Riportare sulla carta un’esperienza intensa vissuta fino a qualche giorno fa come quella di Terraneo 2013 non è per nulla semplice e il motivo sta nel fatto che questo giovanissimo Festival nei pressi di Sibenik in Croazia – al suo terzo anno di vita – vuole prima di tutto divertire il proprio pubblico con una proposta variegata a tal punto che qualora si volesse, si potrebbe vivere l’evento senza nemmeno avvicinarsi ai tre mega palchi (“Terra stage”, “Aqua stage” e “Red Bull Music Academy stage”) che rappresentano il cuore pulsante della manifestazione.
L’area nella quale è ambientata la kermesse, una volta adibita a campo militare, è stata convertita a villaggio globale e l’aria che si respira è quella da rave suburbano, appena addolcita dall’odore di salsedine che raggiunge il pubblico danzante in virtù della vicinanza del mare Adriatico. Passeggiando tra le rigorose strutture in calcestruzzo disseminate nell’area si viene attirati da musica di ogni sorta, fatta con le chitarre e con i sintetizzatori, proveniente da diverse micro strutture illuminate da luci multicolore dove si alternano band e dj allietando coloro che preferiscono spazi comodi per scatenare le danze anziché assistere agli eventi di maggior richiamo dei tre grandi palchi. Tra aree bar e zone relax ci si trova a vivere fuori dal tempo.
Questo è quello che è parso davanti a noi all’arrivo per la prima sera di musica; mentre si cercava di fare mente locale per orientarci, tra l’accredito ed una birra fresca tutto intorno risuonava l’inconfondibile voce di Emiliana Torrini che dal Terra stage si esibiva davanti ad un pubblico già molto numeroso nonostante fosse uno dei set di apertura dell’evento. Il tempo di apprezzare il suo suono dal vivo, dai forti richiami all’Islanda di Mùm e primi Gus Gus (con i quali peraltro lei stessa ha collaborato ai tempi del loro capolavoro “Polydistortion”), che decidiamo di spostarci all’Aqua stage per assistere al concerto dei Woods, formazione americana sospesa tra intenzioni kraut-rock e psych-folk. La Band capitanata da Jeremy Earl (voce e chitarra), dal vivo è ancora più sorprendente che su disco e i recenti tentativi di rendere più ariose le proprie melodie strizzando l’occhio a certo pop sixties lascia il campo a cavalcate di lo-fi rock dal forte impatto. La platea risponde con sonori applausi e desiderio di non lasciarli più scendere dal palco.
Abbiamo voglia di elettronica così raggiungiamo il Red Bull Music Academy stage. Le aspettative sono alte lo ammettiamo, recentemente la Academy non sbaglia un colpo e nemmeno due mesi fa al festival spagnolo Sonar se ne sono viste delle belle sul palco del toro rosso. Al mixer troviamo l’inglese Norman Jay, un autentico funambolo che ha saputo miscelare nella sua ritmica dalle cadenze sostanzialmente house, una marea di generi che vanno dal jazz-funk al soul, musica nera che ha incendiato i nostri animi. Il tempo di guardare l’orologio per rendersi conto di aver trascorso in sua compagnia più di un’ora, ci dirigiamo di corsa verso il palco più grande per l’esibizione principe della prima serata: The Prodigy. La calca è tanta ma riusciamo a guadagnare le prime file mentre il pubblico continua ad arrivare sempre più numeroso. D’improvviso le luci si spengono e compaiono davanti a noi Liam Howlett (la mente dietro al tutto), Keith Flint e Keith – Maxim – Palmer (gli sgherri al microfono, animali da palco, autentici animatori del set), accompagnati dai consueti turnisti alla batteria live / chitarra elettrica. L’elettronica esplode da dietro la postazione di Howlett ed in un attimo vengono proposti brani che hanno fatto la storia del big beat elettronico virato rave degli anni ’90: Breath, Poison, Smack My Bitch Up, Out of Space, Their Law che non sfigurano accanto alle più recenti Omen, Invaders Must Die e Take Me To The Hospital. Una esibizione che si ripete immutata oramai da anni. Magari Flint è un po’ più bolso del solito ma questo spettacolo va visto almeno una volta nella vita, in una parola: potentissimo!
