Un’operazione “giusta” al massimo grado: prendi un film di culto di quarant’anni fa, il “Suspiria” di Dario Argento, fallo rigirare a un regista “giusto” come Luca Guadagnino, che a sua volta sceglie delle attrici “giuste” come Dakota Johnson e Tilda Swinton, e affida la colonna sonora all’uomo “giusto” per eccellenza negli ultimi due decenni di musica pop avanzata, intellettuale ed intelligente, Thom Yorke. Tutto perfetto. Pare quasi una specie di raccolta di figurine extralusso.
Ora: il film non l’abbiamo ancora visto, ma per la colonna sonora, beh, la “giustezza” è iniziata prima ancora di sentire la prima nota. Per l’ascolto in anteprima, praticamente il meglio del giornalismo musicale italiano è stato radunato in una location molto particolare ed affascinante, una storica scuola di danza in una villa milanese, con arredamenti ancora vintage, da secolo scorso: prima rinfreschi e convenevoli, poi si è stati tutti catapulati in una grande stanza vuota, con al centro specchi e letti di candele, facendoci sedere attorno al perimetro della stanza in questione. Un po’ seduta spiritica. D’altro canto – Dario Argento, no? Tutto perfetto. Tutto studiato.
Anche la colonna sonora è perfetta. Ma, sinceramente, se ascoltata come un normale disco, noiosa. Certo: siamo convinti che Thom Yorke ci si sia messo d’impegno (ha dichiarato che “…lavorare su commissione mi ha permesso di attraversare soluzioni che altrimenti per un disco mio normale non avrei preso in considerazione”), se è per questo ci ha addirittura messo la faccia, anzi, la famiglia (in una traccia fa suonare la batteria a suo figlio), e in effetti dobbiamo dire che il tema portante è molto bello (l’avrete già sentito in giro).
Ora. Il problema è che inevitabilmente ti devi misurare con la colonna sonora del “Suspiria” originale, quella dei Goblin. L’impressione è che questa versione yorkiana sia molto più curata, più piena di ricercatezze produttive e trattamenti sonori elaborati, si va da rimandi al kraut rock (o addirittura a certo trip hop “scuro” anni ’90) fino a cori ecclesiastici e parti orchestrali affidati alla London Contemporary Orchestra; peccato però che il confronto col lavoro dei Goblin lo perda, lì dove loro sono stati più semplici, più essenziali, molto più low fi e low cost. Ma più incisivi.
Questa nostra session d’ascolto voleva essere suggestiva al massimo grado. Tant’è che ad un certo punto nella stanza è stato diffuso pure dell’effetto-fumo, con momenti davvero da “…nebbia in Val Padana”: fossimo stati rapiti dall’ascolto, beh, come trucco avrebbe anche funzionato. Ma la verità è che non lo eravamo. Chi vi scrive no di sicuro, ma da molto sguardi incrociati coi colleghi non era solo un problema mio.
Il punto è che è lunga, piuttosto lunga questa soundtrack, ma soprattutto nel cercare di essere “giusta” e intelligente e piena di ricercatezze e di suoni cesellati al millimetro manca di pathos. Di “tremendismo”, prendendo in prestito un termine usato con il calcio ma nato prima ancora per descrivere una corrente della letteratura spagnola che voleva un incidere scarno ed essenziale ma molto, molto incisivo e d’impatto emotivo.
Ecco: nel lavoro di Yorke ci sono così tanti trucchi per ottenere un impatto emotivo in bella calligrafia e ricercatezza colta di soluzioni che, alla fine, l’impatto non c’è. Ci sono degli sprazzi notevoli, ci sono dei momenti che pensi “Uh, arrangiata ‘alla Radiohead’ questa diventerebbe una bellissima traccia dei Radiohead”, ma ce ne sono anche molti altri in cui l’impressione è che Yorke sia bravo, bravissimo, ma manchi del “mestiere” dell’autore di colonne sonore. Quella dote sottile per cui con pochi tocchi – o con grandi orchestrazioni – riesci ad andare dritto al punto, mirando alla “pancia” delle emozioni. Yorke si ferma a metà: non va mai sulle grandi orchestrazioni imponenti (sarebbero “volgari”? Eccessive?), ma forse per voglia di (stra)fare non si limita mai ai pochi tocchi, anche nel momenti più soffusi.
Non un brutto lavoro, non è che Yorke abbia fatto un passo falsissimo o noi si sia persa tempo prezioso ad ascoltare una lagna lunga un’ora e passa; ma sinceramente l’acquisto del supporto discografico, per questa colonna sonora, lo consigliamo solo ai feticisti (yorkiani, non di Argento… al massimo di Guadagnino, ecco) e per il resto, mah, vi sfidiamo ad ascoltare a casa il lavoro dall’inizio alla fine. Difficilmente ce la farete. A metà vi verrà voglia di guardare un’intervista a Fabrizio Corona, o una prolusione coprolalica di Sgarbi, o una raccolta dei più bei gol di Cantarutti: nulla di elegante o raffinato, anzi, ma qualcosa di almeno vivo, incisivo, che non ha paura di andar dritto al punto, invece di far ricami sottovoce bellissimi ma, insomma, alla fin fine un po’ esangui.