E’ un album che parla di come riuscire a superare i momenti difficili che ci aspettano nella vita e di come, anche dietro le peggiori difficoltà, si possa nascondere qualcosa di bello. E’ “Life On The Back 9”, la nuova raccolta di Terrence Parker che segue il bellissimo singolo “Finally (Baby Be Mine)” uscito la scorsa estate, il cui titolo rimanda a una frase che il padre dello stesso Parker ha detto al figlio durante un momento particolarmente buio: “Terrence if you think of your life as a game of golf, perhaps the front 9 did not go as you had liked. But don’t give up because you still have the back 9” – figliolo, se le prime nove buche non sono andate come speravi, cerca di migliorare nelle nove che ti restano. Sacrosanto, oltre che saggio.
Un messaggio di speranza e fiducia che parla attraverso la lingua di strings ariose e linee di piano swingate e grevi, un tema che viene prima di tutto manifestato dai titoli scelti da “Telephone Man” in una tracklist quasi trascendente. Il trionfo dei chord, come Detroit impone, vissuti attraverso la spiritualità che sembra essersi fermata agli artisti della generazione (e del genoma) di Terrence Parker. E così più che un tributo – all’amico ormai perso (“The Friend I Lost”), ad una donna speciale (“My Virtuous Woman”), al Dio che governa le nostre azioni (“God He Is”) e alla nostra guida spirituale (“Open Up Your Spirit” e “Spiritual Welfare”) – quello descritto da “Life On The Back 9” sembra essere un vero e proprio viaggio attraverso le esperienze vissute dall’artista (prima) e le sfumature del suono che dal 1988 caratterizza la musica del Parker musicista e dj (poi). Ed è tutto incredibilmente vero, insomma, tutto incredibilmente bello perché intenso e profondo come i giro di basso groovosi che fanno da collante tra le dodici tracce della raccolta.
Nulla di veramente nuovo (come capita talvolta di assaporare quando è chiamata in ballo Planet E), però, perché a ben vedere Terrence Parker rappresenta – meglio di tanti altri – uno di quei personaggi che raramente mettono un piede fuori dallo steccato. Essere una leggenda, in fondo, vuol dire spesso anche questo. Ma ciò che veramente fa di “Life On the Back 9” un album da avere è il fatto che qui si sente la vita scorrere nelle “macchine” dello studio del produttore del Michigan; si vive l’anima di un genere, l’house music (quella vera, quella genuina e “radicalmente underground”), che mai come oggi sta soffrendo la moria di figure che la interpretino come con lo spirito che le spetta.
Sarà un caso che mai come oggi il vintage sembra essere l’unica via per gli amanti dell’house music? Anche se molti sembrano accorgersene solo ora, quella roba è lì da una vita, a mancare sono dischi fatti bene come questa raccolta per cui Terrence Parker ci ha fatto aspettare diciassette anni.