Prima ancora di viverlo, basta sentir parlare chi il party l’ha pensato, voluto e organizzato, per capire che “Sven Vath In The Park” non è un evento qualsiasi. Non tanto per il solo ed unico grande protagonista chiamato in causa – in fondo non è così raro imbattersi in Sven durante il mese di agosto -, semplicemente perché avere la possibilità di ascoltarlo per una decina di ore senza pause e senza altri dj set a sporcarne il percorso, il suo naturale crescendo, non è cosa da tutti giorni. Capita nelle ricorrenze speciali, vedi Time Warp o Love Family Park; raramente in un club (soprattutto adesso che il suo Cocoon Club di Francoforte ha chiuso i battenti).
Giunto alla sua quinta edizione, “Sven Vath in the Park” è un party speciale perché qui si ha la possibilità di ascoltare il set del tedesco senza compromessi, in tutta la sua essenza; lo è perché è tale la ricorrenza in cui cade (il 14 agosto, salvo sovrapposizioni con il party Cocoon ad Ibiza); è speciale perché il club in cui viene organizzato, il Tinì, rappresenta la cornice perfetta affinché tutto ciò che Sven Vath incarna riesca a fuoriuscire in modo naturale e spontaneo. Spontaneo, appunto: quattro borse dei dischi belle capienti, cinquecento vinili o giù di lì e nemmeno i cdj montati, che tanto “i cd? E cosa ci faccio con i cd?”.
Il Tinì sembra un’oasi spuntata, un po’ per caso, un po’ per destino, in un’area della Toscana che personalmente non conoscevo e che avevo sbirciato solamente dai finestrini del treno regionale che sporadicamente mi ha portato verso la Versilia. Il club è bello, molto bello a dire il vero, e si articola in modo circolare intorno al dancefloor, a sua volta poggiato su di una piscina. Mi ricorda sbiaditamente il Privilege di Ibiza, dove sono stato una decina di anni fa proprio per ascoltare Sven Vath – si trattava di un party Manumission dove, ballerine nude a parte, a colpirmi fu “The Crowd Song”; per carità. La consolle, qui su di un livello poco più alto di quello che ospita migliaia di giovani, è decentrata rispetto alla conformazione del club ed è “protetta” da un mini privé-palafitta animato in buona parte da addetti ai lavori e amici del boss di Cocoon e del suo entourage. Qui e lì, lungo i vialetti che costeggiano la piscina e i suoi ponticelli, ci si può imbattere in statue e anfore che richiamano l’anima etrusca di questa terra e che conferiscono al Tinì quell’aria magica/spirituale universalmente attribuitagli. Il meglio di sé il club lo da quando ancora è giorno, quando il sole calante che sembra poggiarsi sui teli bianchi che sovrastano il dancefloor ci regala un’atmosfera diversa e più distesa rispetto a quanto si respirerà con l’avanzare della notte.
“L’intento del party è quello di dimostrare, attraverso la musica di Sven, che da queste parti si può ballare e ci si può divertire anche di giorno”. E hanno ragione gli organizzatori: è proprio di giorno, infatti, che la festa vive i suoi momenti migliori con uno Sven Vath capace di tirar fuori l’anima più dolce e profonda della sua musica, quell’anima che spesso viene trascurata a vantaggio dei suoi show da special guest e che in poco più di due ore devono dire e far divertire il più possibile. In “Sven Vath in The Park” non c’è fretta, specie nelle prime tre o quattro ore di musica; si ha sempre l’impressione che ci sia tempo per tornare indietro e riprendere il filo logico di un discorso momentaneamente interrotto. Mani nella borsa, disco nuovo, missaggio, disco vecchio da rimettere nella borsa: il set va avanti così per ore, intervallato da bottiglie di birra, mani al cielo e smorfie. Sven insomma. Lui si diverte e si vede – ci mancherebbe altro – perché la possibilità di tirar fuori la parte più intima della sua musica lo esalta. E’ questa la parte migliore del suo set e il bello è che la serata, stando alle abitudini malate del nostro pubblico, non è ancora iniziata. Inutile dire che disco dopo disco la marcia proseguirà spedita fino al pezzo di chiusura (ancora una volta “Lockdown Party” del canadese The Mole), regalandoci tutti i colori (sfumature comprese) del sound eccentrico dell’artista. In mezzo tante belle cose, su tutte “Atoms With Curiosity That Looks At Itself And Wonder Why It Wonders” dei Minilogue (dall’album “Blomma”) e un paio d’ore di techno vichinga d’annata, oltre ai dj set di Marco Effe e Romano Alfieri nello stage friends dove, nonostante il caldo tropicale e la strobo più molesta che mi sia mai capitato di incontrare, per lunghi tratti il divertimento è stato pari a quello della pista principale.
Tutto bello, come da premesse, ma la parte veramente imperdibile e irrinunciabile della notte, quella che chi c’era si porterà dietro sino al prossimo agosto, si è dissolta rapida insieme agli ultimi raggi di luce della giornata, mentre Sven giocava a nascondino con una ragazza che dalla pista provava a registrare un video. Il solito Sven, insomma.