Quando nel 2011 uscì “A Walk” estratto da “Dive”, primo LP della trilogia di Scott Hanse aka Tycho, non nego di essermi quasi commossa. Premevo le cuffie alle orecchie, quello splendido esempio di estetica acustica colorata da synth spugnosi e ovattati mi aveva fatto spalancare gli occhi: ingenuamente, già al terzo minuto e trentacinque della prima traccia, urlavo al miracolo, sbagliando certo. “Dive” (ne abbiamo parlato proprio qualche tempo fa) non aveva rispettato le mie aspettative: precisiamo, non ero delusa, ma solo confusa. L’hype era cresciuto durante le dieci tracce del disco, ma era anche velocemente sceso. Hanse aveva alzato l’asticella, ma quella non era rimasta in piedi (proprio nella sua intervista sulle nostre pagine ci spiega com’è nato “Dive”). Certo non era giusto fargliene una colpa, era il primo lavoro e dimostrava di covare uno dei migliori talenti degli anni dieci. E nel 2014 è uscito “Awake”.
“Awake” è la seconda parte della trilogia. Tycho dichiara di aver impiegato ben tre anni nella produzione di questo piccolo capolavoro: le otto tracce dell’album sono composte da una sfumatura dopo l’altra, un crescendo di tensione onirica che risplende finalmente in brani come la title track “Awake” a cui non si può davvero rifiutare un encomio. Presente nella maggior parte delle mie playlist non riesce a stufare l’ascoltatore, un trip tridimensionale che sembra formarsi proprio di fronte ai nostri occhi mentre la ascoltiamo. Ed era il 2014.
Cosa ne penso dunque di “Epoch”?
L’ultimo capitolo della trilogia è stato rilasciato streaming il 30 settembre, e per come lo interpreta Hanse rappresenta una sorta di arrivo, una sintesi delle puntate precedenti di ciò che Tycho, in questa decade, è riuscito a realizzare.
I suoni sono architettonicamente più decisi, anche se trattengono quel retrogusto ovattato, quel suono quasi marino che senti venire dalla superficie quando nuoti. Eppure “Epoch” è molto diverso dai due album precedenti: devi ascoltarlo nel momento giusto e pazientare, perché sono undici tracce che non scorrono veloci e leggere, le devi proprio digerire.
È un lavoro maledettamente complesso ma pulito: “Horizon”, la seconda traccia, si articola a spirale mostrando una miriade di sfumature diverse, e dopo il primo minuto e trentacinque secondi parte una di quelle sequenze che fanno sorridere ed annuire: sì, sta andando bene.
Si sente subito la differenza: Hansen ha abbandonato quella dolcezza di fondo che caratterizzava “Dive” e “Awake”, qui cambia tutto, cambiano i colori, i suoni si fanno più cupi, e le linee più calde. “Epoch”, la title track, si anima, diventa viva, palpita e cresce, la sua complessità rispecchia particolarmente la caleidoscopica schizofrenia di Bonobo in pezzi come “Flashlight”, con quei bassi pesanti e quella miriade di sfaccettature di suoni e colori.
Confonde perché è un lavoro complicato ma terribilmente pulito e nitido rispetto agli LP precedenti, ricchissimo di dettagli (cifra stilistica di Tycho alla fin fine), e da ascolto (consigliato) con cuffie isolanti che dilatino suono e tempo. Se l’obbiettivo dell’ascolto è quello di perdersi in labirinti di suoni frastagliati, sicuramente “Epoch” è il disco giusto.
Sì, ma ora che la trilogia è finita? Vabbe’, per adesso si continuerà a schiacciare play.