Se un’etichetta di grande esperienza e visibilità come Kompakt – che io, sinceramente, venero – ti pubblica un intero album, un motivo dovrà pur esserci, giusto? Sbagliato: di buoni motivi qui ne vedo almeno tre. Certo, va ricordato che i Terranova, oltre ad essere sempre in giro per il mondo con il loro dj set, vantano una lunga produzione alle spalle fatta di album, tantissimi EP e remix importanti (vedi Fischerspooner). Insomma, non si parla mica degli ultimi arrivati. Ma quello che vi interessa non è questo, che per saperlo basta aprire una pagina qualunque, nel web, che parli di loro. A voi interessano i motivi, giusto? Giusto.
Dunque, direi che il disco parte molto bene, con un pezzo che fin dal primo ascolto ti entra nel cuore: “Question Mark”, un mix di vocals e suoni vagamente retrò – ce ne saranno altri – miscelato con grande conoscenza del movimento corporeo e dell’animo umano. Ti fa sentire ovunuqe: Londra, Roma, una città spersa in mezzo a qualunque deserto possa chiamarsi tale. Ti fa sentire a Mosca, Miami o in periferia a Milano. La puoi ascoltare mille volte e non ti stanca mai. Ti accompagna come l’aria di primavera. C’è, ma non la senti.
Il secondo motivo che mi induce ad alzare il pollice è certamente “I Want To Go Out”, primo dei due singoli estratti da “Hotel Amour” e utilizzata da Kompakt come traccia lancio del disco. E’ un pezzo veloce e relativamente semplice, dove la voce maschile inizialmente spadroneggia affermando decisa la sua voglia di “uscire”, poi richiama a ventate di aria fredda e sincopata, prima di trsformarsi in una melodia quasi dolce. Il loop che porta con se punzecchia ma non morde mai.
Terzo: le influenze di altri generi. Il che, spesso, è rischio. Va bene l’occhio per la pista, ma in pezzi come “Ain’t No Thing” (feat. Snax), “Boogie For The Dollar” (feat. Khan) ed “Avenue Wagram” si capisce quanto vasto sia il mare da cui attinge questo duo. Non solo nelle collaborazioni (ce ne sono svariate all’interno dell’album) ma anche nel tipo di musica scelta per rifinire il tutto. Rock, soul e latina sono additivi di una certa rilevanza, e hanno un paio di suite qui nell’albergo dell’amore… e davvero sensibile, quasi sorprendente, è la voglia di sperimentare dei Terranova. Penso a “Prayer”, la ballata che chiude il disco, un luogo dove archi, vocals e lamenti di grande intensità costruiscono, sapete cosa? Una tenda canadese d’oro e titanio, che la vedi da fuori e non gli dai nessun valore, ma poi entri dentro e ne cogli la struttura. Poca ricercatezza fine a se stessa e tanta sostanza. E’ “Prayer”, pezzo incalzante e malinconico, perfetta per chiudere qualsiasi cosa. Un amore, un’esibizione, un film. Seconda solo a “Make Me Feel”, traccia numero cinque – come il profumo – qualcosa di simile all’orgasmo.