Alla fine l’imponente e senza precedenti mobilitazione targata “L’ultimo concerto?” di cui vi parlavamo c’è stata ieri, ed ha avuto un esisto che in pochi si aspettavano. Anzi: a giudicare dalle reazioni, quasi nessuno. Quasi tutti sono stati colti sinceramente di sorpresa. Ecco, forse una prima cosa interessante cosa da dire è che è bello si possano ancora mantenere dei segreti operativi, non è che tutti devono sapere tutto di tutto per forza (…un po’ l’effetto-Liberato: la sua identità continua ancora a restare segreta pubblicamente, e sì che ormai sono in tanti che un po’ sanno come sono messe le cose. Ed è molto bello sia così). Internet ha reso tutti un po’ esperti ed ha reso tutti un po’ dietrologi, ma esistono ancora dei “livelli di conoscenza” che cambiano di grado ed incidono nella realtà. Bene così: sennò saremmo già tutti tecnici della nazionale di calcio.
Ad ogni modo: ieri c’era chi si era pianificato un sabato sera a seguire in streaming un concerto del suo cantante preferito o della band del suo cuore (contando su una vasta scelta: circa 130 concerti in contemporanea da 130 club), quella che ha avuto invece non è stata la musica ma è stato solo questo cartello:
Le reazioni sono state tante, fra chi aveva seguito la cosa lì in diretta, ed ancora più nelle reazioni successive. E molto contrastate come reazioni, per usare un eufemismo. Il colpo di scena, che qualcuno ha derubricato spregiativamente a “trollata”, non ha infatti per niente messo tutti d’accordo. Anzi, ha fatto emergere in maniera perfino inattesa un animo del pubblico – pubblico lo ricordiamo in teoria fan dei protagonisti di molta scena musicale (ex) indipendente ed (ex) alternativa e (spesso) “nuova” – davvero sorprendente. Non un fenomeno residuale questa reazione, ma quasi quella predominante. Controllate sul web. Con all’improvviso rabbia e fastidio che si riversano contro gli artisti “amati” (e che si voleva seguire via streaming in questo concerto “di protesta”): robe come “Ci avete truffato”, “Ci avete preso in giro”, “Vergognatevi”, “Ho passato tutto il giorno ad aspettare di stare bene col vostro concerto e voi ci tradite così”. E’ passato tra molti il messaggio: avete sbagliato completamente protesta, perché invece di andare allo scontro con Franceschini e con le istituzioni che vi snobbano, avete fatto un danno proprio al pubblico che vi sostiene, avete fatto un danno a noi, stronzi, noi che vi amiamo, seguiamo, sosteniamo, e che senza di noi non contereste un cazzo. Ecco un esempio fra tanti (spulciate fra i commenti), poi sotto continuiamo il ragionamento:
Cari terrestri, dato il rapporto che da anni ci unisce anche negli spazi social, non è stato semplice per noi…
Pubblicato da Subsonica su Sabato 27 febbraio 2021
Sia benedetto allora, “L’ultimo concerto?”, perché ha fatto emergere un problema che forse si sottovalutava. Ovvero: ma il pubblico, sostiene veramente gli artisti che ama? Simpatizza e solidarizza davvero? O li tratta nei fatti come l’ex premier Conte li ha trattati in passato a parole, ovvero “Gli artisti che tanto ci fanno divertire”, simpatici saltimbanchi che donano un po’ di letizia in giorni difficili, ma se poi non ci sono e scompaiono pazienza, tanto si sa che i tempi sono duri per tutti e sono altre le cose serie?
Facciamocela, questa domanda. Perché alla critica che si è voluta fare una “trovata” che era indirizzata solo ed unicamente al proprio pubblico e solo esso ha danneggiato, forse esattamente questo “proprio pubblico” ha dimostrato all’improvviso di non essere tale, o di non esserlo abbastanza. O meglio, ha dimostrato di essere un pubblico che applica a tutto e tutti – e quindi, alle cose che ama – la logica del “Pago, quindi pretendo”. Che poi in questo caso non era manco presente il “Pago”, quindi c’è stata solo l’ennesima dimostrazione plastica di quanto lo sdoganamento della musica gratis sul web come un diritto (la stessa cosa che succede all’informazione…) abbia creato dei mostri, anche fra i cosiddetti appassionati. “Mostri” detto bonariamente, ma nemmeno troppo: davvero ci limita al fastidio un po’ (tanto) da viziati sul fatto di non aver potuto godere dell’intrattenimento per un sabato sera da passare in casa? Davvero non si coglie che dietro a questo fastidio/disguido – ok, lo è – esistono non la pigrizia degli artisti che sono rimasti a casa in divano a godersi i dollaroni alle spalle delle vostre attenzioni credulone, ma invece il dramma di un intero settore che per legge da un anno è costretto a non lavorare, a non potersi guadagnare da vivere, e tutto questo senza colpe da un lato e dall’altro senza tutele?
