Uno dei nomi più interessanti emersi negli ultimi anni. Lo è perché il suo ultimo lavoro, “Awake”, è nel suo piccolo delizioso; lo è perché l’etichetta da cui arriva, la Ghostly, pare come il buon vino, senza subire trasformazioni particolari migliora con gli anni; lo è perché la sua unica apparizione italiana nel 2014 ad oggi, a Milano al Tunnel per la serata Le Cannibale, è stata contrassegnata da un sold out roboante, con centinaia di persone in coda per accaparrarsi ad apertura porte gli ultimi biglietti rimasti. Scene non viste per nomi apparentemente anche molto più altisonanti. Abbiamo approfittato proprio di questa sua sortita milanese per una bella chiacchierata: Scott Hansen si è raccontato un po’, e dalle sue parole traspaiono prima di tutto semplicità, umiltà, autoironia. Sempre bello incontrare artisti così.
Beh, dai: ‘sta cosa del fare musica sta diventando un’attività seria, no? Ormai non sei più ISO50, il tuo alias da grafico e fotografo; per tutti Scott Hansen è sempre più solo e semplicemente Tycho, il musicista, l’autore di “Awake” ora e di “Dive” prima, quello sotto contratto per la Ghostly International, eccetera eccetera… Non era così, fino a qualche anno fa. I ruoli si sono invertiti.
Che dirti… Da un lato le reazioni che sta suscitando “Awake” mi stanno sorprendendo davvero, forti e positive come sono. Però poi mi dico anche: c’ho lavorato sopra per quattro anni, mi ci sono impegnato, a qualcosa sarà servito, no? E aggiungo: ho creato un team bellissimo, perché se Tycho è una mia creatura è anche vero che il contributo di Zac Brown e Rory O’Connor, che ormai mi accompagnano regolarmente anche nei live, è fondamentale. Mi hanno aiutato moltissimo ad imparare a trasporre in musica la mia visione artistica. Perché un conto è pensarle, le cose, un conto è saperle riprodurre davvero. Però ecco, resta il fatto che una reazione così positiva come quella che sto riscontrando con questo album va oltre ogni previsione: il suo predecessore, “Dive”, aveva avuto successo, sì, ma in un contesto di nicchia, molto underground – aveva il suo circuito di amatori, e andava benissimo così. Ora invece sto raggiungendo pubblici che non pensavo di raggiungere.
Come definiresti la differenza tra “Dive” e “Awake”?
Mmmmh, parlerei di “evoluzione incrementale”. “Dive” era il mio primo tentativo di release discografica nel formato della lunga durata, e comunque è uscito in anni in cui dovevo ancora imparare davvero a fare musica: sai, io ad essa mi sono avvicinato piuttosto tardi, non prima dei ventuno, ventidue anni, e comunque per moltissimo tempo – come dicevi anche tu prima – il mio focus principale era sul design. Il risultato è che “Dive” è una specie di raccolta di esperimenti che ho fatto negli anni, una raccolta quasi casuale. “Awake” invece è ben altro: tre anni per farlo, e di questo tempo almeno otto mesi sono stati dedicati interamente ad esso. Interamente. Il risultato è un lavoro molto più coeso, ragionato, più incisivo. Cosa che mi dà molto sollievo: finalmente sento di essere riuscito a rendere pienamente la “visione artistica” di Tycho… Cosa che prima non era riuscito a fare: perché non ero abbastanza bravo, non ero cioè abbastanza preparato tecnicamente, come producer
Molto umile, da parte tua.
Non so se è umile, ma è così! Finalmente non sento più il gap tra quello che sento, penso ed immagino e quello che riesco realmente a fare. E’ una sensazione davvero eccitante.
Posso capire che non ti aspettassi tanti feedback attorno ad “Awake”, ma una volta che essi ti sono arrivati ti sei provato a chiedere da dove arrivano? Perché la tua musica ha conquistato così tante persone?
Mettiamola così: la mia prima regola è cercare di fare musica che piaccia soprattutto a me. Non mi pongo il problema se può piacere o meno ad altri. Però poi, alla fine degli show o anche coi carteggi via internet, perché a me piace confrontarmi con chi mi ascolta, scopro che chi mi apprezza musicalmente in qualche modo mi “assomiglia”, questo è il punto: gusti simili, interessi simili, approcci simili. Mi fa poi molto piacere che per molti la mia musica sia in qualche modo “emozionale”, sia considerata una colonna sonora perfetta per quando si fanno emozioni abbastanza profonde… questo me l’hanno detto in tanti… Ma attenzione, c’è anche chi ha detto che la mia musica è perfetta per prender sonno! E lo intendeva come un complimento! Almeno credo.
Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali più importanti?
Un nome secco: Boards Of Canada. Sono loro che mi hanno aperto la mente. Prima ero uno tutto preso dalla drum’n’bass, Roni Size, LTJ Bukem… queste cose qui…
Ma dai, super-appassionato di drum’n’bass negli Stati Uniti? Eri decisamente un’eccezione.
No no, nella mia zona c’era una nicchia di appassionati piuttosto agguerrita. Ridotta, ma molto convinta. Però ecco, un giorno mi è capitata tra le mani “Boc Maxima”, una delle primissime cose dei Boards Of Canada, precedente ancora alle loro uscite su Warp, e la vita mi è cambiata. Improvvisamente ho sentito che l’elettronica si poteva fare anche usando chitarre, batterie vere, dando un respiro molto “umano” ed organico al tutto. Tutto questo mi ha aperto la mente non immagini quanto. Mi sono accorto che poteva esistere una musica ancora più vicina al mio cuore, immettendo degli elementi in più nell’elettronica, degli elementi diversi rispetto a quelli che ero abituato a conoscere ed ascoltare. Figurati poi che “Awake”, di suo, risente moltissime di influenze indie rock di band come Bloc Party, Interpol… tanto per complicare le cose…
…beh sì, una traccia come “Spectre” secondo me deve abbastanza agli Interpol e soprattutto ad un certo tipo di new wave, basta sentire come suona la parte ritmica, la batteria.
