I Notwist fanno musica che piace a tutti. Sono sperimentali ma non cervellotici, diretti ma non banali, malinconici ma non uggiosi e si potrebbe proseguire ancora, nel gioco delle contrapposizioni tra attributi, dove il gruppo tedesco riesce sempre, con naturalezza, ad essere dalla parte giusta. Come sapete saranno tra i protagonisti – unica data italiana – del prossimo Vasto Siren Fest (dal 21 al 24 luglio 2016) alle prese con la riproposizione integrale dell’album, pietra angolare della loro carriera, “Neon Golden”. Una buona occasione per scambiare alcune parole con Markus Acher, voce e chitarra della formazione, per entrare nei meccanismi della band e comprendere cosa vuol dire fare i conti con una carriera in continuo divenire artistico. Nondimeno, abbiamo affrontato con lui alcuni ragionamenti sulla musica contemporanea che ci stanno particolarmente a cuore.
Se dovessi raccontare chi sono i Notwist ad una persona che non vi conosce, inizierei con l’affermare che siete dei curiosi sperimentatori che riescono a rendere facilmente fruibili soluzioni sonore insolite. Sei d’accordo?
Sì, direi che suona bene. Spero solo che anche altri la pensino come te!
La vostra storia discografica è molto eterogenea dal punto di vista delle sonorità scelte, eppure siete sempre riconoscibili, anzi direi inconfondibili. Che sia soprattutto la voce il trait d’union nella vostra musica? Me lo chiedevo perché è comunque un elemento spesso tenuto sottotraccia o non enfatizzato.
Credo che, per certi versi, abbiamo sempre scritto canzoni allo stesso modo, a fare la differenza sono gli arrangiamenti. Ma hai ragione a dire che il modo di cantare o, per meglio dire, l’espressività, sia rimasta la stessa. Non sono propriamente un cantante, mi ritengo più un musicista che si mette anche a cantare, quindi il mio interesse non è focalizzato su alcun tecnicismo lirico. Cerco di ottenere la giusta melodia e di aggiungere parole che abbiano un senso, che mi riguardino.
Le radici della band sono sostanzialmente punk. Quando, dopo l’album “Neon Golden”, è arrivata la notorietà e con essa certe definizioni dei critici musicali che usavano la parola “pop” in aggiunta alle varie definizioni del caso, vi siete infastiditi?
No, non del tutto. Credo che fintanto rimanga difficile incasellarci all’interno di un genere ben specifico, siamo soddisfatti.
Vi ho fatto questa domanda perché credo che oggi smussare alcuni angoli per rendere la musica più “pop” sia diventata una sfida accettabile. Credo che nei primi anni 2000 si fosse più integralisti, sia dalla parte della critica che da quella del pubblico. O si sperimentava oppure si faceva pop, i due universi erano meno in contatto. Sei d’accordo?
È vero, sì. Ma abbiamo avuto detrattori fin dall’inizio, quelli che non apprezzavano le nostre “melodie pop” oppure che non accettavano di ascoltare canzoni d’amore anziché quelle “contro l’autorità” o robe del genere. Io ho sempre amato i gruppi che trascendono ogni confine, che suonano canzoni pop con arrangiamenti insoliti o viceversa, come i Deerhoof oppure i Broadcast, per esempio.
Suonerete al Vasto Siren Fest 2016 riproponendo, in versione integrale, proprio “Neon Golden”. Cosa si prova a fare un’operazione del genere?
Per noi non è mai stato un disco ingombrante, o perlomeno non così tanto come può sembrare da fuori. Lo consideriamo per quello che è, una tappa del nostro percorso. Perciò sarà divertente riproporlo integralmente dal vivo. Molti brani, nel corso del tempo, hanno assunto un significato diverso.
Quindi gli darete una veste alternativa? Lo stato d’animo del momento può fare la differenza, in casi come questo.
Quando si chiude un album, inizia sempre un nuovo corso per ogni singolo pezzo. E’ una seconda vita che nasce durante il tour, una evoluzione che può mostrare aspetti diversi, è un processo molto stimolante. Si rimette in discussione ogni canzone, esplorando eventuali nuove direzioni. La stessa cosa è successa, e continua ad accadere, con “Neon Golden”. Può anche succedere che i pezzi non cambino, che funzionino bene nella vesta in cui sono nati. In ogni caso sono i Notwist di oggi che eseguiranno tutti i pezzi, con le idee che abbiamo attualmente in testa.
