Andando subito al punto, questa la notizia: Maurizio “Juni” Vitale, co-fondatore e deus ex machina di Movement e Kappa FuturFestival, è stato eletto nuovo presidente di Turismo Torino. Il problema è che troviamo tutto questo ancora “strano”, straordinario. Ci sorprendiamo. Invece, dovrebbe essere la normalità, la ragionevolezza. E non perché lo diciamo noi che siamo di parte, che sosteniamo le ragioni, le spinte e le bellezze del clubbing; ma perché non c’è nulla di più logico ed inevitabile che il creatore dell’evento che forse richiama più persone a Torino durante l’anno (in gara con lo storico Salone del Libro, ma sicuramente più di altri eventi molto sovvenzionati dalle istituzioni) venga messo a capo dell’organismo che ha il compito di valorizzare al massimo le dinamiche e le attrattive turistiche della città. Un turismo nello specifico culturale e degli eventi che, lo ricordiamo, ha salvato la città sabauda dalla “detroitizzazione” infausta, dalla decadenza, dalla crisi nera e dall’irrilevanza: il progressivo abbandono della Fiat (pardon: FCA), prima padre-padrone ubiquo e poi via via presenza sempre più residuale ed impalpabile e con sedi fiscali in Olanda, aveva svuotato di forze e di identità una città che invece, di suo, ha sempre avuto ed ha un fascino e delle energie sociali ed intellettuali assolutamente eccezionali, senza però rendersene davvero conto, visto che per buona parte del ventesimo secolo il suo centro di gravità permanente (economico, morale, sociale, emotivo) è stata la principale fabbrica italiana di autoveicoli. La risposta non poteva essere galleggiare, aggrapparsi alle eccellenze già esistenti (il Museo Egizio in primis). Non bastava. La risposta è stata innovare. Aprirsi alla contemporaneità. Intensificare il dialogo con l’arte, in una maniera profondamente moderna e viva. Ragionare su paradigmi nuovi. Paradigmi popolari, avvincenti, non esclusivi; soprattutto, non rimasticature della “pappa pronta” che per decenni ci è stata servita dai media mainstream e dai canali istituzionali.
Ecco: il Kappa FuturFestival è stato tutto questo (così come anche Artissima, come Club To Club, come Traffic in passato e ToDays ora). Ed è stato cruciale nel posizionare Torino nel vero crocevia dell’immaginario contemporaneo, rendendola un magnete, una città in cui “esserci”, una città in “succedono le cose” (…e magari succedono senza l’onnipresenza dello spirito mercantile e marketinghevole che contrassegnano Milano, un fattore che della città di Madonnina è al tempo stesso prima forza e primo limite). Insomma, parlano i fatti: è assolutamente ragionevole porre il principale attore di questo player a capo dell’organismo che coordina un asset iperstrategico per la città. Il clubbing, la techno, Villalobos, Carl Cox, Derrick May, eccetera eccetera non sono solo un “divertimento da ragazzini” come le feste stile schiuma party e vodka ai mirtilli del discount solo con un po’ più di loschitudine, tremendismo e cocktail a base di energy drink, come invece nell’immaginario di troppe persone ancora sono; rappresentano invece una voce fortissima nelle dinamiche contemporanee, nell’orientare il comportamento e le scelte delle persone, nel “disegnare” i consumi, nel posizionare strategicamente su scala globale regioni, città, attori altamente professionalizzati.
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Spesso non ce ne rendiamo conto manco noi, che la techno (e derivati) la consumiamo ed amiamo. Lo scrivevamo già ai tempi del set speciale di Ilario Alicante all’Albero della Vita a Milano: è arrivato il momento di rendersi conto (e di far rendere conto) che siamo una voce adulta ed importante. Siamo una voce che sposta gli equilibri e innova, non un problema di ordine pubblico e una bagatella giovanile che poi, “quando si cresce”, si può abbandonare per attività e professioni più rispettabili. In una nazione ancora troppo intrisa culturalmente di paternalismo polveroso ed inadeguato, sincronizzato più su una sagra patronale in bianco e nero degli anni ’50 che sul ventunesimo secolo, dove gli artisti sono quelli “che ci fanno tanto divertire” aka simpatici saltimbanchi, questi sono tutti segnali da cogliere, incoraggiare, supportare. Certo: non siamo solo oro che luccica noialtri della sfera del clubbing, ci sono ancora tante cose da mettere a posto e su cui crescere. Ci sono ancora troppe figure discutibili, pratiche border line, avventurieri, evasori, furbetti, vecchi arnesi, localari senza cultura ma con tanti contanti; c’è ancora troppa maleducazione nei dancefloor, troppo confondere un club con la curva di uno stadio. Bisogna ancora lavorare parecchio. Ma si può farlo. Si deve farlo. Kappa FuturFestival è un esempio perfetto in tal senso: partito come evento bello e grandioso sì ma con tanti difetti e spesso non semplice da frequentare, è diventato negli anni passo dopo passo con scelte precise ed investimenti non indifferenti un posto completamente diverso. Lo abbiamo raccontato in vari report, qui e qui ad esempio, soprattutto lo sa chiunque sia venuto nelle recenti edizioni e ha notato, inevitabilmente, un radicale cambio di passo rispetto agli inizi: più stranieri, più buone vibrazioni, più servizi, più contenuti, più visione. Ci si poteva accontentare di far quadrare i conti costi quel che costi accettando, come necessari “danni collaterali” per massimizzare i profitti, le storture da clubbing insano e “di massa” nell’accezione peggiore del termine. Invece, ci si è ribellati a questo destino e a questo vivacchiare standard per inseguire un modello migliore. Scelta che, lo si può dire chiaramente, ha pagato eccome. Ha pagato per il festival, ha pagato per la città.
Non sappiamo se Maurizio Vitale sarà un buon presidente per Turismo Torino; non sappiamo quanto e come potrà dare il suo marchio ed imporre le sue idee; non sappiamo anche che ne sarà, del turismo, in epoche da pandemia dove è davvero difficile fare delle previsioni. Ma quello che è certo è che questo conferimento di carica è un segnale molto importante. Chi non lo capisce, si merita le risse fra nerboruti in canottiera a centro pista, o merita di restare nicchia snob ignorata dalle istituzioni, dalla gente normale, dai posti e luoghi dove si decidono presente e futuro. E soprattutto, speriamo di non vedere le baruffe chiozzotte – di regola dietro le quinte – di chi in pubblico non dice nulla, ma in realtà cicaleggiando fra i suoi pari si lamenta di una scelta di questo tipo, di come “Sì, la techno, vabbé, ma la musica vera dove sta?“, di “E ma ora farà solo i suoi interessi…“, “Tanto non riuscirà a fare un cazzo, prenderà solo soldi per quella carica“, “Eh, ma Vitale è uno stronzo“. Le baruffe chiozzotte che hanno pesantissimamente zavorrato in Italia il mondo della musica moderna in tutti questi decenni, condannandolo all’irrilevanza istituzionale.