I The Clover nascono nel 2006 quando Antonio Pecori, Stefano Meucci e Andrea Giachetti, decidono di dar vita al progetto. Il trio è improntato sulla produzione, sull’alternarsi di dj set (in duo) e, cosa più particolare, su liveset che vantano l’esclusività di un bassista vero e proprio (Andrea). Sin dagli inizi, i tre ragazzi si fanno notare affermandosi nel challenge lanciato da Elettrowave dedicato ai dj producer (siamo nell’estate del 2008) e, mantenendo un self control davvero ammirabile, riescono da lì a poco a sfornare ottime release su Ethique, Sunplay e Bosconi con una continuità e una semplicità sorprendente.
La loro discografia è ricca di tracce dalla struttura simile: “sullo sfondo” uno scheletro minimale, mente “in superficie” galleggia quell’alone funky-house, immediatamente riconoscibile grazie alle calorose note di basso (ovviamente, rigorosamente, suonato) che delizia chi stà all’ascolto. Il resto è quanto di più vicino alla dubstep: tanti piccoli campioni sonori che messi insieme danno quasi l’impressione che si stia ascoltando un cartone animato muto, se non fosse che i cut vocali e gli efx sono, per i Clover, come il latte col caffè…vanno sempre insieme! Il loro nuovo lavoro, ovvero “A Trip With Us EP”, numero otto del catalogo T-bet, non fa eccezione.
Dopo aver chiesto il disco a Matteo le cose sono andate pressappoco così: faccio partire iTunes, attivo gli effetti visivi a tutto schermo, e qui potreste controbattere con un “ma a noi, che ci frega?”…non fateci caso, un trip senza luci colorate non è un trip. Alchè la prima cosa che mi viene da pensare è: “ma questi ragazzi lavano i suoni a 90° per farli uscire così puliti?!”. Ma non basta, perché (non vi vorrà molto per capirlo) questo lavoro è davvero complesso tanto che, per quanto si ascoltino le sue tracce con attenzione, non si riesce a tenere il conto dei samples e delle automazioni sempre diverse che danno un tocco inimitabile al pezzo e alle pause, donando carica e allegerendo l’attesa della ripartenza. Non ci vogliono troppi ascolti per capire che è un EP di una finezza estrema. Roba con le palle e, soprattutto, sorprendentemente originale.
Ascolto per intero i tre brani partendo da “Enigma”. Come già detto avere un bassista non è cosa da poco e lo si nota proprio in questo primo brano: tra string e schitarrate varie c’è spazio per un paio di voci e qualche elemento ritmico che non guasta mai. Pause e ripartenze sono letteralmente da urlo (i miei elogi vanno ancora al basso), davvero ottima traccia!
A metà strada mi imbatto nei pad avvolgenti ed armoniosi e nelle ritmiche irregolari di “Black Acid”, fatto stà che ad appena tre minuti e mezzo pare cominci un nuovo pezzo mentre invece è solo la fine dell’inizio…che precede un nuovo inizio.
Qualcuno affermava “gli ultimi saranno i primi”, ed effettivamente non si sbagliava del tutto, mi è già capitato spesse volte di emozionarmi coi pezzi di chiusura EP e da adesso dovrò aggiungere anche “Go Witch”. Basso massicio, ripartenze stratosferiche in cui l’adrenalina sale alla velocità del termometro in questi tempi. A voler essere critici con questo lavoro, era proprio il tipo di traccia che serviva a completare questo EP bello sì, ma carente di concretezza per quanto riguarda le prime due tracce. Il finale, è un continuo susseguirsi di emozioni forti in grado di ribaltare le osservazioni precedentente fatte. Compresa la pista e i clubbers che contiene.