Pioniere rave canadese, cresciuto dai genitori hippie tra i party indiani di Goa e dotato di un’anima musicalmente poliedrica che non ammette dualità. Parlare di musica con Tiga significa affrontarne i lati più profondi, e riscoprirne l’essenziale sincerità. E’ venuto in Italia per il Goa~Boa Festival, e non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione per intervistarlo.
Inizio così: mi piace l’idea di dipingere ai nostri lettori un quadro della tua personalità, e in particolare del tuo senso dell’umorismo. E’ qualcosa che apprezzo molto. La sottile ironia con cui presenti te stesso al mondo. Cito direttamente te: ti muovi in modi misteriosi.
(Ride, ndr).
Lo so, suona stupido.
Non può suonare stupido se stai citando me.
Vedi? E’ proprio ciò a cui mi riferivo.
Per tutta la mia vita il senso dell’umorismo è stato molto naturale, centrale ed importante. La musica è molto importante e l’ironia anche. E non mi piace che le due cose si mescolino. Non penso che la musica debba essere divertente, ovviamente sono due cose molto diverse. L’ironia però per me è lo strumento più importante per affrontare la vita, ed è l’unico che funziona in ogni situazione, quando hai davanti la morte, il dolore o l’amore. Il senso dell’umorismo può essere usato in ogni momento, per fare amicizia durante un viaggio, così come per interpretare il mondo stesso. Penso che in una carriera sia essenziale non prendere il mondo troppo seriamente, e ad un certo punto anche non prendere te stesso troppo seriamente.
Ricordi momenti specifici in cui il senso dell’umorismo ha aiutato il tuo percorso artistico a sollevarsi da un periodo negativo?
E’ difficile ricordare momenti specifici, perché succede tutti i giorni, è chi sono io ed è costante, rappresenta il mio modo di interagire: penso sempre al lato buffo delle cose, va molto in profondità nel modo in cui osservo il mondo. Penso che, invecchiando, diventi tutto un po’ più facile, perché inizi a vedere le cose come un grande scherzo. Quando sei giovane hai ancora l’idea che tutto possa essere perfetto. Hai questa voce nella testa che ti dice che se farai tutto nel modo giusto sarà come in un gioco, e potrai vincere. Ma quando cresci realizzi che è tutta un’illusione, che è impossibile. Le cose si incasinano e si incasinano velocemente. Poi il processo accelera e presto ti rendi conto che è tutto un po’ una presa in giro. Ma quando sei giovane e attraversi tempi difficili non è per niente facile riderci sopra. Parlando di musica e performance, il senso dell’umorismo è fondamentale, perché anche se pensi “stasera farò un grande show”, esisterà sempre il rischio di umiliazione. Ti metti lassù sul palco e c’è il rischio che tutti pubblicamente dicano “wow, che schifo”. Entri in una zona grigia in cui ci sono l’umiliazione ma anche la gratificazione e l’adorazione. Sono molto immediate e possono presentarsi velocemente, specialmente in uno show, un live o un dj set. Se vivi in quella zona è davvero importante non prendere le cose troppo seriamente, perché se le persone arrivano a pensare che qualcosa di tuo sia stupido, potrai sempre dire “è andata così, non è la fine del mondo e la vita continua. Farò un nuovo disco.”
E’ interessante che tu non abbia mai fatto live fino a poco tempo fa.
Sì, è soltanto da un anno e mezzo.
Certo, tra un dj set e un live ci sono enormi differenze, e non tutti scelgono di misurarsi in entrambi.
Sì, sono due cose molto diverse. Il live è puramente composto da musica tua, sei tu al 100%, e in questo senso è molto più personale.
Però è una cosa che hai provato a fare recentemente anche come dj, alla serata conclusiva della tua residenza al XOYO a Londra. Facendo un set in cui hai suonato solo dischi tuoi.
