Il “nostro settore” (la citazione è d’obbligo) ha una voce in più, quella di Matteo De Vita, che nelle ultime settimane sta monopolizzando la rete (quella degli addetti ai lavori e dei curiosi, più che il WWW in generale) grazie alla battaglia contro il sistema “agenzie/mercato” e “tecnica/improvvisazione”. Due argomenti di cui si è sempre discusso, ma che nessuno aveva mai trattato con termini così diretti, addirittura facendo nomi, cognomi e dichiarazioni piuttosto impegnative. Perché? Forse perché non sono in molti a potersi permettere certe dichiarazioni. Perché l’approssimazione e il rischio di prendere un abbaglio sono dietro l’angolo. Matteo invece è convinto di esprimere la pura verità, quella che nessuno si è mai sognato di raccontare.
In questo modo il ragazzo ovviamente spacca il pubblico a metà, da una parte i suoi sostenitori, dall’altra quelli che invece sostengono solo il fatto che voglia mettersi in luce sulle spalle degli altri. Nessuno però ha mai preso in considerazione l’idea di analizzare effettivamente gli argomenti principali della “battaglia” di Matteo. Nessuno ha ragionato lucidamente; le reazioni sembrano da una parte quelle di persone che trovano in Matteo la voce del salvatore, quello che trasformerà un qualsiasi possessore di giradischi e tecnica base in un dj affermato. Dall’altra quella di chi è stato toccato dentro, magari anche in modo sbagliato, con affermazioni non del tutto reali, ma che comunque non ci sta a farsi analizzare in un modo così banale.
Perché alla luce dei fatti gli argomenti di Matteo hanno diverse chiavi di lettura e di interesse. C’è il punto di vista degli outsider e quello degli addetti ai lavori. Come nel calcio, c’è il tifoso e chi muove ogni giorno lo spettacolo. In teoria, poi, ci dovrebbe essere il punto di vista esterno. Il nostro, quello di chi ha i piedi da una parte e l’altra del confine. Per il momento ci sembra di non aver visto nessun articolo in una testata seria, che riguardi quello che sta facendo Matteo. Perché è attualmente un argomento piuttosto spigoloso, bisognerebbe capire in che modo trattarlo per non schierarsi da nessuna parte e non finire sotto la lente d’ingrandimento o non provocare reazioni sgradevoli da una delle due parti. E allora perché ci stiamo prendendo questo rischio? Perché crediamo sia arrivato il momento di mettere ordine o forse perché vorremmo tornare semplicemente a vedere sulle bacheche dei nostri amici qualcosa di diverso.
Matteo diventa veramente argomento di discussione quando attacca pubblicamente Ralf e i meccanismi dietro la promozione di alcuni nomi a discapito di altri. La scintilla che fa scoppiare definitivamente la vera battaglia, non quella che vorrebbe lui, ma quella contro di lui. L’articolo che segue è meno diretto, riguarda il sistema in generale e cita spesso e volentieri le parole di Claudio Coccoluto. Un volto storico, uno che come Ralf rappresenta da sempre una certa scena italiana nel mondo. La differenza tra Coccoluto messia del positivo e Ralf del negativo però non la capiamo. Anzi, per farla breve, forse è proprio Claudio la “star” (per intenderci quello di Sanremo) tra i due (sia chiaro è un confronto esagerato, non vogliamo entrare nell’analisi di chi ha suonato di più tra sfilate e party aziendali, non basterebbe un sito intero per raccontare la carriera di queste due icone italiane che tra l’altro si è svolta in contesti completamente differenti da questi).
Dopo Ralf e Coccoluto appaiono sul blog di Matteo altre figure: Cristian Marchi, Eva Henger e Deborah De Luca. Questo basterebbe per iniziare a farsi qualche domanda in più, perché se qualcuno vuole analizzare un settore deve farlo con responsabilità. Come si fa a tirare in ballo Cristian Marchi in un’analisi che parte da Ralf e coinvolge Coccoluto? Come si fa a parlare di “settore” se poi si parla di Eva Henger o Deborah De Luca (tra l’altro Matteo, l’Italia arriva sempre dopo ed Eva Henger non è stata la prima a fare un’operazione del genere. Ma soprattutto non siamo l’unico paese in cui succedono queste cose, basta pensare a Sasha Grey che ha avuto un impatto mediatico molto più grave dell’ex compagna di Schicchi).
Fiutato l’interesse collettivo Matteo decide di andare oltre, pubblicando il suo primo video. In questo caso Matteo si concentra soprattutto sulle agenzie di booking italiane, ma spesso perde il punto di vista più importante. O almeno, tratta anche qui con superficialità un argomento piuttosto delicato. Perché se sono le agenzie a fare il mercato e riempire gli eventi com’é possibile che le date di alcuni dei più importanti dj al mondo siano saltate a distanza di poche ore dall’evento stesso (Tiesto e Armin, vi dicono niente)? Per non parlare delle agenzie di promozione, che esistono in ogni ambito. La differenza tra major ed etichette indipendenti non è proprio questa? Di cosa ci stupiamo…
Quando analizza il sistema forse si dimentica che certe dinamiche non riguardano solo il nostro settore, ma il mondo intero. Che la meritocrazia non riguarda solamente il saper mettere a tempo un giradischi, ma anche mille altre qualità e caratteristiche che rendono un dj una figura riconosciuta e idolatrata. Se bastasse la tecnica a renderci qualificati in ogni lavoro mi domando che differenza ci sarebbe tra un restauratore e Michelangelo?