Tra il 2014 ed il 2015 avete fatto uscire due dischi a distanza di un solo anno “Close To The Glass” e “The Messier Objects”. Mi piacerebbe conoscere la storia legata a questi lavori, il secondo doveva essere una sorta di raccolta di lati b, poi evoluta in un album, vero?
“Messier Objects” è una raccolta di musica che abbiamo composto per il teatro, la radio e i film. Per “Close To The Glass” abbiamo utilizzato uno stile tipo collage sonoro di campionamenti, un mix di stili e suoni che ci hanno ispirato nel processo di lavorazione. Molte idee sono arrivate proprio dalle cose che avevamo prodotto per alcuni show radiofonici e dalla sonorizzazione di spettacoli teatrali. Suonavano bene e quindi ci abbiamo lavorato ulteriormente. I due dischi mostrano direzioni diverse che si possono sviluppare da fonti sonore similari.
Come nasce un disco dei Notwist? Alcuni di voi sono impegnati anche in altri progetti (Lali Puna, Ms. John Soda, 13 & God), potete dirmi se vi date dei tempi per realizzare nuovi dischi oppure nasce tutto naturalmente, per la voglia di suonare insieme.
C’è un momento in cui capiamo che è arrivata l’ora di un nuovo disco. Nasce tutto in modo naturale rispetto agli altri progetti in cui siamo impegnati, però al contempo c’è anche molta organizzazione e pianificazione. Arriva la voglia di suonare assieme, ma è fondamentale lasciare a tutti la libertà di poter produrre dischi al di fuori dei Notwist. C’è una fitta corrispondenza mail per trovare un periodo libero per poterci riunire tutti.
Chi sono oggi i Notwist? Magari state scrivendo nuova musica e potete dirci cosa avete in mente.
Stiamo scrivendo musica per un nuovo disco, che registreremo entro la fine dell’anno prossimo. Abbiamo anche prodotto musica per un film-documentario e sonorizzeremo uno spettacolo teatrale e una serie tv. Inoltre, saremo i curatori di un festival chiamato “Alien Disko” che si svolgerà a Monaco di Baviera nel mese di dicembre. Inviteremo un sacco di band che ci piacciono, come ad esempio i Tenniscoats da Tokyo, i Jam Money da Londra e la Sun Ra Arkestra!
Come ci si approccia ad una colonna sonora? Si guarda il film e ci si lascia ispirare oppure si adattano bozzetti di pezzi che sono già stati scritti alla sceneggiatura, o magari una via di mezzo tra le due attitudini. Già nel 2009 avete dato alle stampe “Music For Storm”.
Per il lavoro con il regista Hans Christian Schmid eravamo in possesso della sceneggiatura prima che il film fosse concluso, quindi abbiamo avuto il tempo di riflettere sulla direzione che volevamo dare alla musica. A riprese concluse abbiamo montato il suono direttamente sulla versione definitiva della pellicola. In genere produciamo molta musica, fino a quando non emerge un tema principale. Una volta che c’è questo, è fatta, perché basta suonare le sue variazioni per strutturare la colonna sonora.
Qual è il vostro rapporto con la tecnologia? Per l’album “Close To The Glass” avete guardato indietro, recuperando vecchi sintetizzatori modulari, per un risultato sul suono molto affascinante.
Cerchiamo di non rendere la tecnologia l’elemento portante della nostra musica. In quell’album abbiamo utilizzato vecchi sintetizzatori ma anche computer e campionatori o vari altri strumenti analogici. Personalmente non ritengo importante cosa si utilizza ma piuttosto come si registra. Conta il modo in cui le idee vengono trasformate in musica. Un registratore a quattro piste può funzionare meglio di un prestigioso studio di registrazione.
Potete darci una manciata di titoli di vostri pezzi che credete siano stati fondamentali per la storia del gruppo?
“Gloomy Planets” è una canzone che mi piace ancora molto, parla in modo diretto di cose assai astratte e questo è un aspetto che mi sta a cuore. Il pezzo che si chiama “12”, tratto dall’album omonimo, è stato invece molto importante perché per la prima volta abbiamo giocato con l’improvvisazione. Poi, naturalmente, c’è “Consequence“. Il pubblico la attende sempre con ansia dal vivo.
