Grandmaster Flash è uno stronzo.
Uno stronzo che si è conquistato il diritto di essere stronzo.
L’elenco dei suoi meriti è talmente lungo che a elencarli tutti si rischia di fare notte: ha rivoluzionato l’arte del djing, cambiato l’hip hop, messo la firma su quella che è a tutti gli effetti la prima canzone veramente conscious della storia del rap, dato vita ai Furious 5 (e basta guardare una loro foto d’epoca per capire quanto fossero avanti in tutto, vestiti compresi), ed è stato anche tra i primi a organizzare serate in cui il rap, la disco-music e il soul venivano miscelati con il pop, il punk e il rap. Uno che ha preso due mondi distanti e li ha messi insieme.
Uno che quando ha deciso di raccontare la sua storia l’ha fatto davvero in grande stile, affidandosi alla fantasia di Baz Luhrmann. E quella storia, poi, è diventata “The Get Down”, la serie Netflix di cui è appena uscita la seconda stagione. Un vero e proprio blockbuster, che ha raccolto consensi in tutto il mondo. Italia compresa.
L’abbiamo incontrato a Torino il giorno dopo la sua partecipazione al Jazz: Re: Found Festival mentre sorseggiava una spremuta d’arancia, sulla testa l’ormai iconico cappellino con il suo logo: la lettera G, la M, e il simbolo di un fulmine. È una leggenda, ma è anche un brand.
E ne è consapevole.
È anche uno, ed è piuttosto risaputo, che ama mettere in difficoltà quelli che si interfacciano con lui. Uno che il peso della sua importanza vuole fartelo sentire in ogni momento.
Me ne accorgo a mie spese quando, per rompere il ghiaccio, provo a fargli i complimenti per quello che è successo la sera prima.
“È stata una grande festa, la gente era davvero presa bene”, dico e non faccio in tempo a finire la frase che si lamenta perché non l’ho guardato fisso negli occhi quando ci hanno presentato, poi fa un gesto con la mano come a dire: “Non me ne frega un cazzo di queste stronzate, accendi il registratore”. E io lo accendo.
Grazie alla prima stagione di “The Get Down” e al documentario “The Hip Hop Evolution”, il tema delle origini dell’hip hop è tornato al centro delle cronache. Per te poi la questione è ancora più particolare, visto che hai visto la tua vicenda personale trasformarsi in finzione e…
Come ti permetti?
Di fare cosa?
Di mancarmi di rispetto in questo modo atroce. Chi ti credi di essere?
Non credo di essere niente, non volevo mancarti di rispetto, anzi per me era int…
Se dici che ‘The Get Down’ è finzione mi stai mancando di rispetto.
Quella è la mia storia. E la mia storia è vera. Reale. C’è il mio sangue là dentro, la mia vita, quella dei miei genitori, dei miei amici, come puoi pensare che sia finta?
Ma non lo penso infatti! Non ti sto accusando di niente. Credo solo che quando una storia vera viene trasformata in un film finisce per forza di cose per diventare un’opera di fantasia.
Anche perché è sì la tua storia, ma è filtrata dallo sguardo di Baz Luhrmann…
Man, lo sguardo è mio, quello sono io!
Ma c’è un attore che ti interpreta e lo stesso Luhrmann ha scelto di rappresentare il tutto come se fosse una fiaba, l’ha anche dichiarato più volte. Il suo intento non è documentaristico, non è un cinema-verità sulla nascita dell’hip hop. È una favola.
Io ho chiamato Baz, l’ho fatto mettere seduto e gli ho raccontato la mia storia, per come l’ho vissuta io e per come la ricordo io. So che qualcuno ha voluto ricamarci su, che è stata fatta della polemica, e tu sei disonesto perché ti siedi qui con la tua bella faccia e subito tiri fuori certe storie…
Non è quello che ho fatto, io volevo sapere cosa hai provato a vederti sullo schermo, a vedere la tua vita diventare quella di un personaggio…
Basta, non voglio più parlare di questa cosa, cazzo. Te la faccio io una domanda, man: Tu lo sai come è nato l’hip hop?
Beh, sì…
No, tu non sai un cazzo. E vuoi sapere perché? Perché non c’eri. Non sei del Bronx. Sei un maschio bianco italiano, privilegiato, che pensa di sapere tutto e mi manca di rispetto. E allora, forza, dimmi come è nato l’hip hop?
Sei tu che devi dirlo a me…
No, amico. Ora sono io che intervisto te. Qual è stato il mio contributo a questa faccenda dell’hip hop. Che cosa ho fatto io?
