Tropical Animals è un gioiellino: è un gioiellino perché ti fa respirare la vera “aria da club”, col posto piccolo, l’impianto buono, gente che un po’ si conosce un po’ non vede l’ora di conoscersi sul dancefloor, scelte artistiche improntate più sulla ricerca e sul “seguo i miei gusti” piuttosto che sulle grandi declinazioni di mercato. Ed è un gioiellino perché è settimanale, e riesce ad esserlo non a Milano e non a Roma ma in una città con potenzialmente bacini d’utenza molto minori come Firenze. Non solo: riesce ad esserlo da dieci anni. Sono tanti. Sono un traguardo notevole. Ecco perché abbiamo deciso di farci una lunga chiacchierata col suo fondatore e deus ex machina, Ricardo Garcia Baez, ad inizio stagione (una stagione che vi consigliamo di seguire, passo dopo passo, qui: pimo appuntamento in arrivo è domani 26 settembre con l’ottimo Dj Qu). Tra l’altro Ricardo porta avanti anche la label “figlia” dell’esperienza della serata, una label dalle scelte davvero molto, molto interessanti – che nascono dall’attitudine (e della conoscenza) che ci spiega per bene andando avanti con la conversazione.
Partirei con una domanda molto banale: quando hai iniziato a fare Tropical Animals, ti saresti immaginato di arrivare al decennale?
Assolutamente no! Dieci sono tantissimi… La cosa buona è che è un traguardo a cui siamo arrivati partendo da un’idea, e portandola sempre avanti. Ovvero: far divertire sì le persone, ma in una maniera costruttiva, in una maniera che fa sì che non sia solo divertimento fine a se stesso, che inizia e finisce nell’arco di una serata, di qualche ora, ma che sia invece un percorso, un viaggio continuo, una storia che si sviluppa. Abbiamo sempre voluto essere un punto di riferimento. Qualcosa che dura, nel suo piccolo. La scelta di fare una serata continuativa non è casuale: è la voglia di dare una “casa” a un certo tipo di persone.
Quale tipo?
Persone che abbiano prima di tutto amore verso la musica e la conoscenza musicale. Anzi, ancora meglio: che siano predisposte ad ascoltare ed amare la musica. Questo è la cosa più importante (…più importante ancora dell’avere o non avere specifiche nozioni). Noi lavoriamo loro. Noi lavoriamo per farli felici.
Non per forza un pubblico di super-esperti, quindi.
Esatto. Ma noi abbiamo sempre voluto proporre qualcosa che non puoi sentire alla radio e, magari, neppure qualcosa che ti capiterebbe di sentire per i fatti tuoi, se fossi a casa a girare per il web, per Spotify o YouTube. Trovare musica che sappia far divertire e che sia originale, non scontata, non è un affare semplice. A maggior ragione se vuoi far durare questo progetto nel tempo. In questo caso, anche sapersi evolvere diventa fondamentale.
In questi dieci anni siete cambiati, musicalmente parlando.
Siamo cambiati tantissimo. Siamo partiti facendo un misto di indie rock ed electro, negli anni in cui un certo tipo di electro esplodeva in Italia. Da lì l’evoluzione ci ha portato via via prima verso la house, poi un certo tipo di disco / nu disco e ora, negli ultimi anni, verso qualcosa di più elettronico, nei confini tra house e techno. Tuttavia quando fai qualcosa come cinquanta serate all’anno puoi e devi sempre permetterti di variare un po’. Anche il tuo pubblico non vuole sentire sempre la stessa cosa, no? Devi sempre catturare il suo interesse, proporgli cose che non solo gli piacciano ma magari lo sorprendano: quando fai una serata ogni settimana, questo è importantissimo.
Qual è stata la serata che ha fatto fare il “salto di qualità” a Tropical Animals, secondo te?
