E’ una casualità temporale e basta, forse. Tuttavia ci sono degli spunti che fanno riflettere, incrociando le cose. Insomma: a distanza di poche ore, a Milano c’è stata prima la data di The xx (ieri sera) e poi (da stamattina) è caduto l’embargo imposto dalla casa discografica e si possono iniziare a pubblicare le prime impressioni su “Spirit” dei Depeche Mode (…sì, per chi non è addentro ai meandri della discografia e del giornalismo musicale per dischi importanti capita spesso che tu possa sentire il disco in anteprima ma prima firmando un contratto scritto in cui ti impegni a non divulgare mezzo rigo della tua opinione fino a una data X). Ora, una tesi per cui The xx sarebbero i nuovi Depeche Mode è forse ancora arrischiata, sì. Per tutta una serie di motivi. Il primo dei quali è che i Depeche Mode sono ancora vivi, vegeti e riempiono gli stadi. Non solo: proprio “Spirit”, l’LP in uscita il 17 marzo e di cui oggi finalmente possiamo parlarvi, dimostra che sono ancora lontani dall’aver raggiunto un bolso stato museale come invece i Rolling Stone o gli U2 (…o perfino i Coldplay che, per essendo ancora relativamente giovanissimi, nel loro consegnarsi mani e piedi al carrozzone del pop sembrano veramente “morti dentro”, artisticamente parlando).
Si tratta infatti di un disco solidissimo, partorito da una band che ha maturato evidentemente un perfetto meccanismo produttivo (anche se ognuno se ne vive per i fatti propri e, quando non in tour o non costretti a stare assieme, se ne stanno bellamente ognuno per conto suo, chi in California chi altrove). Quella che fa impressione di “Spirit” infatti è come ogni elemento sia perfettamente al suo posto. Il dualismo Gahan/Gore pare aver trovato i suoi equilibri, la scrittura è sempre riconoscibile (ormai il “marchio Depeche Mode” è super-evidente) ma nell’esserlo non è diventata né stanca né prevedibile. L’impressione che emerge da ogni singolo suono dell’album è quello di un gruppo molto concentrato, molto focalizzato nel fare un prodotto di qualità inappuntabile. Non c’è un riciclo di idee, non è un’uscita fatta per onor di firma (…o per il mutuo da pagare, o per darsi una giustificazione per tornare a fare l’ennesimo tour fatto di sold out). Non è nemmeno un capolavoro, a dirla tutta. Con una eccezione (“So Much Love”) e mezza (“No More”), mancano quelle tracce davvero epocali, quelle che sanno sprofondarti in un pozzo di emozioni inquietanti, violente, ambigue e lo fanno portandosi dietro un carisma pazzesco, difficile da spiegare a parole, cosa che molto più di tutto il resto è il marchio di fabbrica delle pietre miliari targate DM (vedi “Never Let Me Down Again” ma anche “Enjoy The Silence”, e l’elenco potrebbe continuare a lungo: tutte tracce che sanno combinare l’epico con l’inquietante, l’euforico col malinconico). Ecco, questo carisma in “Spirit” e in quasi tutte le sue tracce non c’è.
Però resta un disco molto valido. Un disco in cui il primo singolo estratto, “Where’s The Revolution”, tanto per dire è forse il brano meno convincente dell’intero lotto. Un disco che suona da paura. Un disco che soprattutto non sente minimamente il bisogno, per la grande sicurezza nei propri mezzi e nelle proprie qualità, di “effetti speciali”: niente arrangiamenti pacchiani o che strizzano l’occhio alle mode più facili, niente eclettismi strani e sguaiati. Solo essenza, solo sostanza. Ecco. E’ qui che inizia a venire in mente il paragone con The xx, con quanto abbiamo visto dal vivo l’altra sera al Forum di Assago.
