…e poi, c’è Firenze. Un caso stranissimo. Forse da sempre. Una città che è stata il vero centro del mondo in quanto a cultura, col Rinascimento, ma va bene, qui si parla di secoli e secoli fa; una città che però stata anche, per pochi anni, Capitale d’Italia… e che in generale sempre Capitale si è sentita. Una città che anche nel ‘900 ha spesso e volentieri avuto un ruolo assolutamente centrale nel dibattito culturale italiano (a partire dall’esperienza de La Voce, giusto per citarne una).
Ultima fiammata, gli anni ’80. Dovreste provare a recuperare un libro assolutamente meraviglioso, “Frequenze fiorentine” di Bruno Casini, un racconto davvero vivido ed appassionante – e, con gli occhi di oggi, quasi incredibile – di cosa ha attraversato la città toscana nell’intersezione tra punk e new wave, quando la musica è andata a flirtare con moda, teatro e quant’altro, creando qualcosa di unico e facendolo in una maniera dirompente, nuova e visionaria. Forse senza nemmeno rendersene pienamente conto, tra l’altro: se ne rendeva più conto infatti un osservatore dall’esterno come ad esempio Pier Vittorio Tondelli, scomparso prematuramente, uno dei più grandi scrittori degli ultimi decenni; e uno che con “Un Weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta” ha fornito un affresco eccezionale per completezza, vivacità ed acume degli stimoli culturali di quegli anni, altro che le puttanate di De Michelis, e lì, in quel libro, Firenze gioca la parte del leone. Tondelli, occhio, non è fiorentino.
E’ che davvero, c’è stato un momento storico in cui le dinamiche culturali sulle rive dell’Arno erano talmente scoppiettanti, stilose e sfrontate da essere guida assoluta e centro gravitazionale indiscusso per chiunque fosse un minimo assetato di bello&presente, e non solo dell’ennesima plastica e plasticosa retrospettiva sul Rinascimento confezionata per turisti americani pigri.
Bene. Uno dei lasciti di quegli anni ’80 è un luogo fondamentale ancora oggi, per le traiettorie di cui di solito ci occupiamo a Soundwall: il Tenax. Non ha bisogno di presentazioni, no? Però magari non molti sanno che i suoi inizi erano all’insegna dei concerti live (punk e new wave), del teatro, del cabaret, perfino della moda (Vivienne Westwood venne a presentarci delle sue creazioni); insomma, fra le sue mura è passato molto di più del semplice gotha del clubbing internazionale così come lo conosciamo col passaggio dal vecchio al nuovo millennio.
(Questo concerto, nel suo piccolo, è leggenda: Tuxedomoon al Tenax, primi anni ’80; continua sotto)
Il Tenax negli anni ha continuato a fare il suo, solidamente. Qualcosa che per certi versi è stato anche sottovalutato, in questo decennio (“Ah sì, c’è il sabato del Tenax…”), dato per scontato, ma che invece proprio ora che la crisi del circuito dei club inizia a farsi evidente a tutti fa invece capire quanto in realtà non sia scontato portare avanti una serata come Nobody’s Perfect da quasi vent’anni – nasce nel 1999 – con tutta una serie di eventi collaterali e satelliti, restando sempre sul pezzo e portando sempre a casa il risultato.
Ma nel frattempo una cosa si è persa, dal “discorso” contemporaneo su musica e dintorni in Italia: la centralità di Firenze. Dopo gli anni ’80 “fiorentini” di cui sopra è stato il turno di Bologna (Link, Livello 57, TPO: triade irripetibile), in generale dell’Emilia Romagna (il Maffia, i concerti anni ’90 al Vox dove vedevi Massive Attack, Radiohead, Portishead, Neneh Cherry…), di Roma (i centri sociali, il Brancaleone), di Torino (dai Subsonica che “clubbizzano” il pop a Movement a Club To Club), di Milano (che da qualche anno offre ogni weekend una ricchezza di offerta ai vertici europei se non mondiali, un miracolo che chissà quanto durerà); volendo è stato anche il turno di Napoli, che si è scontrata con le eterne difficoltà logistiche ma ha creato una scuole di artisti, in campo techno, che ha lasciato e lascia un segno in tutto il mondo, nella cultura contemporanea del loisir.