Eh, perché finalmente ho imparato a farla suonare! Era ora! (risate, NdI)
La musica dei Boards OF Canada è molto “fratturata”, destrutturata, tu invece sei molto più geometrico. Così come geometrici, puliti ed essenziali sono i tuoi lavori da grafico e fotografo. E’ una casualità, questo parallelismo?
Non lo è. In effetti i miei campi di lavoro creativi sono diversi, ma come approccio ed attitudine siamo sempre lì, è come se fosse un tutt’uno. Le suggestioni alla base sono le stesse. Poi, sia chiaro, Tycho è un progetto eminentemente musicale, non è un progetto audio/video; che poi dal vivo dispieghi al massimo le sue potenzialità grazie all’intervento dei visuals è vero, ma la musica arriva comunque sempre al primo posto, come importanza.
Come si inserisce Tycho nei perimetri del catalogo Ghostly? Ci rientra dentro perfettamente?
Perfettamente forse no. Il grosso delle robe Ghostly credo sia più scuro, più cupo, più detroitiano… Di tutti gli artisti in roster, io credo di essere uno di quelli più “chiari” come atmosfere. Forse solo Com Truise è riconducibile a me.
Non è un caso che live condividiate lo stesso batterista.
Esatto, Rory O’Connor. Comunque ecco, probabilmente noi stiamo alla periferia estrema, stilisticamente parlando, del catalogo Ghostly. Però vi rientriamo. Sono molto contento di fare parte di questa label.
Senti, come mai non ti sei ancora trasferito a Berlino? Tutti lo fanno, anche un po’ di artisti Ghostly, tanto per dire…
Trasferirmi a Berlino? Oh no, mai! Ma non perché abbia qualcosa contro Berlino, ma perché sto tanto bene dove sto, sono tanto legato ai miei luoghi. Sai, in tutta la mia vita non mi sono mai mosso a più di centoventi chilometri di distanza da dove sono nato. Ho perlopiù alternato Sacramento e San Francisco.
Peraltro, si dice che San Francisco sia una città molto vivace.
Se lo è, non me ne sono accorto! Sacramento era molto vivace, quello sì, tra il 1999 e il 2004. Lì c’era davvero un sacco di scena, molte situazioni nuove e stimolanti. Dopodiché mi sono trasferito a San Francisco perdendo un po’ di vista tutto e tutti, e nella mia stessa nuova città non mi pareva ci fosse niente di che. Forse ero e sono semplicemente io che vivo isolato. Quello che vedo, a San Francisco, è che la speculazione edilizia sta facendo esplodere i prezzi degli affitti: moltissimi miei amici sono andati via, preferendo stare in posti più abbordabili come Oakland.
Tu riesci a resistere.
E’ che la amo veramente tanto, come città.
Hai mai pensato di collaborare con una presenza vocale importante, nei tuoi pezzi? Un mc, un vocalist di quelli importanti e carismatici…
C’ho pensato qua e là, a tempo perso, ma mai più di tanto. Non mi è mai successo, ma non è una cosa che al momento mi manca. E non voglio insistere con me stesso per farla accadere: credo che una delle doti migliori della mia musica sia la spontaneità e la naturalezza – ai limiti dell’ingenuità – con cui essa viene fatta. Non vorrei spezzare questo meccanismo virtuoso, ragionando troppo a tavolino. Non sono pregiudizialmente contrario alle voci: ad esempio mi sono molto divertito a remixare Yukimi Nagano, la cantante dei Little Dragon. Però sì, una figura come la sua non ce la vedrei molto bene dentro la musica di Tycho… una musica che continuo a vedere soprattutto come strumentale. Poi magari fra sei mesi cambio idea, eh, non lo escludo.
Hai messo in conto la possibilità di dare vita ad un altro alias artistico? Matthew Dear ad esempio ha creato Audion, giusto per farti capire cosa intendo.
Non credo. Tycho mi porta già via tutto il tempo e tutte le idee, almeno per adesso. Ci metto molto a comporre anche solo una singola traccia.
Di solito come lavori all’inizio? Parti dal pentagramma?
Cosa intendi?
Incominci a buttare giù le note su un pentagramma o…
Nooo, macché! Figurati: io sono un totale ignorante, se parliamo di notazioni, pentagrammi, chiavi, accordi! Non ho la benché minima forma di educazione musicale in senso classico. Procedo a tentoni. A caso. In qualche strano modo, più o meno pare funzionare.
Funziona, funziona, fidati. E infatti mi sorprende un po’ sentirti dire questo, la tua musica con le sue significative parti di basso e chitarra pare molto “scritta”, non improvvisata e men che meno generata da software.
Nella band, anche Zac è come me ma almeno lui si è sforzato di imparare l’abc: lui può avere ora una conversazione da pari a pari con altri musicisti, io no. Per non parlare di uno dei miei migliori amici, Christopher Willits, uno che la musica e la tecnica strumentale la insegna (anche lui su Ghostly, NdR). Ogni tanto ci capita di avere delle conversazioni tecniche sulla musica e quando lui dice cose tipo “No, perché forse cambiando tonalità…” io lo guardo e gli rispondo più o meno “Eh? Devo premere il tasto bianco o quello nero, sulla tastiera? Aiuto, che devo fare?”… sono proprio un disastro.