E’ stato molto divertente. Davvero figo. Però penso che il live sia molto più legato alla tua identità. In più un dj deve prendere tantissime decisioni in console. Valuti costantemente l’energia, osservi le persone e pensi “suono qualcosa di più duro? Di più tranquillo? Vado più lento o più veloce? Quando metto l’apice e quando invece è il momento di calare di tono?” Hai tutte queste piccole decisioni da prendere e migliaia di dischi a disposizione. Quella sensazione è molto diversa da quella di un concerto. In un live, almeno nei miei, molte delle decisioni sono state già prese in anticipo. Hai scritto tu i pezzi, i testi, la musica, e conosci la scaletta delle tracce da suonare. E’ questione di dare vita al tuo stesso lavoro. In ogni caso entrambi sono davvero meravigliosi.
Vedi il live più come un invito a scoprire te stesso, e invece fare il dj come un atto in qualche modo meno egocentrico? In cui fai un passo indietro e lavori per il bene dell’energia collettiva e per le persone sul dancefloor?
E’ divertente, perché ho sempre pensato che fosse così. Oggi invece trovo che fare il dj sia in qualche modo più egocentrico. In un live stai davvero dando molto. Questa è la mia musica, questo è ciò che ho fatto: stai condividendo senza nascondere nulla di te stesso. Dall’altro lato il mestiere del dj è più… non so come dirlo. In un modo più segreto e sottile stai mettendo te stesso al comando. Sei nella posizione per controllare il party, non so come esprimere il concetto. Ci sono tanti stili diversi e tanti dj oggi sono i veri performer, li vedi comportarsi tipo da “put your hands up in the air”, hai presente? si comportano come fossero dei cantanti, e ne hanno assunto lo stesso ruolo. Io sono un po’ più vecchio stile. Faccio il mio lavoro, me ne sto dietro la musica.
Molte persone lo apprezzano. Non pensi che quel modo di comportarsi in console sia una grande presa in giro?
No, non è una presa in giro, è show business. E’ sempre stato così. E’ intrattenimento, e non c’è nulla di sbagliato in questo. Quando avevo diciassette anni ho avuto la mia prima serata come dj. Erano gli anni dei rave party, eravamo tutti giovanissimi e prendevamo l’ecstasy. Era un nuovo movimento, e ricordo che non era strano che prendessi il microfono in console e mi mettessi ad incitare la gente, facendo alzar loro le mani e tutte quelle cose. Stavo celebrando quella cultura ed ero entusiasta di farlo. Ero profondamente appassionato e sentivo quella connessione. Se la senti e la vuoi esprimere è giusto farlo. E’ un fatto di stile. Tu sei italiano. Ci sono tanti uomini in Italia, li vedi camminare per strada e guardandoli sembra che abbiano passato ore davanti allo specchio, con i loro capelli, le loro Gucci eccetera. E’ un fatto di stile, come allo stesso tempo altri si vestono in giacca e cravatta tutti giorni, e anche quello è il loro stile, a quanto pare. Non c’è bisogno di andare più a fondo con la critica. Se David Guetta si comporta in quel modo sul palco, non ho nessun problema a riguardo.
Hai in pratica detto che il tuo stile come performer e il modo in cui interagisci con le persone attorno a te è cambiato dall’entusiasmo dei primi rave a ora che sei un dj professionista. Hai in qualche modo perso quella potente connessione?
Be’, cambia, sì. Almeno per me è stato così. Però ci sono ancora molti party in cui sento che c’è qualcosa di magico in azione. Hai presente quando senti di essere innamorato di ciò che stai facendo e tutto è perfetto? La differenza principale forse è che oggi non lo dico al microfono. Cambia molto anche il modo in cui sei aperto nei confronti dell’ambiente circostante. E’ forse il motivo per cui oggi non critico l’EDM da quel punto di vista. Se sei veramente aperto e ti senti davvero parte della festa, se sei entusiasta e completamente dentro la situazione, quello è anche il modo in cui si manifesta. Ciò che succede a volte è che, come artista, ti ritrovi ad essere un pochino distaccato, almeno così capita a me. Hai delle tracce da produrre e delle scadenze da rispettare e questo rende il tutto un po’ meno romantico, e te un po’ più separato dal mondo. Come performer è molto importante rimanere connesso con le persone. E questa per me è sicuramente una sfida. Dall’altro lato penso ai Kraftwerk e al loro The Robots show, che è semplicemente stupendo. Sarebbe migliore se prendessero delle persone dal pubblico e le invitassero a ballare sul palco? Ogni artista trova il proprio modo per mantenere quella connessione forte.
