Non è facile incarnare nel nostro Paese i modelli e le storie di una cultura come l’Hip hop. Tormento c’è riuscito. Fonda insieme a Big Fish i Sottotono, il cui primo album Sotto effetto stono ottiene il doppio disco di platino e contribuisce a portare in Italia le influenze soul e R&B di matrice internazionale. Da quel momento la storia dell’Hip hop in questo Paese non sarà più la stessa. Singoli, album e l’esperienza unica dalla crew Area Cronica, hanno consacrato la sua lunga carriera. Torme è un riferimento per gli artisti di maggior successo ed ha contribuito alla crescita di numerosi talenti, tra i quali Tiziano Ferro. La sua biografia “Rapciclopedia” e “Sotto Effetto Podcast” tracciano un percorso ricco di spunti artistici e umani che contribuiscono a rafforzare la sua immagine di rapper mai banale, conferendogli un’aura leggendaria. Dopo essere stato protagonista nel 2021 dell’atteso ritorno dei Sottotono, Tormento è uscito con un nuovo progetto da solista lo scorso venerdì. Così Torme racconta la genesi di “Petali e Spine”: “Per raccontare l’Amore è stato fondamentale essere riuscito a trovare un equilibrio tra la parte maschile e la parte femminile della musica”. La chiacchierata che ci siamo concessi ci rende consapevoli di quanto sia bello e salvifico questo genere che ha fatto innamorare milioni di persone e il piacere di aver ascoltato in anteprima l’EP ci ha confermato l’autenticità di un artista sospeso tra il Vero e la Poesia.
Biff Tannen in “Ritorno al futuro” sbircia nel futuro per scommetterci sopra, sapendo già i risultati. Negli anni ’90 con i viaggi insieme a Fish alla scoperta di sonorità della West Coast avete anticipato il mercato in Italia. Cosa si prova ad aver avuto ragione fin dall’inizio?
È una magra consolazione oggi perché sarebbe stato molto più bello che ci avessero creduto negli anni ’90. Anche perché la versione che proponevamo noi di rap era sicuramente, non voglio dire educativa, però più dedicata al sociale. Quindi, se ci avessero creduto, invece di distruggere il movimento Hip hop sicuramente la trap di oggi sarebbe differente. Basta guardare alla Francia o all’Inghilterra, dove questa cultura non è mai stata scalfita dai poteri forti. È stata poi una crescita costante rispetto a quello che può essere l’R&B degli anni ’60, passando per l’Hip hop degli anni ’90, fino ad arrivare alla trap di oggi: dove, quando sento melodie inglesi o francesi, so a cosa si riferiscono e quali sono le loro radici. Quando, al contrario, ascolto le melodie dei ragazzi italiani, vedo che le hanno tirate fuori da una non-cultura (purtroppo). Però devo dire che in ogni professione, se uno davvero ci crede, si impegna e approfondisce, riesce a vedere un futuro luminoso. Ecco, noi abbiamo fatto questo! Tali erano l’amore e la passione per questo genere che ha anticipato di una decina di anni il successo che questo genere avrebbe avuto.
David Foster Wallace in “Il rap spiegato ai bianchi” scrive: “Su Straight Outta Compton degli N.W.A le parole io, io sono, me e mio vengono ripetute centinaia di volte, ma il disco viene venduto in una copertina di cartone fitta di ringraziamenti. Ringraziamenti che riconoscono quanto tutti quegli io, io sono, me e mio debbano qualcosa a qualcuno. A chi deve un ringraziamento il Torme di oggi e chi, invece, lo deve a te?