E Firenze? Quasi scomparsa. O comunque, mai di nuovo vista come centro propulsivo ed ineludibile per le “nuove” culture emergenti, musicali e non. Eppure, proprio nella musica in città in questi anni sono circolate tantissime energie e qualità creative: luoghi (non solo Tenax, ma anche Auditorium FLOG, Viper o centri sociali che si sono succeduti negli anni), etichette (la Fresh Yo!, fondamentale per l’impulso dato alla nascita e crescita del giro del beatmaking italiano, o la Bosconi, da sempre eleganza&qualità clubbing ai massimi gradi), eventi/serate di ultraqualità (vedi Tropical Animals, o il Disco_nnect di cui abbiamo parlato recentemente); non solo insomma i mega-ospiti di Nobody’s Perfect. Per qualche motivo, Firenze in tutti questi ultimi anni non è (stata) in grado di far capire la sua ricchezza, le sue eccellenze, la sua dinamicità, o forse nemmeno le ha sentite come tali, finendo con lo svilirle o accantonarle; ed è una situazione nata forse da un certo tipo di “cappa” che da molto è in città, con amministrazioni ma anche “vox populi” ripiegate su un mugugnante ed acrimonioso cabotaggio piccolo e bottegaio, dove non si sognava più in grande (o in strano), ma si pensava solo a far quadrare i conti e spennare i turisti americani, puntando su luoghi comuni tanto veri (e belli) quanto frusti: il Rinascimento, il Chiantishire, eccetera eccetera. La cultura contemporanea? Irrilevante. O addirittura fastidiosa, fonte di schiamazzi e cazzate.
Almeno in campo musicale, Firenze in realtà è tutto tranne che museale: è piena di persone, realtà, professionalità in grado di captare il qui&ora prima che in altri posti, interpretandolo alla grande. Uscendo anche dagli schemi più facili e consolidati. Anche il Tenax, sì: che se ha delle serate che hanno un successo “facile e consolidato” (ma le virgolette sono d’obbligo, come dicevamo sopra…), ha anche capito di poter e dover tornare ad andare più a fondo, lasciando un tracciato più intenso ed organico. Nasce così Tenax Academy: un corso per producer e dj dove già a vedere la lista dei tutor (Alex Neri, Marco Faraone, Mass Prod, Cole, Ennio Colaci aka Minimono, Matteo Zarcone aka ZEE, Mennie, Malandra Jr.), capisci che attorno al club di via Pratese si è sviluppato un capitale di conoscenze più o meno “residente” (Mass Prod è una scheggia vagante, ma è comunque Bosconi – e Bosconi è Firenze) che ha pochi eguali. A maggior ragione se poi pensi anche a quanti altri dj toscani hanno raggiunto livelli veri di consistenza e popolarità in campo clubbing, nei campi techno e house: forse solo la Campania rivaleggia.
(Parte dello staff di tutor Tenax Academy in azione, a partire – dalla sinistra – da Marco Faraone; continua sotto)
La decisione di creare dei corsi sistematici, approfonditi, a numero chiuso non è arrivata tanto dall’idea di aggiungere fatturato in più (anche perché il costo del corso, se si viene selezionati, è bassissimo rispetto a quanto si impara e al livello dei docenti), ma anche e soprattutto dalla voglia di trasmettere conoscenza ed entusiasmo, e di trasmettere l’idea che la musica è una cosa bella e divertente ma che, se la ami davvero e vuoi farla diventare parte della tua vita reale, devi approfondirla in modo serio: per passare dal mero consumo superficiale, o dalla voglia di salire sul tram vincente del momento per vedere se ti va dritta, alla reale produzione di cultura che duri, almeno per te, nel tempo. Nessun club in Italia – ma al momento non ci vengono in mente altre esperienze simili nemmeno nel mondo – ha creato una propria Academy, per certi versi un “vivaio” di qualità per sé ma anche un contributo generale di knowledge al territorio esteso. Ci sembra un segnale molto importante. Ci sembra (anche) una presa di coscienza sul come il clubbing, se diventa una mera questione di quanto incassi a fine serata perdendo la connotazione più culturale e volendo “ideale”, rischia di appassire ed inaridirsi: nei contenuti e, alla lunga, probabilmente anche nelle economie. Bisogna tornare a un po’ di progettualità ad ampio respiro.
Siamo stati invitati ad assistere ad una lezione e, insomma, l’impressione è stata notevole. Alti livelli. Anche perché la lezione nella fattispecie era piuttosto speciale: non a Firenze, ma nel Mugello. In un paesino che non avevamo mai sentito nominare prima. Nella sede operativa di K-Array (che, a sua volta, porta avanti una propria K-Academy). E questa è un’altra storia significativa.
(Un momento delle lezioni della Tenax Academy in collaborazione con la K-Academy; continua sotto)
Magari vi suona nuova, questa azienda, e di sicuro non è nei discorsi abituali dei clubber avveduti, quelli che dissertano di Void e Funktion One capendo quanto è importante non solo che la barista sia figa, ma che anche (e soprattutto…) la musica si senta più che bene. Eppure K-Array è un’azienda dai connotati assolutamente unici. Nata nel 1990 come service, a nome HP Sound Equipment, negli anni si è sviluppata sempre di più arrivando a diventare ciò che è ora: una delle realtà di più alto livello nei campi della emissione audio, con una vocazione molto particolare e molto precisa – ovvero suonare il meglio possibile tramite emettitori i più piccoli (e più belli) possibile. Ne sono nate delle meraviglie tecnologiche: detto in modo grossolano, casse piccole, piccolissime, e dalle forme strane in grado però di garantire una qualità (e potenza!) di suono stupefacente rispetto alle dimensioni e al peso.