La tua storia è parecchio affascinante. Tuo padre era un dj nella Goa degli anni ‘80 e tu sei stato parte di quel mondo di musica e feste fin dall’inizio, quando eri solo un bambino. Come hai visto il ruolo del dj evolversi dalla generazione di tuo padre alla tua?
Il talento di un dj si misura alla stessa maniera, oggi come allora: trovi la musica migliore, suoni la musica migliore e lo fai in un modo che crei un buon party. Il grande cambiamento è stato dal punto di vista della carriera. La carriera, la professione e il denaro. Questo è stato uno sconvolgimento enorme. Quando ho iniziato come dj, per esempio, non c’era nell’aria la minima idea di poter vivere di quello. Potevi pensare, al massimo, di fare qualche soldo e comprarti un bel po’ di dischi. Ma anche solo l’idea di diventare ricco, e che fare il dj potesse essere una fonte di reddito, era impensabile. Nessuno sarebbe andato dai genitori dicendo “mamma, papà, voglio fare il dj come lavoro”. E’ una differenza enorme che influenza in modo pazzesco ciò che le persone hanno in mente quando iniziano. Ora è una carriera a tutti gli effetti, hai agenti, manager e un vero business intorno.
In cosa consisteva Electricity? Le uniche informazioni che sono riuscito a reperire sono che doveva essere un rave online, e che non ha funzionato come speravi.
Ehm…
Ti va di parlarne?
Non molto a dire il vero. Era solo un esperimento che abbiamo fatto a Montreal, tra alcuni amici dell’università e i primi internet adopters…
Sembra interessante. Oggi internet ha ottenuto un ruolo enorme nelle nostre vite. E grazie a nuove tecnologie come la realtà virtuale, i party online non suonano neanche così strani.
Vedremo. Vedremo cosa succederà.
Non vuoi davvero parlarne allora! Non insisto oltre.
(Ride, ndr).
Mi sembra di aver capito che tu abbia una passione per la classificazione, giusto?
Sì, mi piace classificare le cose.
Immagino tu lo faccia anche con i dischi.
Certo, nella mia libreria ricevono delle stelle, da 1 a 5, e nella mia mente c’è assolutamente una categoria per i dischi migliori di sempre.
Da 1 a 10, ci daresti un 10?
Qualche giorno fa ero in Germania, per suonare ad un festival. Eravamo in autostrada, con questa macchina con un soundsystem molto molto buono. Ascoltavamo “Violator” dei Depeche Mode, tutto l’album. Quello era un 10. Quell’album era e rimane un 10. Dopo abbiamo iniziato ad ascoltare altri album dei Depeche Mode, e ascoltandoli sapevo senza dubbio che erano da 10. La cosa molto interessante poi, è che se fai il dj hai davvero l’occasione per testare la musica e comprenderne a pieno il valore. E’ come raccontare una barzelletta a cena. Se mentre la racconti nessuno ride, capisci che non è divertente.
Hai detto che fare il dj è come fare lo stand-up comedian. Una questione di timing e di ingegno.
Due professionisti su un palco, con davanti migliaia di persone da intrattenere. Vai al lavoro con il tuo materiale migliore. Una parte sai che funziona, un’altra speri che funzioni, qualcosa è nuovo e non l’hai mai provato. Metti tutto insieme e sai che alla fine il pubblico avrà ragione. Se nessuno ride, o nessuno balla, significa che ciò che fai non funziona.
Hai anche detto che gli album non hanno più importanza nel 2016. Eri serio?
Non mento mai. Tutto ciò che dico è serio almeno al 60%.
Non male.
Diciamo anche al 70%.
70 è buono.
(Ride, ndr). Penso che in termini pratici, nella vita reale, non siano usati più così tanto. Io stesso sono un amante della musica e un collezionista, e nonostante ciò finisco spesso a vagare su Spotify o ad ascoltare una playlist. L’album per me oggi è un’idea romantica, non un’idea pratica. E’ qualcosa di stupendo, sedersi e far partire un’opera di 45 o 60 minuti. Era meraviglioso e lo è ancora. Però dal punto di vista di un musicista, almeno per quanto riguarda me ora, è più difficile, perché le persone…
…non si prendono più il tempo necessario per ascoltare un album intero?