Bisogna andare indietro verso la stagione 2011/12. Ospite, Kevin Saunderson: l’avevamo invitato in una fase strana della sua carriera, in cui sembrava essere un po’ sparito dai radar collettivi. Andò alla grande. Ecco, lì credo che abbiamo fatto un passo in avanti. Ci tengo però a dire una cosa: ok i guest, ma a Tropical Animals sono sempre stati fondamentali i resident. Nel discorso collettivo del portare sempre “qualcosa in più”, di creare un percorso che incuriosisca e soddisfi le persone aperte e curiose, il loro ruolo è stato di totale importanza. Non lo so, mi viene il paragone coi figli, quando gli insegni a camminare, quando li vedi crescere: ogni giorno gli offri qualcosa di nuovo, li spingi a fare qualcosa di nuovo. Noi, a modo nostro, abbiamo cercato di fare una cosa simile.
Tra l’altro, questa cosa di chiamare gli ospiti quando non sono sulla cresta dell’onda (perché lo sono già stati, o perché non ci sono ancora mai finiti) mi pare abbastanza una vostra attitudine.
Quando scelgo la programmazione, non guardo ai Resident Advisor o ai Soundwall di turno… semmai, cerco di fare qualcosa di cui a breve l’RA o il Soundwall di turno avrà voglia di parlare. Ma questo non perché vogliamo fare gli espertoni o quelli che la sanno più lunga, ma perché desideriamo che la musica da club sia in continua evoluzione, non si afflosci mai su se stessa e sulle sue routine. Quindi ecco: se sappiamo di un artista che per mille motivi è in ombra ma secondo noi è valido e può dare un bel valore aggiunto alla serata, perché non chiamarlo?
Mi viene da pensare ad un Valentino Kanzyani…
…o tutti quelli che facevano electro nei primi anni del nuovo millennio, prima sovraesposti e poi un po’ dimenticati.
Anthony Rother, per dire.
O anche, ti faccio un altro nome: Golden Bug, usciva su Gomma, gran roba, nostro ospite tipo nel 2011. Poi sembrava scomparso, ultimamente invece è uscita una sua release su Multi Culti, la label di Thomas Von Party, il fratello di Tiga (anche lui nostro ospite), ed è fantastica. Completamente diversa da quello che faceva un tempo, ma fantastica. Quando un musicista è un musicista di spessore, i valori prima o poi vengono sempre fuori.
Ci sono stati dei momenti in cui hai avuto paura che il pubblico avrebbe smesso di seguirvi?
Certo. Mi ricordo in particolar modo attorno al 2014, il penultimo anno di Tropical Animals nella sua prima venue: una fase in cui c’è stato un cambio generazionale fortissimo, con una nuova ondata di persone che aveva gusti davvero diversi dai nostri, e con la concorrenza della tv digitale di qualità e di Netflix che iniziava a farsi sentire. A questo aggiungi il fatto che noi abbiamo storicamente una clientela abbastanza legata agli studenti delle facoltà di moda, arte e design, è quello è un pubblico che ogni tanto decide di lasciar perdere le serate più ricercate per cercare qualcosa di commerciale, anche se poi torna sempre da te. In più, ultimo fattore, le persone che avevano iniziato con noi dal giorno uno, il nostro zoccolo duro originario di pubblico, iniziava ad avere i primi lavori seri, i primi figli, a mettere su famiglia… Insomma, un momento di passaggio. La vita è questo: ci sono dei momenti in cui le cose sembrano fermarsi. Poi, però, magari in un modo completamente o parzialmente diverso, ripartono. Anche il clubbing è così.
E in quei casi, cosa si fa?
In quei momenti bisogna avere prima di tutto tanta inventiva. E poi, tanta umiltà. Devi avere la capacità di fare un passo indietro se necessario, tornare a fare delle programmazioni più legate ai resident che ai guest, tornare a ragionare coi PR su qual è il modo migliore per lavorare e comunicare. Devi insomma tornare a fare “tue” prima di tutto le persone più vicine, quelle che vedi tutti i giorni, non è il momento di fare voli pindarici con guest che forse nemmeno ti puoi permettere. Bisogna tornare ad essere uniti, a stare assieme con chi ti è più vicino. Ricreare un ambiente, in qualche modo, “famigliare”.
