoi groove. Non è un album ma andrebbe trattato come tale, insomma. La cosa che va chiarita immediatamente (e che in verità è evidente sin dalle prime battute), inoltre, è che non si tratta di materiale per tutti i giorni e per tutte le occasioni, ma di musica estremamente ricercata e ricca di spunti che esulano dall’easy listening. Questa caratteristica è stata comunque premessa dagli stessi attori coinvolti quando hanno scelto come nome “Discordanza”: sono discordanti i suoni che costituiscono la loro musica, così come sono controversi i risultati che il suo ascolto ottiene. Estremamente affascinante o inascoltabile? Io una risposta ce l’ho da tempo, per questo vi segnalo “Austeria”.
[title subtitle=”Lakker – Cointaining A Thousand (R&S Records)”][/title]
Dopo essersi destreggiati in modo egregio tra Blueprint e Stroboscopic Artefacts, i Lakker approdano su R&S Records per una release che profuma tanto come l’uscita della consacrazione definitiva. La label belga, infatti, dopo i successi delle uscite firmate Pariah, Airhead, Lone, dBridge, Alex Smoke e Tessela, punta su Dara Smith e Ian McDonnell, che probabilmente avete già incontrato nelle vesti di Eomac, per proseguire la serie di uscite technoidi dai tratti stilistici (e dalla qualità) indiscutibili che hanno riportato la storica piattaforma al centro dell’interesse degli appassionati, non solo dei nostalgici di “Plastic Dreams” e di “20 Hz” dei Capricorn. Ecco dunque le quattro tracce di “Cointaining A Thousand”, EP dal beat ruvido e spezzettato, dove synth e pad ruggiscono con l’energia delle raffiche di vento che si abbattono sull’Irlanda dei Lakker. E’ musica da amare con tutto il cuore o da detestare senza possibilità di obiezione. Insomma, musica in linea con label.
[title subtitle=”Vermont – Vermont (Kompakt)”][/title]
Sarebbe stato lecito attendersi – e non lo dico solo perché chi scrive era il primo ad aspettarselo – un qualcosa di riconducibile al DNA musicale di Danilo Plessow e avvicinabile a quanto il produttore di Stoccarda ci ha fin qui fatto ascoltare, con un Marcus Worgull relegato a un ruolo sostanzialmente marginale a cui spetta il solo compito di arricchire di colore la cruda musica del ben più celebre compagno di avventura. Beh, no. E “no” non perché col senno di poi “Vermont” si è rivelato quanto di più distante da queste premesse poteva essere partorito, ma perché certe idee aprioristiche rappresentano la faccia noiosa e meno lusinghiera del lavoro di ricerca che dovrebbe precedere l’uscita di un album tanto importante. Poggiamo dunque l’album su una solida idea di base: “Vermont” non è un disco da ballo, non è un disco ballabile e non fate l’errore di chiedere a qualcuno di farlo. Non compratelo se state cercando l’erede di “Raw Cuts Vol. 3” o di “Send A Prayer”. Scordatevi quindi gli edit dal sapore funk di dischi provenienti dal background di Motor City Drum Ensemble, scordatevi la disco e l’house music, fate finta di non aver mai sentito parlare sia di Plessow che di Worgull. Non fate questo torto a “Rückzug”, “Übersprung”, “Cocos” (lei bellissima oltre misura), “Macchina” o “Majestät”: è musica nata senza uno scopo preciso, musica figlia dell’improvvisazione, materiale istintivo fuoriuscito da jam session che hanno rivelato un feeling artistico fuori dal comune. Quattordici tracce nate così, guidate dall’introspettiva musicalità di quei synth che costituiscono l’ossatura e la linea guida su cui è poggiata l’intera opera. I rigurgiti kraut, affidati per l’occasione a Dominik Von Senger (Dunkelziffer e Phantom Band) e Jaki Liebezeit (Can), chiudono il cerchio per un lavoro che sa essere estremamente meditativo e eccezionalmente rilassante ma che, se ascoltato tutto d’un fiato, non riesce a nascondere un’anima comunque tormentata e capace di sottrarre quei punti di riferimento che, magari frettolosamente, avevamo riconosciuto nelle synthline.