Con nelle orecchie ancora il rumore di un impianto non perfettamente calibrato – importa poco considerato il volume con il quale ci ha investiti il set – ci dirigiamo nuovamente nei pressi del palco Red Bull per finire in bellezza la serata con Dj Spinn & Dj Rashad. I due dj di stanza a Chicago danno forma ad un set di footwork/junk music dove confluiscono R’n’B e hip hop in modo mai scontato e con una sensibilità fuori dal comune.
Il secondo giorno arriviamo in orario per assistere all’esibizione dei Calexico in forma smagliate. Il loro roots-rock è ancora “avanti” pur recependo stili che provengono da tempi e luoghi remoti della terra, tra suggestioni messicane e musiche da film (naturalmente western). La Band suona a festa lunghi strumentali jazzati con accompagnamento di trombe mariachi e chitarre desertiche che appassionano e fanno divertire tutti, ma proprio tutti i presenti.
Non c’è tempo di riprendersi che già il palco comincia a tingersi di blu per l’altra esibizione attesissima del festival, quella dei My Bloody Valentine. Il ritorno sulle scene della storica quanto seminale formazione dello showgaze (a 21 anni dalla pietra miliare “Loveless”), è passato per una serie di concerti sold-out segno di quanto la formazione anglo-irlandese sia apprezzata dal suo pubblico, oggi più che mai, verrebbe da pensare. Kevin Shields and co. entrano silenziosamente, quasi in sordina, in mezzo a due muri di amplificatori posti al centro del palco. L’attacco chitarristico esplode nell’aria con forza inaudita tanto da spingere i più ad indossare tappi per le orecchie (ben preparati a quanto pari i fan dei MBV); noi ci accontentiamo di appallottolare della carta negli orecchi e rimaniamo in prima fila a goderci i feedback di chitarra e tutti gli effetti di riverbero sulla scena. La voce di Bilinda Butcher si sente a malapena ed il suono è sporchissimo eppure tutto funziona, i brani riecheggiano nella testa, divengono perfetti pur essendo alle volte sbiaditi, passano due ore in un baleno.
Come di consueto ci dirigiamo verso il palco Red Bull per terminare la serata al meglio: Maja Milich, dj di stanza a Zagabria propone un set electro-funk con forti richiami a sonorità footwork mentre l’americano Jesse Boykins III vira verso un soul elettronico moderno e raffinato, con un cantato in pieno stile nu r’n’b che ci somministra la giusta dose di relax dopo l’assalto sonoro che le nostre orecchie hanno subito durante i MBV.
Terza e ultima serata, decidiamo di dedicarci maggiormente agli eventi “collaterali”, visitando i palchi più piccoli. Assistiamo all’esibizione delle meraviglie di Sea + Air, duo greco/germanico di chitarra-batteria che in energia non ha nulla da invidiare ai White Stripes; molte le analogie con il gruppo statunitense (sempre di rock elettrico si parla), se non fosse per la loro ironia che traspare sia nel rapporto con il pubblico sia nella scelta di soluzioni musicali dal sapore zappiano.
Ci si butta poi in pista, presso il tendone dell’area chiamata Ljetovanje stage per ballare l’electro funk di Philippe e di Oli Doboli, giovanissimi dj della scena locale che sanno bene come infiammare la piste e fare concorrenza ai grandi nomi in cartellone della rassegna.
Ci spostiamo solo nel momento dei Wu-Tang Clan, gruppo cardine del rap e dell’hip hop che infiammano il Terra stage. La loro musica è oramai un marchio di fabbrica, è passato e futuro della musica nera tutta: stralci di vita vissuta, riferimenti letterari e cinematografici, rappato sguainato e basi proto-elettroniche per una esibizione che coinvolge persone di ogni età, dai ragazzi col cappello piegato da un lato a teste grigie che tengono il ritmo con il piede. Si respira aria d’evento per tutto il tempo del concerto per ritrovarci qualche ora dopo davanti a Blond:ish ovvero il duo di base a Londra (ma di origini canadesi) Anastacia e Vivie-Ann. La loro disco-house fa danzare come se non ci fosse un domani, nonostante la stanchezza accumulata comincia a farsi sentire.