Quanto sono importanti i PR, oggi? Il loro ruolo, con l’avvento dei social, è completamente cambiato. Per alcuni, la loro importanza si è decisamente ridimensionata (…e qualcuno aggiunge: “Per fortuna”).
Secondo me i PR sono una parte fondamentale di una serata e, soprattutto, devono cotinuare ad esserlo. I social hanno di sicuro un valore, arrivano ovunque, “visivamente” colpiscono nel segno, ma la chiamata di un amico o di una persona di cui comunque ti fidi che ti dice “Vieni dai, la festa è bella, vedrai” ha una valenza che nessun post o messaggio sui social potrà mai avere. Il lavoro dei PR con lo sviluppo della tecnologia è cambiato, è diventato più freddo sotto certi punti di vista: ma di suo sarebbe un lavoro non solo molto importante ma anche molto bello e formativo. Io, per dire, ho iniziato così.
Bisogna tornare a basarsi sul contatto umano.
Contatto umano che ha subito un bel po’ di colpi, ora parti dal presupposto che puoi trovare tutto quello che ti serve dentro il tuo smartphone, da solo. Ma il contatto umano resta la via migliore: la più efficace, ed anche la più bella. Abbiamo bisogno di persone che tornino ad uscire, andare in giro e parlare con la gente, invitando, sbigliettando. Anche perché ora stanno di nuovo cambiando le cose: parlare con le persone è tornato ad essere cool, molto più cool del mandare un invito su Facebook.
C’è un motivo però per cui aveva smesso di essere cool…
Sì, ad un certo punto il termine “PR” ha assunto un significato praticamente denigratorio…
Beh sai, vedevi stormi di personaggi che pensavano solo a vendere, vendere, vendere.
Ad un certo punto era diventato solo un lavoro fatto senza passione, in modo meccanico: il problema sta tutto lì. Non nel ruolo del PR in sé. E fare le cose senza passione… ovvio che dopo un po’ non vai da nessuna parte, credimi. Il clubbing invece, se uno lo vive da appassionato, è qualcosa che ti regala emozioni profonde. Anche solo l’entrare in un locale, sentirne l’odore, stare in mezzo alla gente quando si riempie, sentire “fisicamente” tutto questo, musica compresa: sono cose che non ti abbandoneranno mai, se sei appassionato veramente, e che resteranno sempre nei tuoi ricordi migliori anche quando magari smetterai di andare nei club. Delle emozioni così profonde, come pensi di poterle tradurre in un invito su Facebook? Davvero credi sia possibile?
Prima, a registratore spento, mi accennavi come forse state finendo un ciclo, e ne state iniziando uno nuovo. E’ così? O c’è in realtà una continuità con le ultime due, tre stagioni?
La continuità c’è. E ci sarà sempre, nel nostro caso, sotto certi punti di vista: proprio per il nostro fatto di essere un appuntamento fisso, regolare, una “casa” in cui si poterti trovare sempre. E dove il denominatore comune è la musica. Ma la musica, di suo, è e deve essere sempre in evoluzione. Come ti dicevo siamo partiti indie-electro, poi house, poi disco / nu disco, poi techno e house; ora vorremmo andare su sonorità un po’ più elettroniche, sempre diciamo nel territorio delimitato da techno e house ma con più sperimentazione. Iniziamo con Dj Qu, poi c’è lo showcase della Mule Musiqe con Axel Boman e il fondatore Toshiya Kawasaki, poi Umfang (…ecco, lei la trovo veramente interessante, una techno “nuova”, dall’immaginario forse hardcore ma che io in generale trovo più fresca della techno che è andata per la maggiore negli anni passati: la sua non è diretta, non è nemmeno melodica, ha invece forti influenze electro, è una techno “mutevole” che può piacere proprio al pubblico più curioso, più voglioso di novità).
(Gran festa a Tropical Animals con Bradley Zero; continua sotto)
La venue è sempre una questione importante, per una serata continuativa. Voi come vi siete gestiti negli anni questo aspetto?