Bellissima considerazione. Partirei dalla seconda che mi viene più naturale. Sono grato per l’amore che Guè mi ha sempre dimostrato e con lui mantengo un rapporto costante. Ha sempre riconosciuto nelle interviste quanto sia stato importante il mondo Sottotono e come noi abbiamo visto il rap in quegli anni, dove eravamo delle mosche bianche rispetto alla scena. Questo sia per il fascino della West Coast ma soprattutto per quel modo di fare un po’ da sbruffoni, rompendo dei tabù che c’erano in quel periodo. Periodo in cui la scena era nata per dare libertà di parola, ma che poi, allo stesso tempo, poneva delle barriere e stabiliva delle cose che era vietato dire e vietato condividere. Bellissimo quando Guè o Marra ci riconoscono di essere di essere stati i loro padrini. Sicuramente invece io devo un ringraziamento speciale ad Esa. Quando ero piccolino lui era già a Superclassifica Show, a Un disco per l’estate. Gli Otierre sono stati i primi, mi pare, a firmare per una major in Italia. Quindi ho visto lui fare passi da gigante, soprattutto quando avevo 10/11 anni, diventando un riferimento nell’underground in Italia. Ho visto il documentario Booliron, uscito in questo periodo e visibile, per ora, solo nei festival, dedicato alla scena di Rimini. Lì ho visto scene di Esa in alcune jam, dove era veramente il leader della situazione e rivederlo mi ha reso ancora più felice.
Quando hanno sparato a Tupac eri lì, nell’East-Side. Innamorandoti di quelle sonorità hai colto il suo lato ruvido ed il suo lato fragile. In Italia sei riuscito a portare, oltre al suo immaginario, anche la tua “Dear mama”: “Amor de mi vida”. Come sei riuscito tu Torme ad armonizzare al meglio il tuo lato femminile con quello del cattivo ragazzo del rap?
Grande domanda! È un lavoro che prosegue tutti i giorni! Esiste questo lato femminile della creatività, che poi deve fare i conti anche con un machismo del rap e della società di oggi. Da sempre ho voluto spostare l’attenzione della scena Hip hop sui sentimenti, sull’amore e sulle love songs. Questo lato, all’epoca, è stato sempre denigrato. La voglia, invece, era proprio quella a cui ti riferivi tu: portare il rap in ambiti al di fuori da una scena Hip hop molto chiusa, in ambiti dove in Italia non era per niente conosciuto. Ancora oggi comunque il rap tiene ad essere crudo a tutti i costi, denigratorio verso la figura femminile e tu hai detto una cosa bellissima perché proprio l’equilibrio tra questi aspetti, in futuro, ci porterà a superare conflitti come quelli che vediamo. Ho imparato dalla musica come la melodia fosse la sua parte femminile e il ritmo la sua parte maschile. Imparare ad usare la musica come una terapia significa che a volte si ha bisogno di brani che siano cantati da una voce femminile e questo costituisce davvero un aiuto terapeutico. Certe volte, al contrario, per esempio in palestra, hai bisogno di quel lato della musica puramente maschile e crudo. Sarebbe bello che la musica prendesse quello che è stato da sempre il suo posto: un aiuto terapeutico che, però, sappia anche portarti verso dimensioni e vibrazioni che da solo non riusciresti a raggiungere, come possono essere l’adrenalina o la dolcezza.
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Cinque anni fa in un’intervista ad Esse Magazine sostenevi che il king del rap fosse Sfera, dicendo di rivederti molto in lui per avere un grande seguito nel pubblico femminile. La pensi ancora così? Oggi ritieni che ci sia qualcun altro al suo posto?
Devo dire che quando faccio queste uscite sono sempre molto provocatorie, soprattutto nei confronti della mia generazione. Con tutto l’amore che ho per Jake, Guè e Joe e, come ho visto Salmo sfondare San Siro con un livello di live altissimo e quasi inarrivabile, è chiaro che dare a Sfera questo primato è sia una provocazione che un fatto generazionale. Questo perché, comunque, quelli che ho citato si avvicinano più al mio stile e alla mia generazione. Un Baby Gang che passa adesso primo negli ascoltatori mensili di Spotify, fa capire che non stiamo parlando di tecnica del rap. Sento la sua generazione un pochino acerba su alcune cosa, ma è giusto che sia così! Perché l’impronta e i temi che stanno trattando, a volte inconsapevolmente, fa sì che passino guai in prima persona. È anche importante che facciano breccia in quel modo, che feriscano la società come stanno facendo. Mi dispiace che le istituzioni gli stiano veramente facendo la guerra. Il fatto che loro abbiano problemi giudiziari è dato sì dalla loro vena di follia, ma c’è anche un accanimento istituzionale nei loro confronti, che riguarda il fatto che non possano suonare in giro. C’è veramente una censura.