Non so. Forse sono io a non essere in quell’ordine di idee.
Voglio andare al cuore delle tue influenze musicali. La tua anima techno è evidente, così come è noto il tuo ruolo da pioniere rave a Montreal. Dall’altro lato, però, ci sono chiari elementi pop nelle tue produzioni, insieme a quello che definirei un atteggiamento velatamente punk. Hai detto che quando eri giovane eri “preso dal rap, dal tennis e da Sid Vicious”. Sono tante influenze e culture diverse che convivono dentro di te.
E’ importante capire che le persone sono complicate. Abbiamo la brutta abitudine di provare a semplificarle attraverso dualità tra bene e male, dicendo che “io sono così”, e “tu sei così”, ma la verità è che siamo molto più complessi e che in diversi momenti delle nostre vite siamo persone diverse. Non c’è nulla di male in ciò. Non mi è mai piaciuto il punk, lo trovavo sporco. Andavo matto per i Duran Duran. Volevo essere ricco e guidare auto da sogno. Ma allo stesso tempo, sentendo alcuni dischi punk mi accorgevo di amarli. E’ interessante, perché poi, crescendo, ho realizzato che il mio atteggiamento era in effetti un po’ punk. E lì ho imparato a comprendere quanto quel movimento fosse importante. Questa collisione tra generi, questo bizzarro mix di influenze, è una cosa buona, dovresti riconoscerlo come tuo ed esserne fiero. Parlando della mia musica, sono cresciuto con un sacco di pop degli anni ‘80, che ha avuto una grande impressione su di me, ma negli anni ‘90, quando ho scoperto la techno, mi si è aperto un mondo nuovo e per una decina d’anni non ho ascoltato altro. Quando poi è arrivato il momento di iniziare a fare musica, il mix tra i due sound è stato abbastanza logico. Tendo a prendere alcuni elementi da entrambi i mondi. Mi piacciono l’energia, la durezza e la ripetitività della techno, così come la personalità e la teatralità del pop. Nella mia musica non voglio avere troppo di nessuno dei due. Se mi metto a fare solo techno finisco con l’annoiarmi, e se mi esce un pezzo puramente pop lo trovo troppo intimo, e in modo diverso, noioso.
Pensi che questo sia un buon momento per la techno?
Sì, penso sia abbastanza buono. La cultura è là fuori da un bel po’ di tempo ora, e non è facile avere un’evoluzione continua. Il bello parlando di techno ora è che è davvero mainstream. Vedi persone normali andare a sentire minimal techno e ballare per ore con musica che è decisamente elettronica ridotta all’osso. E questo è abbastanza figo. anche se, per come la vedo io, oggi manca un po’ della parte cruda. Sai, la techno grezza. Il mio dj preferito è sempre stato Jeff Mills e in lui c’era una sorta di follia, un aspetto di costante imprevedibilità. Invece ora la scena è un po’…
…magari è il mondo ad essere cambiato. Quella musica e quella follia arrivavano da un contesto specifico, che era Detroit durante gli anni ‘80.
Ti dico qual è la differenza numero uno. Non mi importa se qualcosa è mainstream e fatto per il denaro. C’è invece una cosa che importa decisamente. C’era un tempo in cui questa musica era per outsider. Era musica per persone strane ed emarginate. E questo aspetto porta un’energia completamente diversa rispetto a quando un genere musicale diventa la colonna sonora per tutti quanti. Oggi è semplicemente ciò che ascolti ad una festa. Questo, per la propria stessa natura, rende il tutto un po’ più ordinario. Sì, penso che l’intera scena sia oggi più normale. Non è la fine del mondo, e non significa che non ci sia musica incredibile in giro. E’ piuttosto una sfida ad uscire dall’ordinario.
Hai visto questo processo evolutivo anche da un altro punto di vista, come proprietario di un importante club di Montreal, il Sona.