Il nostro è un mondo complesso a tratti anche corrotto, ma non è poi diverso dagli altri, per dire da quello degli uffici. La tecnica per così dire è il minimo indispensabile, ma un professionista vero si riconosce anche e soprattutto dal carattere, l’ambizione e la capacità di distinguersi ed emergere. E queste cose purtroppo non si imparano, non c’è un sync nella vita che ti aiuta. Nel 2013 quindi ci chiediamo, c’è ancora bisogno di sottolineare questa differenza tra tecnica e talento? Tra vinile e tecnologia? Quindi Moodyman o certi personaggi della vecchia Chicago/Detroit a cui non interessa minimamente la tecnica (alcuni di loro non mixano neanche sotto tortura…) sono dei bluff, gente che dovrebbe essere recintata nel proprio studio. Ne siamo così convinti?
E i palcoscenici dei club più importanti? Dovrebbero essere aperti a chiunque, magari con una selezione come quella che si fa nei contest commerciali in giro per il mondo (presente quelli in cui mandi un mix, una giuria sceglie e uno sconosciuto si ritrova davanti ad una piccola folla, ad orari impensabili, in alcuni dei più grandi festival del mondo?!), o forse i proprietari dei locali dovrebbero essere liberi di scegliere (visto che è un loro investimento) e al massimo è il pubblico che dovrebbe sviluppare una visione critica nei confronti del “nostro settore”?
Perché la realtà è anche questa e noi l’abbiamo sempre detto, non c’è cultura, non c’è voglia di scoprire o imparare. Gli italiani in particolare sono un popolo che crede di avere la verità sempre in tasca. La differenza più grande tra l’Italia e il resto del mondo, non è quella che Matteo continua a sottolineare. Le agenzie, i booking esistono ovunque. Se Matteo vuole farsi una domanda, si chieda perché certi nomi si esibiscono solo in certi posti. Ruota tutto intorno a questa risposta. I “prodotti” non sono mai stati immessi nel mercato da noi. Al massimo in Italia si gioca a fare “import”, perché l’unico “export” lo fanno alcuni artisti che hanno risposto da tempo a quella domanda.
Passano i giorni, Matteo continua la sua battaglia e punta il dito contro Marco Faraone, Elia Perrone e Luca Agnelli. Sul primo si fa tante domande, tra cui (in modo piuttosto indignato) quella di capire se Faraone è più un dj o un producer. Come se in questo settore una cosa escludesse l’altra. Elia Perrone alla fine della diatriba Luciano/Klang/Ushuaia diventa secondo lui “un giovane che non vuole mettere nella sua biografia l’età per paura di far scoprire chissà quale verità”, quando nel resto del mondo si apprezza (e non ci si indigna) che un protetto di Four Tet & co. (vi dice niente Happa) abbia meno di 18 anni. Quando Matteo pubblica il pezzo su Marco Carola, secondo lui l’ennesimo esempio positivo, si lancia in una serie di contraddizioni che probabilmente non sa nemmeno di cosa sta parlando. Ci chiediamo infatti che fine abbia fatto la lotta contro il sistema, visto che proprio il partenopeo fa parte di una delle due agenzie a cui faceva riferimento precedentemente. Per non parlare degli episodi non proprio felici che hanno messo Carola in luce negli ultimi anni (troppo facile tirare fuori la discussione che ci coinvolse quando uscì “Play It Loud”, più giusto citare la figuraccia per la data annullata al Fabric). Che poi, questa signori è regolare routine. Tutti gli artisti hanno alti e bassi, si perdono per strada, si ritrovano, cambiano “squadra”. Rimangono a galla quelli che sono fedeli a se stessi, che sanno emergere ed hanno ambizione.
Questo apre l’interrogativo più grande: è questo il modo per fare questa precisa rivoluzione? Matteo, sei così convinto di poter citare alcuni nomi a discapito di altri? Sei così convinto di conoscere in profondità le dinamiche del nostro settore? Sei così convinto di poter puntare il dito contro tutto e tutti? Non sarebbe allora più utile promuovere chi crede realmente nella scena sana? Credi che in Italia esista solamente un certo tipo di mercato? Ti sbagli. L’Italia è piena di situazioni che propongono ottima musica, ottimi nomi. Purtroppo però il business è infame e spesso non sta della parte dei giusti. Ma questo non riguarda solo la musica.
Quello che ci dispiace di più è leggere (ed ascoltare) una marea di inesattezze che automaticamente annullano quel poco di verità che Matteo esprime. E se da un lato è giusto che ognuno combatta a suo modo le proprie battaglie, dall’altra ci chiediamo, è con uno spettacolo del genere che dovrebbe salvarsi il nostro settore?