In “Sotto Effetto Podcast” affermi che Tupac ha sbagliato, forse, a soffocare quel lato sensibile che era stato completamente rivoluzionario per il gangsta rap. C’è qualcosa, invece, che Tormento ha soffocato nel suo percorso artistico?
In passato ti direi di no. Mentre una cosa che sto soffocando adesso è il fatto che, magari, la nostra generazione riceve meno visibilità. Proprio mentre stiamo chiacchierando mi hai fatto tornare in mente quanto sia bello questo genere. Ti confesso che proprio in questo periodo mi sto soffocando leggermente dal punto di vista artistico e rivoluzionario, ma per il semplice fatto che non vedo alcuna risposta allo schiacciamento che sta vivendo la società odierna.
(Foto di Elisa Platia; continua sotto)
Nel 1996 Paola Zukar fu l’ultima persona a intervistare Tupac. Per quell’occasione Paola ti invitò ad accompagnarla, ma gli impegni promozionali dei Sottotono non te lo permisero. Se ti fosse stato possibile fare una domanda, che cosa gli avresti chiesto?
Sai che ci ho pensato un sacco di volte! Tante volte mi sono detto: “Se fossi andato, magari, non sarei nemmeno riuscito a spiccicare parola”. Mi sarebbe piaciuto semplicemente respirare un po’ la sua stessa aura. Noi in quegli anni lo studiavamo, abbiamo ascoltato milioni di interviste, sapevamo un po’ come la pensasse su alcune cose. Riuscire proprio a cogliere quell’aura da leader che aveva lui dal vivo e cercare di carpire la sua presenza in una stanza sarebbe stato il regalo più bello.
Il rap è un genere musicale che passa attraverso un immaginario ben definito. Riferimenti cinematografici come “Boyz’n the Hood” hanno segnato l’attitudine e l’iconicità dell’Hip hop. I Sottotono hanno ricercato fin da subito, anche oltreoceano, brand che richiamassero questa cultura, portando un dress code sconosciuto per il lifestyle italiano. Oggi, in un momento in cui esce un album come “Icon” di Tony Effe, viene messo ancora più in rilievo il codice estetico che deve seguire un rapper per diventare iconico. Cosa pensi si sia conservato dell’iconicità degli anni ’90?
Sicuramente per quando riguarda il vestiario questo ritorno del largo, del baggy mi fa godere! Anche perché c’è stato un momento in cui anche noi della vecchia scuola eravamo quasi costretti a vestirci un po’ stretti, altrimenti sembravi fuori luogo. Quindi già questo ritorno da un lato, è apprezzabile come gusto, dall’altro ci fa capire come tutto sia in questo loop costante. Anche nella musica, come nella moda, è tutto ciclico. Non si stanno inventando niente, però ritengo che sia importante questo aspetto che sottolinei tu del look, perché noi come Sottotono siamo stati tra i primi a dargli importanza. Tutto questo in una scena Hip hop italiana che era molto legata alla sinistra alternativa: quindi i centri sociali e, di conseguenza, vestirsi in maniera povera. Mentre questo nel resto del mondo non accadeva perché tutti prediligevano un look curato. Brand come Karl Kani, Pelle Pelle erano super pregiati. La situazione delle Posse era una cosa tutta italiana. Per cui, secondo me, essendo comunque anche entertainment, è importante, per artisti come Tony Effe, il lato del branding. Chiaramente per chi è appassionato di musica viene prima la musica, mentre oggi ci rendiamo conto che in una società che si basa molto sull’immagine venga prima quello e, in fin dei conti, non è così sbagliato.
Pochi possono vantarsi di aver avuto Tiziano Ferro come corista e fan fin dagli esordi. Che atmosfera si è creata in studio per “Solo lei ha quel che voglio 2021”? Che certificazione è stata quando anche Marra e Guè si sono proposti per finire il pezzo?
In realtà è stata proprio una proposta di Marra e Guè. Era un periodo che ricevevo messaggi in piena notte o da Elodie o da Guè o da Marra, dove ognuno mi diceva che voleva rifare i pezzi dei Sottotono. Quindi, per assurdo, loro hanno anticipato quello che poi è stato l’album “Originali” di un paio di anni. So che ognuno di loro ha spesso provato, all’interno dei propri progetti, a campionare i nostri brani. Più che il momento di registrazione, il bello è stato l’occasione di girare il video e passare una bella giornata assieme. È stato fantastico anche perché Marra, Guè e Tiziano venivano da piccoli ai nostri live e con questo brano siamo tornati i Tiziano, i Marra, i Guè e i Torme del passato. Torni davvero a respirare i sentimenti e le sensazioni di quei momenti e vedere l’entusiasmo di Tiziano Ferro che di colpo era tornato adolescente è stato emozionante!
