Se vi chiedessimo di nominare un’azienda, una sola, i cui prodotti si trovano nelle console dei club di tutto il mondo, probabilmente nessuno di voi avrebbe dei dubbi nell’indicare Pioneer: fin dall’uscita dei CD 100s, ormai quasi vent’anni fa, il marchio del colosso giapponese è stato presente su almeno uno strumento in ogni dj booth degno di questo nome, fino ad arrivare a essere addirittura l’unico in molti casi, grazie a prodotti integrati e di assoluto livello come l’attuale serie di CDJ e mixer DJM.
In un momento storico in cui il digital DJing offre ai dj possibilità sempre più vaste per dare sfogo alla propria creatività e in cui il confine tra un DJ set e un live set si assottiglia sempre di più, è quindi una scelta più che giustificata, per un’azienda come Pioneer, cercare di rivolgere lo sguardo verso la dimensione live ed, eventualmente, anche verso lo studio.
Ovviamente il punto di partenza per questa nuova strada non poteva che essere un campionatore, che è forse il tipo di macchina che più si presta all’utilizzo in un contesto live e all’integrazione in un dj set, ambito in cui Pioneer, come si diceva, domina il mercato già da tempo: il nuovo gioiello made in Japan, il Toraiz SP-16, appartiene proprio a questa categoria di prodotti.
Mettiamo subito in guardia gli entusiasti, come chi scrive, che appena vista la foto e immaginate le sconfinate possibilità di utilizzo e integrazione, si sono fiondati presso il proprio rivenditore di fiducia urlando “Shut up and take my money!” il prezzo di questo giocattolino, infatti, è in linea con quello che ci si può aspettare da una macchina al top della gamma Pioneer, quindi se avete intenzione di chiederlo a Babbo Natale assicuratevi di essere stati davvero molto buoni perché gli toccherà sborsare non meno di millecinquecento euro: è una spesa giustificata?
Basta un’occhiata anche solo rapida ai pulsanti e knob a disposizione per capire che sì, non si tratta di un dispositivo entry-level ma di una cosa seria: non è tanto il touch screen da sette pollici come quello dei CDJ 2000 a dare l’idea, quanto il marchio Dave Smith presente sullo chassis.
Di cosa si tratta? Dave Smith è un musicista e soprattutto produttore di hardware storico, famoso soprattutto per i synth Prophet-6 i cui filtri analogici sono esattamente gli stessi montati sul Toraiz SP-16: a dispetto delle critiche lette spesso in rete secondo cui i mixer e i lettori Pioneer suonerebbero “troppo digitali”, quindi, il Toraiz SP-16 monta due filtri, uno dei quali con controlli anche per la risonanza per l’overdrive e la distorsione, dal suono davvero caratteristico e caldo come solo l’analogico sa essere.
La sola presenza di filtri di questo calibro, però, probabilmente non basterebbe a giustificare un prezzo così elevato: il resto delle features a disposizione è allo stesso livello? A nostro avviso sì, non fosse altro che per la possibilità di connettere il Toraiz SP-16 a dei CDJ o XDJ via ethernet per tenerli in sync, ma non solo: è possibile sincronizzare i sample anche via USB o MIDI o anche usando tutti e tre gli ingressi contemporaneamente, rendendolo quindi il centro di controllo di setup anche molto articolati comprendenti non solo altre unità Pioneer ma anche computer e altro hardware MIDI.
Ottimi filtri e possibilità di integrazione con praticamente tutto, quindi, ma com’è usare il Toraiz SP-16 come campionatore?
Molto piacevole: lo step sequencer funziona esattamente come ci aspetteremmo e consente di programmare fino a duecentocinquantasei pattern, suddivisibili in scene per costruire sequenze anche molto articolate, ma sono i sedici pad a regalare il massimo della soddisfazione: non solo è possibile usarli “live” per far partire i sample alla pressione di ciascun pad, ma li si può usare anche per editare ciascun sample: con la funzione “slice” i pad permettono di tagliare e cucire un sample caricato, mentre con la funzione “scale” ogni pad cambia la tonalità di un sample di un semitono, permettendo quindi di suonare, ad esempio, un sample di basso con un’estensione di un’ottava creando linee a proprio piacimento.
Le possibilità di intervenire sui singoli sample dal vivo, poi, non si limitano solo al tagliaecuci e alla tonalità: usando il touch screen è infatti possibile gestirne in maniera molto semplice attack, sustain e release e aggiungere effetti come chorus, flanger e delay.
Possibilità di sfogare la propria creatività estremamente vaste, quindi, e in continuo aumento a ogni aggiornamento di firmware che finora Pioneer sta rilasciando a ritmo piuttosto sostenuto, ma anche un’ergonomia e una facilità d’uso molto elevate, che ci fanno capire che Pioneer fa sul serio: non si è limitata a copiare un qualunque sampler di successo giusto per allargare il proprio mercato, ma la sensazione che abbiamo è che l’intenzione di entrare nel mercato degli strumenti per i live set e per la produzione in studio sia serissima.
Certo, avremmo preferito un prezzo più alla portata delle nostre tasche, ma non è detto che Pioneer continui su questa strada proponendo anche strumenti più entry level in futuro: noi di certo lo speriamo.