[title subtitle=”J&L – Ramayana Chant EP (ESHU)”][/title]
“Techno in all shapes and forms”. Questo è quanto recita la mission di ESHU Records, label olandese lanciata dall’omonimo collettivo che risponde ai nomi di Roger Gerressen, Jocelyn Abell, Ivano Tetelepta e Daniel Lekatompessy, che per la sua settima release – “Ramayana Chant EP” – si affida alle sapienti mani dello svedese Abdulla Rashim per conferire il suo inconfondibile tocco alla già validissima versione originale firmata J&L (Jocelyn Abell e Tom Liem). L’EP è nel complesso estremamente interessante, tanto che chi ancora oggi non riesce a mettere via “Asayita” può finalmente dire di aver trovato un degno compagno per l’indimenticato (e indimenticabile) ARR002.
[title subtitle=”Mike Dehnert – Lichtbedingt (Delsin Records)”][/title]
Se le “classiche” cose alla Mike Dehnert non suonassero così classicamente bene ci sarebbe da spaventarsi, ma mai avrei pensato di ricredermi così repentinamente rispetto a quanto ho scritto qualche tempo fa quando vi presentavo “Lichtbedingt”, opera che segna il ritorno su Delsin del produttore tedesco dopo il successo di “Framework” di tre anni fa. Sì, perché presi gli snippet e dato un primo ascolto alla raccolta, mi era sembrato che l’album riuscisse a dare una scossa alla discografia del buon Mike, che da qualche tempo si stava divertendo a fare esclusivamente musica per schiaffeggiare i dancefloor e per saziarne la voglia di festa. Ma la verità è che “Lichtbedingt” è un album che rivela il suo effettivo valore dopo diversi ascolti e che piace veramente solo dopo aver dribblato alcuni passaggi poco convincenti e assolutamente fuorvianti rispetto a quella che rappresenta la vera natura della musica del suo autore. Insomma, quando Dehnert fa il Dehnert della situazione. La raccolta, in effetti, vive e si articola cercando di mantenere l’equilibrio tra ciò che ha da sempre contraddistinto il suono del tedesco e quelle nuove sfide che rappresentano la parte succosa del lavoro di chi si misura col lungo formato. Fin qui non fa una piega: tutto bello, tutto giusto. Non c’è da stupirsi, però, se restano in piedi inevitabili interrogativi sui contrasti e sui paradossi sorti per legittimare un percorso che a posteriori possiamo tranquillamente definire più tortuoso di quanto effettivamente richiesto. Dehnert, infatti, da il meglio di sé ancora una volta quando in studio produce musica che deve parlare al dancefloor e per questo l’ascolto di “Lichtbedingt” risulta inevitabilmente frastagliato e disomogeneo, mentre raggiunge i punti di massima libido quando a suonare sono “Channeled”, “Movement” e (soprattutto) “Woop”. Qua sì che c’è da divertirsi.
[title subtitle=”Xhin – Claw Eyes EP (Semantica)”][/title]
Per chi ama professare un certo tipo di credo musicale, Semantica e Xhin non possono che rappresentare dei punti fermi se non si sa resistere al richiamo di quella techno nera e liquida che ormai sta invadendo in lungo e in largo i club di mezzo pianeta. Il suono del produttore singaporiano, esploso con l’album “Sword” su Stroboscopic Artefacts tre anni or sono, non poteva sfuggire a Svreca e alla sua label che gli commissionano la terza (e probabilmente più attesa) uscita di questo inizio 2014, quasi fosse uno step necessario e fisiologico per l’asiatico: il piano di “Claw Eyes”, l’oscuro groove di “Curtain Cloud” e il beat industriale di “Glint” rappresentano alcuni dei motivi per cui la sessantaquattresima uscita di Semantica non va assolutamente sottovalutata. Assolutamente.