Tra le sliding doors della tua carriera spicca quella della jam “Quartieri”. Fu lì che incontrasti Primo Brown. Dopo il Festival di Sanremo dici: “L’amicizia mi ha illuminato la strada”. Dopo i soggiorni romani, i viaggi in Messico e “Siamesi Brothers”, nel 2012 arriva il cult de “El Micro De Oro”. Quattro anni dopo Primo verrà colpito da un male incurabile. Quale parte di Primo vive in te e nella tua musica?
In me vive quella grinta che ha dato a tutti quanti. Aveva una grinta infinita che forse lo ha anche mangiato. Quello che mi ha insegnato è che oltre alla grinta, ci vuole anche un equilibrio per non rovinarsi dentro. Il periodo de “Il micro de oro” era un periodo dove stavamo capendo che il suono era completamente cambiato: quello che c’era sul mercato era già trap e, di conseguenza, la nostra, suonava come una roba fuori luogo e con un suono che non aveva alcun riferimento con il momento attuale. È stato un periodo di passaggio che ci ha portato a capire che la musica ha un grande potere. Vedo che questo testimone passa ai più giovani che in questo momento sono veramente cattivi, crudi, vogliono cambiare la situazione, vorrebbero che tutto fosse diverso e che ci fosse più possibilità di ascolto e di espressione. Stessa cosa abbiamo vissuto noi e un altro insegnamento di Primo è stato proprio questo: la cazzimma ci vuole, ma un po’ più alla Kobe Bryant. Nel senso che bisogna metterla in atto nell’allenamento, anche perché l’energia personale è l’unica cosa su cui tu puoi avere il controllo. Non hai il controllo su quello che accade fuori e, poter avere il controllo di sè, secondo me, aiuta anche l’universo ad aiutarti. Nel momento in cui tu brilli, la tua luce si vede anche in posti lontani, dove non pensi che possa arrivare. La passione ti porta a far accadere cose che non avresti mai immaginato! Senza passione non avrei mai pensato che tutti ci avrebbero reso omaggio.
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Il successo di un classico come “El Micro De Oro”, scrivi in “Rapciclopedia”: “È stato come condizionato dal mercato che richiedeva già qualcosa di diverso”. “Boomerang” è stata una hit molto apprezzata dalla critica e questo album è un’icona per l’underground italiano. Cosa c’era tra la penna e il cuore di Torme in quegli anni?
Sicuramente in quel periodo ci siamo tolti tanti sfizi. In quel periodo nelle interviste tutte le cose che volevamo dire le dicevamo, eravamo veramente killer. Raccontavamo le cose con l’esperienza che avevamo raggiunto. In quegli anni avevamo una piena comprensione del nostro lavoro. Sai come si muovono i media, come trattano la musica i media, come funziona la televisione, come funziona fare i palchi enormi. Entrambi avevamo questo filo diretto tra la penna e il cuore che, però, alla fine, ti presenta il conto. Nel mondo in cui viviamo non può esserci questo filo diretto, va mediato. Penso che i grandi personaggi siano stati bravi in questo: capire quale fosse il modo per far cogliere al pubblico ciò che volevano dire. Nel momento in cui sei troppo puro o troppo diretto, la cosa che cerchi o non arriva o viene subito abbattuta dai poteri forti. I grandi hanno la capacità di nascondere tra le righe le grandi verità. Ti dico che più che un filo diretto tra il cuore e la penna ci vuole questa capacità di nascondere un po’ le cose.
“Sotto Effetto Stono il disco che mi ha cresciuto/ Lo dicevamo dall’inizio ‘sta merda è culto” scrive Fabri Fibra in “Cronici 2021”. Qual è la sfida più grande che hai vinto?
