Meno di un anno fa vi raccontavamo del primo esperimento di Pioneer Pro DJ nel mondo della produzione, con il Toraiz SP-16: oggi abbiamo sottomano la dimostrazione che la serie Toraiz non è un episodio limitato, ma la casa giapponese fa sul serio.
Per qualunque produttore o appassionato di macchine fisiche, assieme ai campionatori come l’SP-16, avere a disposizione una pletora di synth, mono o polifonici, è assolutamente indispensabile: diversificare l’arsenale a propria disposizione significa poter ampliare la propria gamma sonora e quindi potersi avvicinare sempre di più all’idea di un suono che sia solo il proprio.
Ma quali sono le caratteristiche che rendono unico il nuovo nato di casa Pioneer DJ?
Innanzitutto, proprio come era successo per l’SP-16, si tratta di una macchina prodotta “a quattro mani” da Pioneer DJ e Dave Smith Instruments, che significa che non solo ci sono gli stessi, eccellenti, filtri che ci sono sull’SP-16, ma che di fatto tutto l’hardware è, fondamentalmente, una versione monofonica del Prophet 6, col quale condivide molte caratteristiche, come ad esempio la sezione dedicata agli effetti.
Una delle features più interessanti è senza dubbio la possibilità di scegliere la scala dei tasti: assegnando una delle scale preimpostate, tra cui compaiono ad esempio quella pentatonica maggiore e minore, quella ionica e quella dorica, sarà molto più semplice improvvisare mantenendo il giusto rapporto armonico tra le note suonate, ed è proprio l’improvvisazione e la dimensione live, esattamente come era successo per l’SP-1, uno dei punti su cui Pioneer DJ punta maggiormente con questo prodotto, al punto che durante lo scorso Sonar ha organizzato una dimostrazione con quello che da diversi anni è ormai riconosciuto come uno dei migliori live performer al mondo, se non proprio il migliore: Kink.
Vedere l’artista bulgaro improvvisare su due AS-1 e un SP-16 rende perfettamente l’idea della semplicità di utilizzo di questi strumenti, che non hanno curve di apprendimento troppo ripide e, nelle intenzioni di Pioneer DJ, sono adatti tanto all’uso in studio che a quello live.
Per questo motivo, inoltre, l’AS-1 è collegabile via MIDI a un sampler come l’SP-16, per permettere la creazione e il sequencing di pattern complessi: ci saremmo aspettati, forse, un supporto più esteso per la tecnologia Pioneer Pro DJ Link, ma è vero anche che per un synth analogico come questo ha anche poco senso immaginare il beat sync con un CDJ, dato che l’idea di “ingabbiare” l’improvvisazione nella griglia di un sync contraddice un po’ quella di suono “raw” che ci si aspetta da una macchina analogica come questa.
Volendo cercare a tutti i costi il pelo nell’uovo, poi, dobbiamo ammettere che lo schermo da N pollici è effettivamente piuttosto piccolo e rende leggermente troppo complicata la navigazione tra preset ed effetti: c’è da dire però che una volta memorizzati i controlli preferiti, operazione che richiede un tempo molto breve, ci si muove con semplicità e naturalezza estreme tra i controlli, il che è assolutamente positivo nell’ottica di una performance live: in ogni caso, comunque, con quattrocentonovantacinque (!) preset e altrettanti slot per salvare le proprie configurazioni, richiamabili in maniera estremamente semplice, l’utilizzo live e l’improvvisazione non risentono in alcun modo delle dimensioni dello schermo.
In definitiva, insomma, ci sentiamo di affermare che l’SP-16 non è stato assolutamente un fuoco di paglia, ma che Pioneer DJ è ufficialmente entrata nel mondo delle macchine per la produzione e per la performance live, e l’ha fatto in grande stile, con due prodotti davvero di livello: l’unico difetto, se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo, sta nel prezzo non proprio alla portata di tutte le tasche, ma si sa che i prodotti di punta di Pioneer DJ non sono mai stati a buon mercato, e tutto sommato è anche giusto così quando si tratta di prodotti eccellenti come questi.