Sì.
…e oggi la techno non è solo normale e meno strana, ma ci sono centinaia di festival che continuano a nascere e crescere, con migliaia e migliaia di partecipanti. E’ un’esperienza molto diversa da scoprire nuova musica in una stanza buia. Inoltre, dati alla mano, molti club stanno chiudendo. Pensi che al giorno d’oggi siano ancora luoghi importanti per sentire e “vivere” la musica?
C’è un sacco di musica che funziona molto bene in un club. Musica che ha bisogno dell’ambiente del club per suonare bene. Ci sono ancora tantissimi club in giro ed è davvero importante averne di buoni, come è importante avere piccoli party. Amo i piccoli party! Quei posti dove l’attenzione è sul soundsystem, che significa che puoi suonarci tanti tipi diversi di musica. C’è un mondo di musica. C’è un mondo di musica in un club da 400 persone con un soundsystem incredibile, e suona magicamente. Se suoni lo stesso disco su un palco all’aperto davanti a 5000 persone non è la stessa cosa, suona come se non fosse nulla. Quindi questo è super importante. Soprattutto oggi che tutto è iper-commercializzato, tutto succede alla velocità della luce eccetera… conosciamo entrambi la situazione. Da un certo punto di vista è noioso, e va a colpire qualsiasi cosa…
Non ho mai vissuto gli albori della techno, ero troppo giovane. A volte mi rattrista pensarci.
Mi dispiace per te! Mi dispiace davvero. Ho tanti ragazzi giovani che lavorano per me e per la mia etichetta. Hanno poco più di vent’anni e parliamo molto. Quello che dico loro è che l’unica cosa che vi siete davvero persi di quei tempi è che allora tutto accadeva una volta sola. Hai presente quella sensazione? E’ successo qualcosa e nessuno ha una foto, nessuno ha un video: è andata. Quello che avete perso è la sensazione di assenza di testimonianze. Penso sia una cosa abbastanza speciale ed è davvero difficile ora per le persone provare quella sensazione.
E’ una questione enorme.
La è, davvero, perché se pensi ad una festa, non significa solo non avere testimonianze, significa anche che nessuno mostrava agli altri cosa si erano persi. Quindi è come dire che non pensi troppo a ciò che ti sei perso, perché non lo sai nemmeno. E invece le persone che sono lì si sentono speciali perché sanno. Quindi si sviluppa un attaccamento alle situazioni e ai luoghi, che è molto positivo. E non sei nemmeno consapevole di ciò che gli altri hanno, che è positivo allo stesso modo.
Hai pubblicato il tuo terzo album quest’anno, No Fantasy Required. Quali sono i tuoi prossimi piani?
A settembre inizierò a lavorare ad un po’ di materiale nuovo come Tiga vs Audion. Questo è il mio prossimo progetto musicale. Ho anche un paio di remix in cantiere, che usciranno a breve. Ho fatto un remix per Clarian e remixerò la mia traccia “Blondes Have More Fun”, estratta dal nuovo album.
ENGLISH VERSION
Canadian rave pioneer, raised by hippie parents among Goa parties during 80’s, and with a complex musical soul which doesn’t recognize dualities. To talk with Tiga about club culture means to get into its deepest sides, to discover its essential truth. He came to Italy to play at Goa~Boa Festival, and we didn’t miss the chance to interview him.
First of all I want you to know I’m pretty excited to have the opportunity to let people have a glance of your personality. Especially a glance of your sense of humour, which is something I appreciate. The subtle irony you intelligently use to present yourself. I’m quoting you here: you move in mysterious ways.
(He laughs, editor’s note)
I know I sound stupid.
You can’t sound stupid if you’re quoting me.
You see? That’s exactly what I meant.
For my entire life, sense of humour has always been very natural and very important. Music is very important and humour is very important. And I actually don’t like them to mix. I don’t think music should be fun, of course those are two very different things. But humour for me is the most important tool to dealing with life, and it’s the only tool that works in every situation, when you face death, or when you face pain or love. Humour can be used in every situation, when you travel to make friends, as well to interpret the world, and I think in a career it’s very important not to take the world too seriously, and at one point not to take yourself too seriously.
