Che Damon Albarn (e Jamie Hewlett) stessero per scongelare i Gorillaz è cosa nota da tempo: è da quasi un anno ormai che i rumor su un loro imminente ritorno si susseguono senza soluzione di continuità.
Che lo scazzo tra i due ex coinquilini più famosi di Inghilterra fosse stato brillantemente superato è cosa nota, ed è dal tour di “The Magic Whip”, l’ultimo album dei Blur, che Albarn parla senza troppi misteri di un disco pronto per essere chiuso. Ci siamo, a quanto pare: è notizia dell’altro giorno l’apertura di nuovi canali social intestati al progetto (Instagram, su tutti), e sono state anche aggiornate le immagini del profilo. Niente di che, direte voi, ma al giorno d’oggi questi sono proprio i primi segnali tipici del ritorno in pista, per cui prendiamoli per quello che valgono e aspettiamo. Un nuovo album potrebbe arrivare tra un momento e l’altro, chi lo sa? Nell’attesa ne approfittiamo per ripassare alcune tra le canzoni migliori della band-non-band disegnata più famosa di sempre. Quelle che non sono mai state scelte come singoli. Un bel paradosso, visto che i Gorillaz sono per tutti solo e soltanto una macchina da hit.
Ma c’è dell’altro. Non ci credete?
Re-Hash
La canzone che apre l’album di debutto: beat hip hop e giro di chitarra acustica che ricorda molto da vicino il Beck di “Odelay”. Il testo è tutto un gioco di assonanze tra l’ossessione per la droga – l’erba, in questo caso – e quella per i soldi.
Sta a voi scegliere quella che preferite.
Latin Simone
Sempre dal primo album: qui con il featuring del grande musicista cubano Ibrahim Ferrer in pieno revival post Buena Vista Social Club.
Fin da subito Gorillaz si dimostra un progetto policromo: pop, sì, ma impossibile di incasellare in un genere preciso.
Last Living Souls
Da “Demon Days” aka “il disco della svolta”.
Una delle poche canzoni dell’album a non essere stata co-prodotta con Danger Mouse. L’apertura acustica del brano è una delle cose più ariose e pop mai scritte da Damon Albarn.
November Has Come
La collaborazione com MF Doom. 2 e 42 di puro hip hop (tranquilli, poi arriva pure Damon).
Demon Days
Arriva dopo Don’t Get Lost in Heaven (praticamente i Beach Boys suonati da una radiolina rotta abbandonata su una spiaggia), può essere considerata a tutti gli effetti la sigla di chiusura dell’album. Scazzo caraibico e coro gospel (il London Community Gospel Choir, quelli di Tender).
Plastic Beach
Da una title track all’altra. Uno dei pochissimi brani di “Plastic Beach” a non contenere featuring. Uno dei più belli.
White Flag
Chi può mettere nella stessa canzone l’orchestra nazionale libanese per la musica orientale e araba (giuro che si chiama proprio così) e due mc inglesi provenienti dalla scena grime (Kano e Bashy)? Indovinate un po’…
Cloud of Unknowing
La voce di Bobby Womack. E nulla più.
Hillbilly Man
Poi a un certo punto esce l’iPad, Damon ci va in fissa e durante il tour americano di “Plastic Beach” decide di realizzare un album intero usando le app presenti sul tablet.
Ogni brano porta vicino al titolo la data e il luogo dove è stato realizzato.
Questa qui l’ha fatta in New Jersey e Virginia. E con lui c’è Mick Jones dei Clash, chitarrista live di quel tour dei Gorillaz.
California & The Slipping of The Sun
Dove si evince che la California non è altro che un luogo a caso dell’universo.