E’ di K-Array uno dei prodotti unici al mondo, la “cassa snodabile” Anakonda KAN200; è di K-Array la possibilità di costruire delle “torri” laterali di casse nei grandi eventi che siano assolutamente non invasive come volumetrie, molto affascinanti ed essenziali esteticamente, senza la necessità di seguire il classico incolonnamento semi-incurvato ma con invece file verticali di casse che cadono perpendicolarmente al terreno (grazie ad una tecnologia digitale che permette di “orientare” il suono da remoto: a decidere dove fa il fascio sonoro non è la posizione della cassa, ma quello che vuoi tu controllando a distanza). La ricaduta pratica, oltre al basilare ed ineludibile “Uh, si sente bene…”, è la possibilità di creare delle situazioni di amplificazione sonora mai viste prima dal punto di vista architettonico. Tanto sorprendenti all’occhio, come si diceva, quanto efficaci all’udito. Un unicum. E a dirlo non siamo noi, ma le commesse che all’azienda sono arrivate da tutto il mondo (anche al di là della musica, come ad esempio l’amplificazione dello stadio-gioiello del Besiktas, ad Istanbul).
(La particolarissima soluzione di amplificazione vista quest’anno al Decibel Festival di Firenze; continua sotto)
Ma K-Array è la classica azienda “glocal” da eccellenza italiana: vita in provincia, sede aperta alla popolazione locale, ma mercato di riferimento dove l’Italia quasi non è contemplata, non la si cerca, e dove in generale si lavora sulla fascia altissima di mercato a livello mondiale. “Che poi se uno ci pensa la Toscana è da anni una zona di eccellenza per tutto il comparto audio: ci siamo noi ma c’è per dire anche la Powersoft, così come molte altre realtà notevoli. La cosa buona è che c’è una competizione sana e anzi, spesso ci diamo una mano fra di noi, sviluppando assieme idee, almeno in alcuni stadi della progettazione”: ecco, una delle chiavi del successo potrebbe essere esattamente questa. Il contrario dello spirito “bottegaio” che attanaglia Firenze ma anche un po’ l’Italia intera. Così come è il contrario dello spirito “bottegaio” il fatto di guardare subito al mondo puntando sulla qualità, non di limitarsi come mercato di riferimento allo stagno di casa nostra con prodotti facili ma di immaginare qualcosa di “bello” che possa essere visto come tale nei cinque continenti. Come se a Firenze città ci fossero più botteghe ed atelier di classe, e meno realtà mungi-turisti con la merce prodotta serialmente in Cina o il cibo congelato proveniente da container asiatici.
Tenax e K-Array sono andate a “cercarsi”: il primo è diventato il primo club con una amplificazione curata dalla seconda. Ma appunto, la collaborazione è andata perfino oltre, con tecnici della K-Array che hanno tenuto una lezione davvero interessante ai corsisti della Tenax Academy su come funziona e come si gestisce l’emissione del suono, con tanto di festa finale coi tutor dell’Academy in console (Neri, Faraone, eccetera…). E’ stato un esempio plastico – e molto interessante – di come Firenze possa e debba tornare a ritagliarsi un ruolo da protagonista nelle culture contemporanee più vive e coinvolgenti (e il clubbing ne è una delle declinazioni principali, lo dicono i fatti e i numeri): ci sono le qualità artistiche, le idee imprenditoriali e quel pizzico di idealismo per farlo. Può e deve arrivare (o tornare?) la consapevolezza che tutto ciò sia più che fattibile, le forze e realtà ci sono (noi ad esempio l’anno scorso ci abbiamo creduto, portando il progetto Extra targato Molinari a Nextech, ed è andata decisamente bene). Anche per evitare l’effetto “Viola Club” per cui “Tutto quello che viene fatto a Firenze, deve restare a Firenze…”, che non dà onestamente giustizia alla ricchezza della proposta musicale in campo elettronico-e-dintorni e in generale culturale, per le culture “nuove”, che arriva dalla città toscana.
Gli anni ’80, in riva all’Arno, sono stati incredibili per ciò che era “nuovo”, contemporaneo. Incredibili. Avrebbero tutto per esserlo anche gli anni che stiamo vivendo adesso: basta saper collegare i fili, collaborare e creare le connessioni – e le immaginazioni – giuste. Se invece ci si limita a contare gli incassi nel retrobottega, pensando solo alla propria contabilità e a tirare sui margini, dopo un po’ si fa una fine non allegra, non vitale, grigia, nemmeno in realtà fruttuosa; ci si appiglia al massimo alla presenza di quattro scemi che fanno la vasca vestiti da idioti davanti al Pitti, pensando sia l’unico riverbero attuale possibile della Firenze “capitale dello stile”. Persone, parole, discorsi, prospettive sentite&viste in un pomeriggio del Mugello ci hanno dato comunque gran belle sensazioni.