“Coexist”, seconda fatica del trio britannico The XX, è bello (molto bello) ma non emoziona come la loro prima, omonima, raccolta uscita non più tardi di tre anni fa. Riuscire a bissarne il successo, specie se si fa un ingeneroso confronto con le allora nuove e fresche suggestioni suscitate da “XX”, si è rivelata un impresa piuttosto ardua ed ecco giustificati (probabilmente) tutti questi mesi di attesa. Sì, perché se, come spesso capita, riascolto “XX” non riesco a togliermi dalla testa l’idea di avere di fronte un prodotto perfetto, per equilibrio e pulizia, un disco che riesce a disegnare atmosfere algide e sexy al tempo stesso, un lavoro letteralmente avvolgente dove le placide melodie (vocali e non) di Romy e Oliver rappresentavano l’infallibile innesco dei più dolci e torbidi tumulti interiori.
“XX” è semplicemente un’esperienza e “Coexist”, come detto, non è a quel livello nonostante riesca, sotto diversi aspetti, a tenergli testa. Incredibilmente più vuote, infatti, le undici tracce che lo compongono sono meravigliosamente solide e consapevoli, mettendo da parte le melodie che tanto abbiamo amato in passato (vedi “Intro” o “Heart Skipped A Beat”) in favore di un beat più profondo e vicino al dub – a cui Jamie Smith strizza l’occhiolino spesso e volentieri e che qui prende vita come non mai in “Chained”. Il risultato è un lavoro, se volete, ancor più scuro, in cui è possibile respirare l’aria densa degli affollati club invernali (come prova ascoltate la bellissima “Swept Away”) e riconoscere quel piacevole velo di pessimismo/malinconia su cui si poggia da sempre la loro musica.
La cosa che maggiormente colpisce di “Coexist”, è che qui il senso di vuoto sembra non conoscere fine. Però, proprio quando ci si sente prossimi al punto di non ritorno, proprio quando ci si è ormai rassegnati a voltare le spalle alle ultime luci estive in favore di un precoce autunno, arriva la romantica impazienza di “Try”, il caldo abbraccio di “Fiction” e la poesia di “Angels”, vero e proprio capolavoro che solo i The XX avrebbero saputo concepire. Come ogni altro loro lavoro – e più in generale, come ogni lavoro che vede coinvolto Jamie Smith -, “Coexist” è capace di regalare nuove emozioni ad ogni ascolto. Qui il trio riesce a disegnare la sofferenza latente che condiziona l’uomo moderno, la sua solitudine (gli strumenti sembrano essere tra loro corpi estranei) e la sua ricerca di calore (gli intrecci delle melodie vocali) all’interno di una società che troppo spesso si dimentica del significato della parola “contatto”. In poco più di venti pezzi – pensate, ad esempio, a “Stars” dal primo album e a “Missing” dall’ultima raccolta – i The XX si sono fatti portavoce dell’uomo del ventunesimo secolo che, solo, è costretto a muoversi all’interno di metropoli come New York, Tokyo o Londra.
Trentasette minuti di musica ci regalano un’istantanea delle nostre vite. Domani, però, non sarà solo un giorno di esclusiva sofferenza e “Our Song”, come un bacio inaspettato, è qui per ricordarci che ogni giorno è un giorno buono per un nuovo inzio.