Can you recall specific situations in which sense of humour helped your career to recover from tough times?
It’s hard to remember specific moments, because it happens everyday, it’s who you are and it’s constant, it’s how I interact: I think of the funny side of things, it goes really really deep into how I observe the world. I think as you get older it becomes a little easier because you see things as a big joke. When you are very young you still have some idea that things could be perfect. You have some idea that if you do everything right somehow it can be like a game, you know. You can win. But as you get older you realize it’s an illusion, and it’s impossible, shit starts to happen and it happens fast. Then it accelerates and so pretty quickly you realize it’s all a bit of a joke. But when you’re younger, when you’re starting out and you’re having difficulties it’s not so easy to laugh at all. Talking about making music and performing, sense of humour is very important, because even though you think “I’m gonna make a good show”, there’s always the risk of humiliation. Think about it. You’re putting yourself out there, and there’s the risk that everybody publicly says: “wow, that’s shit”. I think you enter a zone where there’s the risk of humiliation but also the risk of reward and adoration. They’re both very immediate and they can happen quickly, especially with shows, performances, DJing. If you live in that zone it’s really really helpful not to take things too seriously, because if people think something is stupid, you can just think: “whatever, it’s not the end of the world, life goes on. I’ll make another track.”
It’s interesting, you’d never tried live shows until recently.
Yes, I’ve started only a year and a half ago.
Of course there are huge differences between DJing and playing live, and the two don’t necessarily go together.
Yes, they’re very different. The live is all your own music, and it’s all you, and in that sense it’s a lot more personal.
Which is something you tried also as a DJ, at your last residency at XOYO in London. To play a set with only your own music.
Yeah, that was really fun! It was really cool. But, I think the live performance is much more who you are. Furthermore when you’re DJing it’s a lot of decisions you’re making. You’re constantly evaluating the energy, you’re seeing the people, you’re thinking “should I play harder, softer, slower, faster? When the peak, when the down?”. There’s a lot of these little decisions, and you have thousands of records. That feeling is very different from performing. In live, at least in my show, a lot of the decisions have already been made. You wrote the words, you made the songs, you know the sequence, it’s a matter of giving life to your own work. But both of them are really amazing.
Do you see live as an invitation for the audience to discover yourself, and DJing as something less ego-centric, in which you step back a little bit and you work for the sake of the collective energy, and for the people on the dancefloor?
The funny thing is that’s how I always thought it would be, but I now actually think in a strange way DJing is more egocentric. Because the show is like you’re really giving. This is my music, this is what I’ve done, you’re really sharing and there’s no hiding. Well, DJing is more… I don’t know how to say it. In a more secret and more subtle way you’re putting yourself in charge. You’re really controlling the party, I don’t know how to express it. There’s a lot of different styles of DJing, and a lot of DJs are now the real performers, doing stuff like “put your hands up in the air”, you know? They really perform like singers, and they have the same role. I’m a little bit more old-fashioned, I’m a little bit more… you know, I do the job, and stay behind the music.
Some people appreciate this. Don’t you think that way of overacting on stage is a big joke?
No, it’s not a joke, it’s show business. It’s always been like that. It’s entertainment and I don’t think there’s anything wrong with that. When I was 17 I got my first DJ gig, it was the time of rave parties and we were all so young and doing ecstasy. It was a new movement, and I remember I’d be DJing and I’d grab the microphone and I’d say “put your hands in the air” and all that stuff. I was celebrating. I was so enthusiastic and passionate and I felt that connection. And if you feel it and you want to express it it’s fine. It’s a matter of style. You’re Italian. There’s a lot of Italian men, you see them walking down the street and they look like they spend hours in front of the mirror with their hair and their Guccis and so on. That’s just a matter of style, as well you have other people wearing their blue suit every day. It’s just their style, you know, there’s no need to go in deeper with criticism. If David Guetta behaves the way he does on the stage that’s fine for me.
Did you subtly say your style as a performer and your interaction with people around you changed from the enthusiasm of the first rave parties to now that you are a professional DJ? Did you somehow lose this powerful connection?