Evidentemente c’è da ricostruire non solo un’attività, non solo un tessuto economico, ma anche un tessuto sociale. O si tratta di crearne uno ex novo, in caso. E’ una bella sfida, per gli artisti e pure per i club che ospitano la musica live. Che magari – alcuni di loro – si erano pure un po’ impigriti inconsciamente, vedendo che prima della pandemia le cose avevano (ri)preso a girare per il verso giusto, i concerti avevano tornato a riempirsi, il successo anche quello grosso era diventato non più una chimera ma qualcosa di raggiungibile con un po’ di fortuna e molto lavoro.
Attenzione: questo non significa che sia colpa degli artisti e dei club, che si sono costruiti un “pubblico di merda”, tanto per citare gli Skiantos, brutti stronzi avidi superficiali che pensano solo ai soldi e non a “crescere” un pubblico di qualità. Significa solo che c’è una nuova questione da mettere sul piatto, da affrontare. Una questione evidentemente importante, una volta che alla buon’ora si ricomincerà ad operare.
Più d’uno, anche persone del settore, ha fatto poi notare, sempre nel filone contestatorio: “Ma se le reazioni non sono quello che speravate, vuol dire che era completamente sbagliato il messaggio, o almeno la sua forma: invece di insultare, fate autocritica”. Osservazione che ha assolutamente senso. Ma che andrebbe completata con un passaggio: c’è critica, e critica. Perché davvero, lamentarsi di essere stati “truffati” e additare come “truffatori” chi da un lato ti ha negato un’ora e mezzo di divertimento serale davanti ad un monitor annunciato e promesso, ma dall’altro rappresenta un settore che è da un anno che non può guadagnare un euro col suo lavoro, con la sua professionalità, con la sua esperienza, con la sua rilevanza sociale e tutto questo non per colpa sua, è un atto che va affrontato di petto e va descritto per quello che è: un rant da viziati, da persone che non hanno realmente compreso come stanno le cose. Magari anche inconsapevolmente, ok, ma questo è. Non esiste autocritica – anche lecita – che possa far perdere di vista questo punto. E non esiste autocritica che sia più importante e più di sostanza della situazione di per sé.
E la situazione, di per sé, è grave. Se non ci fossero gli artisti “famosi” o comunque quelli che amate, non avreste dato la stessa attenzione alla causa: ma nel momento in cui la date, evidentemente continuate a dare la vostra attenzione solo agli artisti in questione e non invece a quello che vi stanno dicendo, visto che le motivazioni de “L’ultimo concerto?” sono state indicate chiarissimamente, le hanno ribattute in mille (anche noi, qui, per quel nulla che conta), quindi non ci sono scuse per poter dire “Eh ma io non avevo capito”. A parte questo, va sottolineata poi un’altra cosa: sì, è stata una “presa in giro”, sì, le band hanno promesso una cosa che poi hanno mantenuto, sì, vi hanno guastato l’umore quando avete capito che non sarebbero mai apparsi a fare un live via web per voi, ma avete idea di quanto guasti l’umore essere impossibilitati a guadagnare col proprio lavoro e la propria professionalità per un anno secco, un anno intero, senza nessuna prospettiva nemmeno vaga di ritorno all’operatività? Non è la stessa cosa. E lo ripetiamo: non rendersene conto è un po’ una miopia viziatella.
Davvero ti ha deluso così tanto non aver potuto vedere da casa dal tuo computer Cosmo o i Subsonica suonare al Fabrique ed all’Hiroshima un sabato sera?
