La notizia si è sparsa ieri, nella giornata di domenica; ma era già da sabato sera che quella splendida persona che è Bruno Pompa non era più in fisico con noi. Vera ironia della sorte, andarsene proprio nella giornata deputata per eccellenza al divertimento, all’uscire fuori, al trovare se stessi su un dancefloor… Un’ironia sinceramente del cazzo, scusate il termine volgare: ma ecco, sapere che non ci sarà più il suo sorriso gentile, la sua educazione sopraffina e il suo esprimersi acuto (ed anche notevolmente tagliente e provocatorio, quando necessario) è veramente un’amarezza. Sì. Ed un’ingiustizia. Troppo giovane per andarsene, per una malattia che già da tempo non lo lasciava stare e gli impediva di fare al meglio quello che ha fatto per un mare di tempo – rendere più bella la vita delle persone, rendere più civile, divertita e luminosa la vita delle persone.
La sua figura merita di essere raccontata, per chi non lo conoscesse: in primo luogo è stato per anni, 2002-2015, il direttore artistico del Cassero a Bologna (che lo ricorda così). No, il Cassero non è un club o una discoteca; e no, non è un centro sociale. E’ stato ed è molto di più: un centro culturale, un caposaldo fisico di assistenza e tutela sociale, culturale, legale; un autentico bastione di civiltà e di difesa dei diritti in un’Italia che invece troppo e troppo a lungo (e purtroppo ancora oggi…) è indietro nel rendersi conto dell’ovvio: ovvero che qualsiasi forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale è nei casi più soft una scemenza, nei casi peggiori un crimine contro l’umanità e la decenza (sì: “decenza”, avete letto bene, proprio la parola che viene utilizzata dai peggio cavernicoli o cinici come una clava per togliere diritti che dovrebbero essere ovvi ed acquisiti, ma la vera indecenza è proprio discriminare gli esseri umani per principio a seconda dei loro comportamenti affettivi. Chi lo fa, è un mezzo uomo ed è corrotto dentro).
Non è facile confrontarsi con la diversità. Questo vale per tutti. Vale anche per le comunità oppresse e discriminate, che rischiano – ed è comprensibile – di chiudersi in una torre ostile, autoriferita ed isolazionista. Per fortuna però ogni tanto avvengono, per un allineamento di pianeti e di belle persone, momenti che gettano dei ponti, creano comunicazione, condividono emozioni cercando di abbattere ogni forma di steccato e di pregiudizio. L’aprire le serate del Cassero ad un pubblico a trecentosessanta gradi, non quindi solo alle comunità LGBT, è stata una rivoluzione ed è ciò per cui Bruno Pompa ha lottato ed ha operato magistralmente, con coraggio e strategia. Ha dovuto superare pregiudizi, ostilità, dubbi (da entrambe le parti); e nemmeno usare il linguaggio della club culture più internazionale, cosmopolita ed al tempo stesso non-commerciale è stata una scelta facile come potrebbe sembrare ed esserlo adesso.
C’era infatti, tra le realtà socialmente impegnate, ancora molto pregiudizio contro il dancefloor, la house, la techno, il divertimento edonista permeato di di club culture (il disimpegno e il ballo come “stupidera”, come disimpegno para-qualunquista, para-fascista); e c’era al tempo stesso da parte dei clubber troppa superficialità nel rendersi conto che techno e house così come li conosciamo ed amiamo hanno dannatamente bisogno delle comunità omosessuali, della diversità, della libertà d’espressione, della consapevolezza che troppe cose nel mondo ancora non vanno bene, non sono civilmente accettabili (…c’è tuttora, questa superficialità?).
Insomma: quando Bruno Pompa ha deciso di rendere il Cassero non solo torre d’avorio e luogo di pratica socio-politica come è stato fin dalle sue origini ma anche un luogo aperto a tutti, gioioso, inclusivo, capace di stare sul mercato cercando di non perdere l’anima, si è preso un bel rischio. E si è preso pure un bel po’ di scetticismi. Ma la sua cultura, la sua conoscenza, la sua umanità è riuscita a creare alla fin fine le condizioni giuste, naturalmente giuste, per far funzionare questa idea, questa concretissima utopia esercitata sul campo.
Non era un bonaccione o un ingenuo utopista, Bruno: lo fosse stato, non sarebbe mai riuscito a fare ed ottenere tanto. Era una persona molto intelligente, quello parecchio: molto compìta ed educata, ma al tempo stesso con la capacità di tagliarti a mo’ di raggio laser in due con una frase, un’osservazione, una stilettata sarcastica. Era garbatissimo e gentile nel modo di fare, ma se si metteva in testa un’azione o un’idea o una critica non mollava di un millimetro. In questo modo è riuscito a farsi rispettare ed ammirare dagli ambienti più diversi, ed è riuscito a farsi accettare anche da chi non era convintissimo delle sue idee e del modo che aveva scelto per svilupparle. Sotto la sua direzione artistica, il Cassero – tolte alcune proverbiali rudezze all’entrata, ma niente è perfetto – è saputo essere un posto meraviglioso pieno di vibrazioni positive e di consapevolezza artistica internazionale, con nomi di grido ad alternarsi in console, uscendo da tutte le macchiette e da tutti i luoghi comuni possibili per offrire invece la dimostrazione che la qualità e la conoscenza sono per tutti, sono di tutti, e sono un’arma potente contro i pregiudizi. Un esempio europeo. Non a caso, anche gente come Ellen Alien e Dj Hell faceva carte false per venirci a suonare, come racconta in questo bellissimo ricordo Zero.
E’ banale dire: se ne va troppo presto, Bruno Pompa. Ma è maledettamente vero. E’ banale dire che ci mancherà; ma accidenti se c’è bisogno di gente del suo spessore oggi. Serissimo ma senza mai prendersi troppo sul serio, preparatissimo ma senza farlo pesare, acuto ma mai distruttivo, critico ma sempre pronto ad ascoltare e a gettare ponti. Bologna e in generale tutto il clubbing italiano non potranno più contare su una persona di enorme valore, e di bellissima attitudine.