Tu hai cambiato…
Io non ho cambiato. Io ho inventato. Ed è questo quello che mi rattrista di voi giornalisti: dopo tutti questi anni ancora date retta a quelli che vogliono diminuire i miei meriti.
Per questo ho scelto di raccontarmi a Baz. Lui è un’artista, non è uno di voi.
Vuoi sapere come è nato l’hip hop? Allora ascoltami bene: io vengo da un’altra epoca, un’epoca in cui l’hip hop si faceva solo col giradischi. Non c’era lo studio di registrazione, non c’erano le drum machine e neanche i campionatori. L’unico strumento erano i dischi.
Dischi di qualsiasi genere: pop, rock, jazz, soul, alternative e caraibici. Quello che ho fatto io è prendere un pennarello e segnare sul vinile quei momenti delle canzoni dove il break della batteria era isolato dal resto. La rivoluzione è stata cominciare a suonare due copie dello stesso disco, su due piatti, nello stesso istante, usando le dita per fare avanti e indietro e allungare break di venti e trenta secondi fino a farli durare anche dieci minuti. Io ho preso i dischi e li ho usati come se fossero dei controller e senza questo non sarebbe mai esistito l’hip hop. O il rap. O lo scratch. O il cutting.
Baz tutto questo lo sapeva al dettaglio, non gliel’ho dovuto spiegare.
Lui è venuto da me con un’idea ben precisa: quella di dare il giusto riconoscimento a noi che abbiamo fatto così tanto e abbiamo raccolto così poco.
Tutto quello che c’è in ‘The Get Down’ è vero. È vera la storia del pennarello, sono veri i block party, tutto vero. Non è fiction. Vuoi sapere cosa mi fa incazzare?
Che cosa?
Senza il beat non sarebbe mai esistito l’hip hop, senza l’hip hop non sarebbe mai esistito il rap, ma spesso ci si dimentica di noi che abbiamo inventato tutto dieci anni prima che questo diventasse un business. Prima dei singoli di successo, delle hit. Prima dei soldi.
E ora che l’hip hop è ovunque ed è diventato una parte fondamentale del pop, non si parla più della sua storia. I ragazzini lo ascoltano senza sapere da dove viene.
Si omaggiano di continuo i padri del rock e della cultura rock, ma il come e il perché l’hip hop sia nato si tende a dimenticarselo. Per questo mi incazzo se pensi che una serie televisiva possa trasformare una storia che per me è così reale e importante in ‘finzione’.
Non è finzione. È verità. Lo spirito che vedi in ‘The Get Down’ è esattamente lo stesso spirito che animava i nostri party degli anni ’70.
Lo stesso spirito che cerchi di far rivivere ogni volta che metti i dischi, mi pare di aver capito. Ieri hai suonato di tutto, proprio come accadeva in quei famosi block party.
Esatto. E lo sai perché? Sono io oggi che intervisto te, ricordatelo.
Quindi, rispondimi: da dove arriva tutto quello che senti nei dischi hip hop?
Da quello che c’era prima. Dal funk, dal jazz, dal soul, ma anche dal rock. Tutto può essere rielaborato e diventare hip hop.
E quando è nato questo modo di intendere la musica mischiando tutti i generi possibili e trasformarli in un’altra cosa? Te lo dico io: negli anni ’70. Alle nostre feste.
L’hip hop è diventato quello che è diventato proprio perché ha le sue fondamenta in alcuni dei più grandi dischi della storia della musica. Dischi suonati dai più grandi musicisti, prodotti dai migliori produttori e registrati negli studi più incredibili che si potessero immaginare all’epoca.
E quando mi trovo a suonare per la gente quello che voglio fare è guidarli attraverso tutti questi generi e ricordargli da dove viene quello che gli piace ballare. Perché senza il jazz non ci sarebbe stato il funk, e senza il funk non ci sarebbe stata la disco, il pop, e il rock e tutto quello che vuoi.
Però al tempo stesso ti piace anche restare aggiornato e suonare anche cose nuove.
Certo che sì, ma con esattamente lo stesso approccio che avevo quando ho cominciato.
Alla fine sono sempre alla ricerca di quel break di batteria capace di fare impazzire la gente e scatenare l’energia sulla pista. Ma comunque, anche quando suono cose nuove, lo faccio come in una sorta di percorso che parte dalla radici e arriva in posti dove ancora non siamo stati.
Per me è importante ricordare alla gente che l’hip hop è nato dalla musica.