Una cosa colpisce, del modo in cui Jamie, Oliver e Romy si presentano dal vivo. Sono musicalmente nudi. Essenziali. Se già su disco sono scarni (ma con un sacco di raffinatezze produttive in filigrana), dal vivo la voglia di non fare un concerto-fuffa pieno di parti preregistrate e di suonare invece il più possibile porta ad una versione della propria musica che, insomma, è quasi a livello di demo, negli arrangiamenti e nella pasta sonora. Sono l’esatto contrario del maquillage esasperato in cui sprofonda certo pop (…soprattutto quello che ora sta flirtando a corpo morto con la dance). Lo sono nell’abito musicale, lo sono pure nel vestito di scena: il palco, che si basa su un gioco di specchi mobili, è incredibilmente essenziale, il light design pure, insomma ci si trova ad eoni di distanza dagli spettacoli “son et lumiere” che oggi paiono quasi fondamentali se si vuole avere successo e diventare una realtà da grandi sold out. Questo perché The xx, esattamente come i Depeche Mode, credono nei propri mezzi, credono nelle proprie canzoni, credono che esse possano essere l’architrave di un’esperienza intensa, senza bisogno di altro. Ci credono fortissimamente. E non sono canzoni esattamente semplici. Perché non sono “facili”, non sono euforiche, sono venate di malinconia ed inquietudine. Ma nell’esserlo, non sono patetiche o monocromatiche: in entrambi alla tristezza si mescola l’euforia, in entrambi l’intimo sa farsi epico. C’è insomma una dialettica emozionale che è qualcosa di molto bello da poter respirare. Siamo molto contenti che The xx abbiano battuto ogni pronostico riempiendo davvero il Forum di Assago (un gruppo che, ricordiamolo, la prima volta che è venuto a Milano ha suonato alla Casa 139, ovvero una venue dalla capienza massima di 220 persone). Lo siamo pur non essendo fan sfegatati della band e del suo repertorio: la nostra personale impressione è che siano una band molto onesta, per nulla paracula, ma che in qualche modo ha pescato il biglietto vincente della lotteria perché quello che fanno loro lo fanno in tanti, e da anni, ma loro l’hanno fatto del tutto inconsapevolmente nel modo giusto al momento giusto, attaccandosi al moltiplicatore della popolarità, mentre band molto simili (anche in Italia, pensiamo ad esempio ad Amycanbe o Ofeliadorme) sono la nicchia della nicchia della nicchia e soprattutto vengono considerate band leggermente fuori dal tempo, ancora legate alla modalità pop / trip hop che ha avuto il suo periodo d’oro negli anni ’90 per poi diventare un modernariato da non ricordare volentieri. Fa sorridere come l’hipsterismo che ha adottato a piene mani The xx non si renda conto di idolatrare un gruppo che fa qualcosa che, di suo, sarebbe pesantemente “fuori moda”. Perché il ceppo è lo stesso in cui ricadono Madreblu e Dr. Livingstone. Gruppi che facilmente manco conoscete, se siete più giovani; ma se non lo siete, beh, avete capito cosa intendiamo. E state sorridendo, con sussiego.
Ma va bene così. Va benissimo. The xx sono qualcosa di molto sano per l’ecosistema musicale. E’ molto bello vedere tanto ragazzine di quindici anni con la X a pennarello disegnata sulle guance quanto persone di quaranta/cinquant’anni pendere dalle labbra di Romy, dalla voce e dalle pose di Oliver, dal “clubbing-spiegato-con-gusto-alle-masse” di Jamie. E’ molto bello vederli come si abbandonano alle emozioni di canzoni fatte bene, semplici ma con varie sfumature emozionali, senza sentire il bisogno di cercare l’euforia, il banale buon senso pop-rock o la “gratificazione istantanea” che invece contrassegnano, da sempre, i progetti-che-funzionano, quelli in grado di riempire una venue come il Forum di Assago. The xx forse non sono (ancora) all’altezza di diventare capoclasse e capofila generazionali per davvero, ma questo ce li rende ancora più simpatici; anche perché non tentano in alcun modo di essere quello che non sono, e nel fare così hanno stabilito un bellissimo rapporto di simpatia ed empatia col proprio pubblico.
Insomma, nell’arco di poche ore abbiamo avuto la conferma che l’autenticità, l’onestà, il fare bene le cose che si sanno fare bene, beh, può pagare ancora: nel caso dei Depeche Mode, che dopo mille anni di carriera e mille traversie sono ancora in grado di sfornare dischi solidissimi, e nel caso di The xx che possono riempire il Forum di Assago e farlo ribollire di affetto e di entusiasmo senza ricorrere a trucchi facili ed espedienti circensi. Sono belle sensazioni.
(nell’immagine sopra, particolare della folla al Forum di Assago per The xx; foto di Meschina)