Prima di abbandonare il festival passiamo come di consueto davanti al palco Red Bull per assistere all’esibizione di un altro duo, di nome Kyodai (che vuol dire “fratelli” in giapponese), che spara house music su un pubblico meno copioso ma ancora festante.
I cancelli si chiudono dietro di noi e raggiungiamo la navetta che ci riporterà in albergo con un sorriso grande e con la convinzione che Terraneo abbia ancora moltissimo da dire. Un festival che nonostante la giovane età esprime qualità con un occhio ai suoni dei talenti emergenti. La voglia di divertirsi e divertire con buona musica è un fattore chiave che lo rende un concorrente da non sottovalutare nello scenario dell’Europa dei grandi festival estivi. In bocca al lupo Terraneo, continueremo a seguirti!
E’ proprio cogliendo la bontà dei dj-set targati RBMA che ci è balenata l’idea di provare ad intervistare qualcuno che sta “dietro” l’organizzazione del Red Bull Music Academy stage croato e ci siamo riusciti, di seguito la nostra intervista esclusiva a Eddy Ramich dj, produttore, promoter e selezionatore artistico per RBMA Croazia.
“RBMA = qualità” è qualcosa che state dimostrando evento dopo evento, in un contesto mondiale che a partire dall’idea avuta nel 1998 arriva fino ad oggi in una storia lunga già 15 anni.
La qualità che si propone è cresciuta e sta crescendo ancora e penso che il motivo principale stia nel fatto che l’Academy è composta da professionisti che lavorano in campo musicale da moltissimi anni, decine di anni e che quindi hanno una preparazione tale da riuscire a cogliere con sensibilità precise quello che di buono e nuovo gira in ambito artistico.
Tu sei uno dei responsabili della selezione artistica di RBMA in Croazia, cosa gira di buono da queste parti?
Ci sono moltissimi artisti giovani che sperimentano con la musica, sopratutto nell’ambito di quella elettronica, e quello che le persone come me cercano non è solo la bravura di un dj intesa come abilità di composizione e così via ma si ricerca un’idea, una attitudine a monte, un qualcosa che possa essere innovativo e che possa influenzare noi stessi ed anche gli altri artisti coinvolti globalmente nella Academy. In questi tre giorni potrai apprezzare diversi artisti croati nella line-up, non aspettarti musica comune!
Difatti gli artisti emergenti che annualmente vengono selezionati da RBMA sono spinti a scambiare esperienze tra loro ed anche con personalità del calibro di James Murphy, Flying Lotus, Richie Hawtin, Erykah Badu…
Esattamente, si tratta di condivisione di idee per dare forma al suono del futuro!
La musica al tempo di internet dovrebbe circolare liberamente anche senza il supporto di RBMA eppure se la realtà della Academy è nata vuol dire che probabilmente un certo bisogno era presente…
In un mondo globalizzato non conta più essere croato, bosniaco, serbo oppure italiano, si può comporre musica spendendo pochissimo e avere una visibilità enorme con internet ma diventa sempre più difficile emergere, scoprire suoni originali, ed è per questo che con l’Academy si cerca di proporre artisti con standard qualitativi sempre più elevati, affinché possano emergere talenti autentici.
Ed ecco probabilmente perché è nata l’idea di aprire un canale radio di RBMA, per avere un altro mezzo, classico ma sempre efficace, di promozione dei propri artisti?
Esatto, il canale radio di RBMA è principalmente territoriale e trasmette la musica degli artisti che vengono selezionati nella scena locale ma vengono messe in piedi di volta in volta collaborazioni con quelle degli altri paesi in modo da variare le sonorità proposte. La scena croata è piccolina ma negli ultimi anni è vibrante, ieri sera per esempio Petar Dundov è stato grandioso, musica fresca e stimolante. Sono sicuro che nel giro di poco tempo la nostra scena riserverà qualche bella sorpresa!