Il rap non c’era ancora. Il rap è stata la cosa che ha preso una roba pura e l’ha trasformata in un business. Ma è tutto collegato: l’arte del djing, i graffiti, il ballo.
Il rap non è l’elemento principale, ma solo uno degli elementi e questo sembra se lo siano scordato tutti.
So che per un periodo hai anche suonato EDM…
Sì, ma poi ho smesso.
Posso chiederti perché?
Ho provato, ma per molti versi non stava bene con il resto della musica che metto e alla fine sono davvero felice di quello che sto facendo ora, del modo in cui sto suonando e delle cose che sto suonando. Mi piacerebbe però trovare il modo di far convivere il funk con l’EDM.
La cosa interessante è che l’EDM ha preso i dj e li ha trasformati in superstar da stadio.
E in un certo senso i primi dj a essere stati considerati alla stregua delle rockstar siete proprio voi pionieri, come se ci fosse un legame tra queste due realtà che invece sono quasi opposte.
Non solo. Io credo che l’EDM sia il genere musicale che meglio di tutti ha incanalato proprio lo spirito dell’hip hop delle origini e l’ha trasportato in un’altra dimensione.
Alla fine il fulcro di tutto è sempre il break, e la filosofia che sta dietro al drop è esattamente la stessa che avevamo noi quando trovavamo il break perfetto. E poi mi piace il modo in cui lavorano in studio, il fatto che certe produzioni abbiano un suono davvero enorme. Sembra proprio roba pensata per mandare fuori di testa una folla di decine di migliaia di persone.
Mi è capitato di suonare in qualche festival insieme a gente tipo Tiesto e non c’è niente da fare, lui ha un modo di tenere in pugno il pubblico che è impossibile non ammirare.
Riesce a creare un’energia che arriva senza filtri anche alle persone che stanno ballando, per poi far esplodere tutto proprio col drop.
Prima hai nominato più volte il Bronx e quanto il tuo quartiere sia stato importante, non solo per la tua vita privata. Cosa pensi di New York ora? Sei ancora lì? La città è profondamente mutata nel tempo…
Vivo ancora a New York, ma non più intensamente come prima. È solo uno dei tre posti dove ho una casa e quando non sono in giro per il mondo a far ballare la gente, tutto quello che faccio è stare con la mia famiglia, o in studio. Per cui non posso rispondere a una domanda del genere, non so proprio cosa dire, però se mi dai la possibilità vorrei aggiungere una cosa. Posso?
Vai…
Io sono molto felice che il vinile sia tornato di moda. E che ci sia gente che passa i giorni a cercare nei dischi vecchi, anche molto oscuri, roba da campionare o suonare, esattamente come facevamo noi all’epoca. Però mi scoccia che quando vado in giro a fare il dj alla fine finisce sempre che mi chiedono perché non suono i vinili. E io vorrei che si capisse che se i promoter investissero qualche soldo in più tutto questo si potrebbe anche fare. Ma non è possibile: per suonare come suono io dovrei portarmi per ogni data almeno trenta scatole piene di dischi e non avrei neanche lo spazio per metterle in consolle e consultarle velocemente. È una follia, ma sembra che ci sia questa ossessione nei miei confronti, è come se la gente fosse delusa dal fatto che non utilizzo i vinili. Potendolo fare, lo farei molto volentieri, ma insomma il mondo è pieno di bravissimi dj che utilizzano software e nessuno si prende male per questo.
Ti piace ancora andare nei club a sentire gente che mette i dischi? C’è qualche dj che ti piace?
Ce ne sono molti, ma sì. Se posso andare a sentire qualcuno, stai certo che ci vado. Il mio lavoro è anche questo. Anche se alla fine sono sempre in viaggio.
E per quanto riguarda l’hip hop? Cosa pensi del ruolo del dj nell’hip hop moderno?
Esistono ancora i dj hip hop? Molte superstar ormai vanno sul palco direttamente senza gente che manda le basi, figuriamoci i dj. Io sono molto attratto da quello che sta succedendo, anche se torniamo al discorso di prima: non riesco a non vedere a tutto questo come un’incredibile mancanza di rispetto. È davvero triste.
L’hip hop è nato dai dj. E ora l’unica figura superflua dell’hip hop è proprio la nostra.
Che tristezza!
Con l’arrivo della seconda serie di “The Get Down” si sono riaccese le voci su una possibile reunion di Grandmaster Flash & The Furious 5.
Che ricordo hai degli anni col gruppo?
D’altronde, anche per quanto riguarda il look, avete influenzato davvero chiunque…
Non ho voglia di parlare del gruppo. Chiudiamola qui.