Well, it did change, at least for me. But there are still many parties where you feel there’s magic in action, you know, when you feel you’re in love with what you’re doing and it’s perfect. The main difference is that today I don’t say it on the microphone. What also changes is how open you are to the environment. That’s why now i don’t criticize EDM from that point of view. If you’re really open, and you really feel part of the party, and you’re excited and you’re into it, then sometimes it’s how it manifests. What does happen sometimes is that you’re a little bit more closed off, at least this happens sometimes to me. You have tracks to produce, you have a schedule, and so on. Sometimes you’re a little bit separate, everything is a little bit less romantic. And as a performer it’s important to stay connected with people. For me that’s a challenge, for sure. On the other hand, think about Kraftwerk, and their Robots show. It’s amazing. That would not be better if one of the guys brought somebody on stage to dance with them, right? Everyone finds their own way to keep that connection strong.
Your background is pretty fascinating. Your father was a DJ in Goa during 80’s and you have been able to see this world from the beginning, when you were just a kid. How did you see DJing and party evolving from the generation of your father to yours?
DJing as a skill has always been the same: you find the best music, you play the best music and you do it in a way that makes the party good. The big change has been the career side of it. The career, the professionalism and the money. That’s a massive difference. When I started DJing, for example there was no idea that you could make a living out of it. Yes, you thought maybe you could get some money and buy a lot of records. But there was no idea about being rich, about the fact that it could be a financial income. You could not go to your parents and say “hey, I’m gonna be a DJ, this is gonna be my job”. It’s a very very big difference in terms of what it does to what people think when they start. Now it’s like a real career, you have agents and managers and there’s a business around it.
What was Electricity about? What I could find is that it was supposed to be an online rave, and that it didn’t work out.
Mmm… well…
Do you want to talk about it?
Not really. It was just a little experiment we did in Montreal, with friends from university and early internet adopters…
It sounds good. Today internet has gained a huge role, together with new technologies, like virtual reality… online parties will probably be the thing of the near future.
We’ll see. We’ll see what happens.
You really don’t want to talk about it. I’m not going to insist.
(He laughs, editor’s note).
I understand you have something like a passion for ranking things, right?
Yes, I do like to rank things.
I guess you rank the records you spin.
Yes, in my library they get stars and in my mind there’s definitely a category for the very best tracks and the very best records.
From 1 to 10, could you give us a 10?
The other day I was in Germany and we were playing a festival. We were in a car with a very very very good sound-system on the autobahn, and we were listening to “Violator”, by Depeche Mode, the whole album. That was a 10. That album is just a 10. And after we started listening to other Depeche Mode’s albums, and right away you could tell they were 10s. Then one of the very interesting things about DJing is that you can test music. It’s a little bit like to tell a joke at dinner. If you tell a joke and nobody laughs, you understand it’s not a funny joke.
You said that DJing is like stand-up comedy, a matter of wit and timing.
Both professionists on a stage with thousands of people, and you have to entertain them. You come to work with your best material, some of it you know works, some of it you hope works, some of it is new. You put it all together, and in the end you know the crowd is always right. If nobody is laughing or nobody is dancing, it means that what you do doesn’t work.
You said albums are not relevant anymore in 2016. Were you serious?
I never lie. Everything I say is at least 60% true.
That’s good.
Maybe even 70% true.
70 is great.
(He laughs, editor’s note) I just think that in functional terms and in real life, it’s not just being used that much anymore. Even for somebody like me, and I’m a music lover and music collector, I end up on Spotify or on a playlist. Album for me today is a romantic idea, it’s not a practical idea. It is a beautiful idea, you know, sitting down and putting on a 45 minutes or 60 minutes piece of music is amazing and it’s still great, but from a musician’s point of view, or at least for me now, it’s just more difficult, because people…
…Don’t take their time to listen to full albums?
I don’t know, maybe I’m just not that into it right now.
Your techno soul is rather evident. On the other hand there are clearly some pop elements in your productions, and some sort of punk attitude. You said that when you were younger you were pretty into rap, tennis and Sid Vicious. So many souls and musical influences standing next to each other.