La grande soddisfazione deriva dalle serate live, da tutta la gente che uscendo incontro per strada. Vedo dai loro occhi quando sono sinceri e mi rende fiero quando mi dicono: “La tua musica mi ha cresciuto”. Mi rende orgoglioso chi mi dice che si è ritrovato nell’album Il Mondo Dell’Illusione. Quel progetto era nato per aiutarmi ad esorcizzare determinate cose e trovare un significato profondo per andare avanti. Recentemente persone come Francesca dei Coma Cose mi ha detto: “Il Mondo Dell’Illusione per me è stato importantissimo!”. Così come è stato terapeutico scrivere Dentro e Fuori dopo la morte di Primo, mentre stavo vivendo un momento di sofferenza. Questo è veramente il più grande regalo! Poi ovviamente quando arrivano assegni importanti per una hit è un altro tipo di soddisfazione, ma la riconoscenza umana è il vero dono.
Lavorando e collaborando con Izi per le colonne sonore del film “Zeta” e per il suo primo album hai stretto amicizia e legato con la scena trap del 2016. Cosa hai rivisto in loro nel Torme in viaggio per gli States?
Mi rivedo sempre nei viaggi che fanno. Li vedo spesso viaggiare negli States. Proprio Izi è stato recentemente lì per registrare. In realtà è bello vedere che stiano facendo un po’ il nostro stesso percorso. Comunque la possibilità di andare a scrivere un album come “Santeria” a Cuba, è lo stesso di quello che abbiamo fatto noi per masterizzare i dischi a Los Angeles o a New York. Questi per me sono grandi momenti di crescita, ed oltre ad essere proprio un bel boost per la creatività, perché sono luoghi di grande ispirazione, capisci quale fosse la tua fantasia e quale sia la realtà con i tuoi stessi occhi. Vedere la scena del 2016, fare gli stessi passaggi che abbiamo fatto noi è bellissimo e, come ti dicevo prima, è proprio un film che ritorna costantemente.
Collaborando con J-Ax in “Acqua su Marte” è come se avessi teletrasportato Sottotono e Articolo 31 vent’anni nel futuro. Qual è la prima cosa che hai raccontato ad Ax mentre lavoravate alla traccia?
Quello che mi ha fatto impazzire è stata la faccia di Ax durante l’ascolto e, questo, mi dava la conferma che avevamo veramente impacchettato una cosa molto potente. È stato bello il poter tornare a quegli anni ’90 in cui ci beccavamo, dove avevamo quell’entusiasmo addosso di chi voleva conquistare il mondo. Questa collaborazione ci ha portato al perché facciamo questo mestiere. Poi il fatto che non avessimo mai fatto una traccia assieme era un altro input importante. La chiave fondamentale è stata Simon de Jano dei Meduza, che essendo fan di entrambi fin da piccolino, con la sua grande sensibilità musicale, ha permesso alla traccia di risultare super fresca e, allo stesso tempo, che suonasse vecchia scuola.
I petali e le spine sono i due contrasti sintetizzati dallo stesso fiore. Cosa ti aspetti di comunicare con questo EP? Come è nata la tua collaborazione con Frank Sativa?
Frank lo abbiamo praticamente cresciuto io ed Esa: lo abbiamo sempre voluto volentieri nei nostri backstage. Vedere che uno di questi nostri fan storici sia arrivato a produrre Willie Peyote è bello, perché lo abbiamo proprio visto crescere. Ore e ore, notti e notti a fargli capire come funzionassero le cose. Poi tanto studio suo ha fatto si che arrivassimo a fare un progetto assieme dopo tanti anni, anche per suggellare questa amicizia. Sui contenuti ho collaborato con Bagba e lavorare con lui è stato bellissimo. L’idea era quella di disegnare questo amore maledetto che c’è nei tempi che stiamo vivendo. Bisognerebbe ritrovare una definizione di amore. Mi rendo conto che fa un po’ strano uscire con un EP dedicato interamente a questo tema però, secondo me, c’è bisogno di questa nuova definizione e c’è bisogno di capire giorno dopo giorno che forma stia prendendo e come proteggerla.
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Nelle varie tracce è come se fotografassi la varie sfaccettature dell’amore, ognuna dedicata ad un sentimento diverso. “Acqua passata” illustra un concetto facile solo a parole: il perdono. In un momento storico di ostentazione e di machismo, quanta forza ci vuole per mostrarsi fragile?