Poteva essere fatto meglio? E: poteva essere fatto a Sanremo? Sì, perché anche questa seconda obiezione è saltata fuori più volte, rivolta alle band “di area” – quelle da sempre sensibili più ai live e al rapporto diretto coi fan, che al solo mietere numeri sugli streaming e accordi di branded content – fra quelle che fra qualche giorno parteciperanno a Sanremo. Bene, qui la situazione è semplice: ovverosia, cosa faranno a Sanremo Lo Stato Sociale o Colapesce o Dimartino o chi volete voi è, semplicemente, affar loro. Solo e semplicemente affar loro. Non li si può obbligare, dall’altro del proprio divano, a rischiare come kamikaze multe di decine di migliaia di euro e ritorsioni varie solo perché lo volete voi (che non rischiate nulla), solo perché vi sembra sia la cosa più giusta. Non tirateli in causa, col sottinteso e magari pure involontario ricatto morale “Se non fai nulla lì, allora sei un ipocrita, sei una merda”; se volete tirare in causa Sanremo, tiratelo in causa tutto, anche gli act più commerciali, anche il sistema stesso, ma ricordando che comunque da Sanremo e per Sanremo dipendono spesso stipendi e vite lavorative (non solo dei ricchi e famosi, ma anche e soprattutto dei poveri cristi: tecnici, indotto, eccetera). La verità è che andando a Sanremo non si può fare il cazzo che ti pare: vengono firmati degli accordi con la Rai per cui decidere di andare in scena con dei messaggi non concordati con la produzione e non precedentemente annunciati può portare a conseguenze molto dolorose, in solido e non. Magari qualcosa emergerà. Ma non gettiamo la croce della responsabilità attorno ai gruppi più “impegnati” nella causa perché sarebbe la beffa oltre al danno. Il problema dello stop di settore riguarda tutti coloro che ne fanno parte. Nessuno escluso. E se voi a questo settore volete bene, dovreste essere capaci in primis di empatizzare, non di pretendere delle “prove del fuoco” via via sempre più difficili per dimostrare la “purezza” delle intenzioni.
Riassumendo, cosa bisogna capire dall’esperienza de “L’ultimo concerto?” e dalla sua resa effettiva sorprendente? Bisogna prima di tutto capire che il problema c’è – e chi di dovere l’ha pure capito, visto che il ministro Franceschini ha a quanto pare chiesto per martedì un incontro col comparto per ragionare insieme sulla situazione attuale e su una road map sensata verso le riaperture. Fa specie che l’abbia capito meglio Franceschini di quasi tutti quelli che si sono lamentati sentendosi truffati dopo che ieri sera si sono sintonizzati davanti al proprio monitor (in teoria, loro sì appassionati ed interessati alla cosa), ma tant’è. Poi: bisogna trovare un modo ancora più efficace e diretto di cercare empatia e supporto dal proprio pubblico, quello che c’è ora evidentemente non è abbastanza. Poi ancora: bisogna far percepire che un concerto sul web non è una “figata” che se la perdi è giusto che ti incazzi, ma è solo un succedaneo da tirare fuori durante l’emergenza, ma nessuno vuole vivere in emergenza (a meno che i fatti non ti costringano a farlo). Perché davvero ti ha deluso così tanto non aver potuto vedere Cosmo o i Subsonica suonare al Fabrique ed all’Hiroshima (peschiamo due esempi a caso, eh) un sabato sera da casa dal tuo computer? E davvero non capisci che è molto più importante che Cosmo (e le persone che lavorano per lui) e i Subsonica (e le persone che lavorano per loro) possano appena possibile tornare a lavorare dal vivo, in sicurezza?
Evitate che internet, e l’abitudine ad esso, vi fotta il cervello. Per fortuna qua va segnato un punto a favore del comparto del clubbing rispetto a quella della musica live: non passerebbe per la testa a nessuno nel clubbing, di sentirsi “truffato” per non aver potuto vedere un dj set in streaming; e soprattutto, non passerebbe a nessuno per la testa e per la pelle il dolore e la rabbia per aver perso qualcosa di fighissimo, perché evidentemente il clubbing – più del live – è riuscito a mantenere il focus sulla dimensione “esperienziale” della serata, sullo stare insieme a sensi e sentimenti spianati. Ad oggi, e correggeteci se sbaglio, i dj set on line sono sempre stati vistri come una testimonianza o un intelligente succedaneo, non come un prodotto con la stessa dignità (ed imperdibilità) della serata vera e propria.
Evitate che internet, e l’abitudine ad esso, vi fotta il cervello
Ripartendo da queste basi e da queste riflessioni, il “Prossimo concerto” – che ci sarà cazzo, certo che ci sarà – potrebbe essere ancora più bello, ancora più intenso, ancora più importante. E ci si ricordi: si è tutti nella stessa barca. Fedez così come l’ultima della band sfigate. Pensare di distinguere le due cose (“Cosa ha in comune il mainstream con la scena ‘vera’, quella autentica e non arricchita a dismisura?”) è qualcosa che sembra logico e di buon senso a prima vista, ma nel momento in cui devi provare a capire dove tracciare la linea lì allora sono cazzi, e lì ti rendi conto che alla fine navighiamo tutti negli stessi problemi, e la musica è una. Declinata diversamente, ascoltata diversamente, remunerata diversamente, ma è una. Ed ora, dal vivo, è ferma tutta.