What’s important to understand is that people are complicated. We have a bad habit of trying to simplify through dualities between good and bad, saying “I’m this way, you’re that way”, but the truth is that we’re way more complicated than this and at different times in life you’re different and that’s fine. I never liked punk, because I thought it was dirty. I liked Duran Duran and I wanted to be rich, I didn’t have those things, and I wanted to have fancy cars. But at the same time I heard some punk songs and I loved them. The interesting thing is that you grow up, and now I realize my attitude is a little bit punk. And then you learn how important the movement was. That weird mixture of all these things you like is a good thing, you should own it and you should be proud of it. Speaking of techno and pop in my music, I grew up with a lot of 80’s pop that made a very big impression on me, but then in the 90’s when I found techno it totally took off from my life, for about ten years that’s all I listened to. So when it came the time to start making music, it was quite a logical mixture. I take some elements from both. I like the energy, the hardness and the repetitiveness of techno and the personality and the little bit of drama from the pop side. In my music I don’t want to have too much of either, if it goes all techno I get a little bit bored and if it goes all pop I find it too close and boring too.
Do you think it’s a good moment for techno?
Yes, I think it’s pretty good. The culture has been there for a really long time now, and it’s not that easy to keep on evolving. What’s cool about techno now is that it’s really mainstream. You have regular people who go dancing techno and they dance for hours listening to minimal techno, and to music which is pretty much stripped-down electronic music. So that’s kind of cool. But for me it’s missing a little bit of the raw edge. You know, the rawness of techno. My favorite DJ has always been Jeff Mills and there was a craziness to it, there was an unpredictable side to it. And now it’s a little bit…
…Maybe the world has changed. That music and that craziness came from a well defined context, which was Detroit during 80’s.
Look, I tell you what’s the number one difference. I don’t care when something is mainstream and it’s made for the money, but there’s one thing that matters. There was a time in which this was for outsiders. It was music for strange people and outsider people. And that brings a very different energy than when it’s just the soundtrack for everybody. It’s just what you do at a party now. That, by its very nature, makes everything a little bit more ordinary. Yes, I think the whole thing now is a little bit more ordinary. That’s not the end of the world, and it doesn’t mean there’s not incredible music. It’s rather a challenge to step out of the ordinary.
You’ve seen this process also from another point of view, as a club owner, with Sona.
Yes.
And today techno is not only ordinary and less weird, but there are so many festivals rising, with thousands of people attending them. That’s really different from experiencing new music in a small room. Furthermore it looks like many clubs in Europe are closing. Do you think they are still perceived as relevant places today?
There’s a lot of music that really works well in a club. Music that needs the club environment to sound right. There still a lot of good clubs around and it’s really important to have good clubs and small parties. I love small parties! Those places where the emphasis is on the sound-system, which means you can play different kinds of music. There’s a lot of music. There’s a lot of music in a 400 persons club with an incredible system. And it sounds magical. If you play the same music for 5000 people outdoor it sounds like nothing. So that’s super important. Now that everything is super commercial, everything happens so fast and so on… we both know the situation. It’s kind of boring and it affects everything…
I’ve never seen the good old days of techno, when that was not the case. I was too young. Sometimes I feel sad about it.
I’m sorry for you! I’m really sorry for you. I have a lot of young people working for me and for my label. They’re in their early 20’s and we talk a lot. The only thing I tell them you really missed from this time is that these things happened once. You know, the feeling that something happened and nobody has a picture, nobody has a video: it’s just gone. You lost the feeling of no witnesses. I think that is quite a special thing and it’s really really hard now for people to get that feeling.
This is a huge issue.
It is a huge issue, because when you think about parties, it’s not just that there’s no witnesses, it’s also that nobody was showing people what they were missing. So it’s kind of like you don’t worry so much about what you’re missing because you don’t even know. And the people who are there feel very special because they know. So you get very attached to things, which is positive, also you’re not kind of aware of what everyone else has got, which is also positive.
You released your third album this year, No fantasy required. What are your plans for the near future?
In September I’m gonna work on some new Tiga vs Audion material and that’s my next musical plan. I have a couple of new remixes coming out soon. I did a remix for Clarian and I’m gonna remix my own track “Blondes Have More Fun”.[/tab]
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