All’inizio abbiamo avuto la grande fortuna di ritrovarci carta bianca da parte del Babylon – un locale che prima, quando si chiamava Doris, ha fatto la storia per tutta la scena musicale diciamo “alternativa”, dall’indie fino a cose più tangenziali alla house. Io ci sono finito un po’ per caso: prima lavoravo nel mondo della moda, ma a venticinque anni mi sono trovato a fare una scelta – che faccio, continuo con un lavoro ben pagato ma che mi sta uccidendo di stress o provo a seguire le mie vere passioni? Ho fatto la scelta meno logica, rinunciando a un posto sicuro con tanto di contratto a tempo indeterminato (incredibile, vero? Soprattutto pensando a com’è la situazione oggi…). Una vera e propria follia, che oggi però vedo come uno dei momenti più fortunati e una delle scelte più azzeccate abbia mai fatto. Insomma, mi trovo senza lavoro fisso, per mantenermi inizio a fare da cameriere e mi ritrovo ad un certo punto in un’osteria dove il proprietario si è rivelato un incontro assolutamente decisivo. E’ diventato fin da subito una specie di mentore, per me: perché dopo poco mi fa “Ma senti, tu che hai tutta ‘sta passione e conoscenza per la musica, perché non fai una festa qui dentro e metti due dischi?”. Nell’arco di poco tempo questa “festa”, diventata appuntamento regolare, ha iniziato a fare duecento persone alla volta (…e io suonavo per non so quante ore di fila). Il proprietario di questa osteria mi ha ad un certo punto raccomandato ai proprietari di un altro posto, il Rex, che poi sono andati a rilevare il Babylon. Lì, la serata del giovedì era scoperta. E mi hanno fatto “Beh, perché non metti su qualcosa tu?”. Da lì è iniziato tutto.
Ad un certo punto però per Tropical Animals c’è stato il cambio di venue.
Sì. C’erano grossi problemi col vicinato e coi volumi, lì. Quindi, arrivati ad un certo punto, abbiamo deciso di chiudere la nostra esperienza in quella location. Ho trovato un nuovo socio, Gianluca, che poi è diventato anche un carissimo amico, e siamo andati a bussare alla porta del Club 21. Anche questo, un posto particolare: quando ancora si chiamava Andromeda, negli anni ’90, è stato un luogo legato all’elettronica dove come resident c’erano Lory D e Francesco Farfa, non pensa si debba aggiungere altro. Ma anche prima di questa “fase techno” parliamo di mura che negli anni ’60 e ’70 hanno ospitato i concerti di gente come Franco Battiato e Patty Pravo, e che fra le altre cose sono state le prime ad ottenere ufficialmente una licenza per il ballo nel pieno del centro storico cittadino. Quando siamo arrivati lì, il locale aveva una programmazione molto commerciale e molto legata a un certo tipo di clientela turistica. Con il consenso di tutti, abbiamo iniziato a cambiare un po’ le cose. L’attenzione verso la clientela non locale è rimasta, l’attenzione verso la programmazione ha cambiato un po’ focus. Tra l’altro, oggi è rimasto l’unico locale in pieno centro – è praticamente dietro Piazza della Signoria – ad avere un signor impianto. Dopo la chiusura del Tabasco, credo che a Firenze in centro non sia rimasto altro.
Ecco, parlando in generale, che periodo sta attraversando Firenze?
Dalla mia persone prospettiva, forse non il più florido dei periodi. Non dico che siamo messi male, anche perché non sarà mai parte di me vedere le cose in modo solo negativo, ma sicuramente in passato ci sono stato complessivamente momenti migliori. La famigerata “crisi del clubbing” in effetti qua si è un po’ fatta sentire. Questo però succede anche perché non ci sono abbastanza persone che hanno voglia (o mezzi) di provare a rilanciare, di provare a fare dei cambiamenti e delle innovazioni. Col risultato che vivacchiano, tirano avanti, provano a resistere, sperando che “passi la tempesta” e che passi senza che loro siano obbligati a cambiare, ad evolvere. Questo a cascata diventa un grande problema anche per le organizzazioni cittadine, e ce ne sono di parecchio valide, che si trovano a non avere dei posti dove poter fare le loro serate, da un giorno all’altro si ritrovano senza venue. E quando devi cercare qualcos’altro, sappiamo bene quanto è difficile e quanti sono gli scogli pratici e burocratici che devi superare… Chi ha un club fisso, dove si trova bene e dove è accolto bene, è molto fortunato.