Ascoltate con piacere la musica contemporanea? Mi piacerebbe sapere quali sono i gruppi che recentemente vi hanno colpito di più.
Oh, sì, c’è così tanta buona musica nuova in giro! Io amo i Dawn Of Midi, un trio di pianisti che producono musica elettronica astratta. I Nisennenmondai che sono un trio giapponese che fanno una cosa simile ma con chitarra, basso e batteria. Poi adoro l’ultimo disco dei Deerhoof, non sbagliano un colpo. Inoltre mi piacciono moltissimo un sacco di nuove band indie-post-punk-new-wave-eccetera-eccetera come i Joanna Gruesome, The Goon Sax, Shopping, Parquet Courts, anche l’ultimo lavoro di Kaitlyn Aurelia Smith che si chiama “Ears” è meraviglioso, così come l’ultimo del nostro amico Odd Nosdam che si chiama “Sisters”.
Cosa vi piacerebbe fosse più presente nella musica di oggi? Magari dal punto di vista sonoro, o anche riguardo l’industria musicale.
Dal punto di vista sonoro credo che non manchi nulla. Purtroppo il tasto dolente è quello politico, è essenziale tornare a considerare gli aspetti sociali di ciò che si fa. So che l’arte non può cambiare il mondo, ma può essere un veicolo per creare discussione attorno ai temi dell’oggi, in modo libero e senza compromessi, distribuendo libera cultura. In una realtà conservatrice e nazionalista, questo tipo di impegno può fare la differenza, può rappresentare un movimento di rottura.
English Version:
The Notwist plays a music that everyone can appreciate. They are experimental but not brainy, direct but not trivial, melancholic but not tedious and we could still continue in the game of contrasts between attributes, where the German band always manages, without efforts, to be on the right side. As you know they will be among the protagonists of Vasto Siren Fest (from 21 to 24 July 2016), intent to replay their classic album “Neon Golden”. A good chance to speak with the guitarist and singer Markus Acher, to get into the band’s mechanisms and understand what it means to deal with a constantly up-changing artistic career. Nevertheless, we have faced with him topics that we consider primarily important to contemporary music.
If someone asks me about The Notwist, I would probably start by saying that you are curious experimenters who manage to make easily accessible unusual music solutions. Can you agree?
Yes, that sounds good. I hope some others agree too!
Your discography is very heterogeneous in terms of sound choices but you are even fine recognizable, I would say unique. I wonder that the voice could be one of the bonding elements in your music history, is it? However, it is an element often kept concealed or just not emphasized.
I think, in a way, we always write quite similar songs, but try to arrange them differently. However, the voice, the way of singing and the essence of the songs, stay the same, that is true. In addition, I am not a ‘singer-singer’, so I am more a musician, who also sings… so I do not try to be an expressive or technical good singer…I am not very interested in that. I try to get the melody right and add some words, that say something, I can relate to.
The roots of the band are substantially punk. When, after the album “Neon Golden”, came certain notoriety and the critic used to add the word “pop” to the definitions, were you bothered?
No, not at all. I think, as long as it is hard to squeeze us into one special genre, we are happy.
I have asked that because I believe that, nowadays, smoothing music corners to make a song more “pop” has become an acceptable challenge. I believe that in the early 2000s there was more fundamentalist, both from critics that from the public. A band was experimental or pop, the two universes were less in contact. Do you agree?
That is true, yes. However, we had critics from the start, who did not like our ‘pop-melodies’, or that we played love-songs instead of ‘we hate the police’ or something like that. I always liked bands that transcend boundaries… that play pop songs in unusual arrangements, or vice-versa… like Deerhoof or Broadcast for example.
You will perform, in full, “Neon Golden” during the upcoming “Siren Fest 2016”. An album that brought you to be appreciate to a wider audience. How does it feels like to be back to that masterpiece?
For us, it was never the masterpiece so much, actually…more one step in our musical way…So, for us it’s fun to play all these songs…many of them we still play live in more or less different versions.
I guess it is not easy to perform something of the past exactly as it was. Will you give a different guise to it or you strive to run it the same way and with the same tools of 2001? The state of mind of the moment will probably play a fundamental role.