Bravissimo, è proprio questa la chiave! È stato proprio prendere ad uno ad uno gli eventi del mio passato e perdonare sia chi mi ha fatto un torto, sia me stesso per come mi sono comportato in alcune occasioni. Questo è poi quello che mi permette di sembrare ancora un ragazzo di diciott’anni. La meditazione mi ha salvato la vita. Come dicevi tu, oggi è difficilissimo perdonare. D’altro canto è l’unica chiave per riuscire a non morire o ad ammalarsi per la propria rabbia. Quindi è fondamentale perdonare. I conflitti che ci sono all’esterno non sono nient’altro che lo specchio dei nostri conflitti interni. Nel momento in cui si parla di guerra e i commenti di una pagina social, ad esempio, iniziano a diventare una guerra in miniatura ci si rende conto che, alla fine, non è tanto assurdo che il mondo oggi sia in conflitto. È in guerra anche nelle piccole cose e non si riesce a trovare un punto d’incontro. Capire l’amore è importante e, con tutte le difficoltà del momento, c’è davvero bisogno di comprendere cosa sia l’essere umano.
Nella traccia “Petali e spine” dici: “Potessi tirare il rigore di Baggio lo segnerei”. Perché il paragone con il Divin Codino? Cosa ti ha dato questa consapevolezza?
Baggio… Perché lo ritengo uno dei supereroi sportivi in Italia. E, come anticipavo, ho voluto evidenziare la dimensione umana di questo supereroe. Dal mio punto di vista è importante l’immaginario dello sport e la figura di uno sportivo come Kobe Bryant, ad esempio. Significa veramente portare il corpo ad un livello di potenziamento che ti trasforma in un supereroe. Sulla consapevolezza era per immedesimarsi nella sua situazione. Sicuramente in un’occasione del genere ognuno di noi, magari, sbaglierebbe di nuovo, però è riferito alle nostre vite: dopo gli errori che hai fatto sarebbe bello avere un’altra possibilità. Vuol essere comunque anche uno scherzo. Le cose che ognuno ha sbagliato era giusto sbagliarle, le cose che abbiamo fatto bene era giusto che andassero bene. Quindi è anche un po’ prendere in giro un errore, altrimenti diventa una cosa che ci tortura per sempre.
Di te hanno scritto “Nessuno parla d’amore come Tormento”. Come sei arrivato a questo?
Riesco a tirare fuori questa sensibilità perché sono fatto così. Non so se gli altri artisti maschi proprio non ce l’abbiano oppure la tengono rinchiusa come un mostro degli inferi. A me viene molto naturale e credo, come dicevamo prima, che la cura consista nell’equilibrio fra il maschile e il femminile. È questa la ricerca che bisogna fare e dovrebbe essere la normalità. Purtroppo però normalità non è, perché vedo artisti che dicono cose veramente oscene sulle donne. Mentre io faccio il contrario perché credo che sia questa la normalità.
Abbiamo aperto la nostra chiacchierata con “Ritorno al futuro”. Torniamo a quel film: sei Marty McFly che sta per salire sulla DeLorean per fare un altro viaggio nel futuro. Cosa ci vorresti trovare e cosa, invece, non vorresti vedere?
Quello che non vorrei vedere è un mondo post-apocalittico o alla Gotham City, perché a volte le nostre grandi città somigliano già a Gotham City. Ecco, questo è proprio il futuro che non mi piacerebbe vedere. Mentre vorrei un futuro con città completamente verdi, oppure nuovamente orizzontali e non più verticali. Dove si mangia a chilometro zero. Vorrei una buona mediazione anche con la tecnologia, senza escluderla, ma trovando un modo per non ingoiarci il pianeta nel giro di due-trecento anni. Questo mi piacerebbe. Mi rendo conto che è abbastanza utopico, ma a me piace sempre vedere i punti di luce che si accendono nel buio che ci circonda. Vedo belle realtà come la permacultura, l’agroforestazione. Ci sono persone che vivono “Off the grid” e riescono a creare luoghi dove si vive e si produce cibo e dove si ricerca il vero senso di comunità. Ci sono un sacco di esempi virtuosi per un futuro migliore.