Fra le varie realtà cittadine c’è collaborazione?
Per quanto mi riguarda, Tropical Animals è sempre stato apertissimo a collaborare con altri. Proprio ora, con una serie di organizzazioni piccole ma agguerrite, che sono legate prima di tutto alla qualità della proposta musicale o solo in un secondo momento (o non si pongono proprio il problema) al business, stiamo provando a creare un “cartello”, un collettivo, qualcosa che ci permette di muoversi e di sostenerci a vicenda. E’ un po’ più difficile il rapporto con le organizzazioni o i club più grande e consolidati, ma li capisco, nel loro caso portare nuove persone a bordo anche solo come collaborazione può andare a scompaginare equilibri delicati e consolidati. Però sono profondamente convinto che ci voglia una presa di coscienza collettiva e un cambio di mentalità, altrimenti rischiamo tutti di farci del male. Anche chi pensa di poter restare al sicuro stando chiuso nel suo fortino a coltivare il suo orto.
E’ giusto dire che Tropical Animals non ha mai voluto crescere troppo, restando una serata relativamente piccola?
E’ giusto. E’ stata una nostra precisa scelta. Quello che abbiamo sempre cercato di fare è stare nel nostro, valorizzare il più possibile le nostre scelte e le nostre attitudini. Alcune organizzazioni hanno voluto fare il salto, e per questo si sono trovate ad affrontare momenti duri e grandi difficoltà, difficoltà che sono riuscite ad assorbire solo col tempo. Scelta, la loro, che ovviamente rispetto. Solo che non è la nostra. Noi crediamo nel “clubbing” nel senso più autentico del termine, crediamo nell’appuntamento settimanale, continuativo, crediamo nella “casa”. Una cosa bellissima di quanto entro a Tropical Animals è che conosco di persona almeno il 50% dei presenti.
Non è poco, considerando che Tropical Animals è piccolo ma non piccolissimo, parliamo di 300/400 persone.
Esiste una comunità di amanti della club culture, e va alimentata non solo a Firenze ma in tutta Italia. E’ stato significativo quello che abbiamo fatto alla Manifattura Tabacchi qualche settimana fa: nell’immaginario collettivo, nel mondo “normale”, la techno-e-dintorni è visto come un mondo oscuro, pericoloso, fatto di gente che si strafà, che beve troppo, che magari fa pure risse. Ma il clubbing, quando è fatto bene, mette completamente in ombra tutti questi aspetti. Non solo: può anche essere un “motore” per produrre con successo iniziative dal risvolto nobile e benefico, come nel caso del nostro evento alla Manifattura di inizio stagione, con i proventi che sono stati devoluti alla Fondazione dell’Ospedale Pediatrico Meyer.
Ma saranno stati contenti anche loro, quelli del Meyer, perché finalmente hanno visto un evento benefico non con i soliti ospiti, non con la solita Fiorella Mannoia o cose così…
Sai, con loro è andata in maniera molto strana. Li ho contattati, li ho incontrati, gli ho spiegato il tutto e, in qualche maniera, più che essere convinti al centro per cento diciamo che non sono riusciti a dirmi di no. Ma questo non perché io sia particolarmente bravo o brillante: no, le cose anche nel nostro mondo sono cambiate e continuano a cambiare in meglio, ci sono in sacco di risvolti ed energie positive, di messaggi sempre più interessanti e profondi, e noi dobbiamo essere bravi abbastanza da cavalcare quest’onda valorizzando nel modo migliore quello che facciamo. Ora si può fare.