When you have finished an album, it is always just the beginning for most of the songs. They start their second live, when we play them on tour and some of them really evolve a lot and show a new or different side to them…something that is great. Therefore, we always try to question every song and have open parts to go somewhere else. That is the same with the Neon Golden songs. Some of them have not changed much… they still sound okay, how they are, some others sound quite different now. More like we would play them now.
Between 2014 and 2015, you released two records in a year “Close To The Glass” and “The Messier Objects”. Would be kind to know the story linked to this works, the second initially was a sort of collection of b-sides then evolved into an album, right?
“Messier Objects” is a collection of music we composed for theatre, radio-plays and film. When working on “Close To The Glass”, the whole style of collaging and sampling, mixing together different styles and sound-sources became the general idea for the album… and many ideas came from these theatre / radio – soundtracks. Therefore, we thought, it would be a good companion-piece to “close to the glass”…they fit together very well, I think. In a way, it shows two different directions the songs can go.
How do you close an album? Some of you are engaged in other projects (Lali Puna, Ms. John Soda, 13 & God), maybe you arrange a term to work together or everything comes naturally, I mean the desire to play together.
There is normally a point, when we know, that the album is finished. It comes quite naturally and with the other bands and projects, that is actually a lot of organizing and planning. There is the desire to play, and it’s very important, that everybody can put his ideas in other projects as well, and doesn’t have to realize everything inside The Notwist…. but it’s really a lot of emailing and organizing to get all the projects together.
What about The Notwist today? Perhaps you are writing new music and can tell us what you have in mind.
We started to write new music, that we want to record next year the latest. We also worked on music for a documentary-film, and will compose more for a theatre-play here in Munich and a TV-series. Then we will curate a festival, called “Alien Disko”, here in Munich in December, where we will play and invite lots of bands, we love…. for example the Tenniscoats from Tokyo, Japan, Jam Money from London, and the Sun Ra Arkestra!
I am curious about your approach about realizing a soundtrack. You watch the movie to take an inspiration or you adapt sketches you had to the script. Alternatively, maybe something in between. Already in 2009, you have produced “Music For Storm”.
For the work with the director Hans Christian Schmid, we already get the script before the movie was filmed, so we started thinking about the musical direction. Then we get the filmed material and arranged/composed it together with the cut. Normally we compose a lot, and it gets less and less, until the main themes and variations become the main part of the soundtrack.
What is your relationship with technology? For the album “Close To The Glass” you looked back, using old modular synthesizers for a very fascinating result.
We try not to make the technology the theme of our music. There is some old modular synthesizers on this record, but also computer and samples and many played instruments. For me personally, it is not important, what you use or how you record…it just has to transport the music and the ideas. A four-track is sometimes even better than the best studio.
Can you give us a handful of titles of your tracks that you believe have been crucial to the history of the band?
“Gloomy Planets” is a song I still like a lot, as it says something direct in a very abstract way…that is something I like a lot. The song “12” from the album of the same name was also an important song for us, as we experimented with improvisation and sounds for the first time on a record. In addition, the song “Consequence“, of course. Many people always wait for this song.
Do you listen with pleasure to contemporary music? Which are the bands that recently hit you the most.
Oh, yes, there is so much great new music! I love the band Dawn Of Midi, a piano-trio that plays music that sounds more like an abstract electronic-musician. In addition, Nisennenmondai, a Japanese trio that does something similar with guitar, bass and drums. I really like the new Deerhoof LP…as always… and I really really enjoy a lot of new indie-post-punk-new-wave-whatever-bands like Joanna Gruesome, The Goon Sax, Shopping, Parquet Courts… and the new record “Ears” by Kaitlyn Aurelia Smith is mesmerizing…and “Sisters” by our friend Odd Nosdam is a masterpiece.
What would you like to be more present in music today? Maybe from the point of view of the sound or even around the music industry.
There is nothing missing for me, actually, musically. Sadly, the worse the times are politically, the more essential the music gets…and that seems to be true again now. I think, art cannot change the world, but it can be a vehicle for ideas and create questioning, open minded, uncompromising, demanding and free culture. That is something that always has been in the way of conservative, nationalistic, reactionary forces wherever.