Da Sergio Leone a Sean Penn, da Ron Howard a Quentin Tarantino, da Christopher Nolan a Gabriele Salvatores, Gorka ha cercato nei grandi registi contemporanei tracce del suo percorso umano e artistico. In loro ha trovato la sua storia da raccontare. L’ultimo album, “Kolima”, è un viaggio cucito sulla pelle. Nella vita di Kolima, protagonista di “Educazione Siberiana”, risuona il percorso di Gorka che dai Paesi Baschi raggiunge la Liguria e, infine, approda a Milano. Il sentirsi fin da bambino lo sguardo di Clint Eastwood puntato addosso, gli ha permesso di descrivere al meglio il suo “Far West personale” ambientato nella provincia ligure. “Dove tutti si chiamavano Pietro, Paolo e Giovanni…io mi chiamavo Gorka!”. Le sue origini sono il punto di forza della sua arte, in un periodo storico in cui “…l’anonimato è ciò che spaventa di più l’essere umano”. Così Gorka ci ha raccontato il suo amore per il rap: “Il dono più grande che mi ha fatto la musica è quello di poter avere il microfono in mano per trasmettere alla gente quello che vivo”. Insieme a lui ripercorriamo i momenti più complicati e luminosi del suo percorso artistico attraverso alcune citazioni cinematografiche che ne descrivono fedelmente lo scenario crudo e l’immaginario poetico.
Una moda ricorrente oggi è il cosiddetto “virtue signaling”: cioè farsi belli con valori morali per ottenere visibilità e approvazione, ma senza passare all’atto pratico, ai fatti. Trovo che questo stile non ti appartenga e non faccia parte del tuo essere. Concordi? Perché, secondo te, questo fenomeno è così in voga in questi anni?
Concordo. Detesto fortemente artisti o comunicatori che si presentano come spacciatori di verità: penso che nella nostra epoca tutte le lotte siano diventate una sorta di brand cucito addosso. Per esempio, l’inclusione. In certi casi si è disposti a sacrificare il lato artistico pur di raccontare ad ogni costo di minoranze finora poco rappresentate, purtroppo però l’aspetto artistico passa in secondo piano. Viene “messa davanti” allo spettatore questa cosa qua, si avverte la forzatura. Recentemente un caro amico mi faceva l’esempio che da piccoli volevamo essere come Ronaldinho… Anch’io volevo essere Ronaldinho, io che sono bianco e biondo. Quindi sì, mi da un po’ fastidio quando ci si lancia in queste cose, perché si gioca sul sicuro. Ognuno invece dovrebbe essere libero di esprimersi come vuole. A mio modo di vedere la musica deve poter emozionare. Quando scrivo, però, non mi passa lontanamente per la testa di dover dare un’indicazione, una direzione, un principio morale assoluto da poter abbracciare.
Il tuo ultimo album “Kolima” prende spunto da “Educazione siberiana”: Kolima alla fine della narrazione intraprenderà un viaggio verso l’Occidente, facendo tesoro degli insegnamenti del nonno e della Siberia. Cosa c’è di Kolima in Gorka? Perché hai dato questo nome al tuo progetto?
Sono un grande fan del rap italiano quando cita personaggi di opere cinematografiche e letterarie. Da quando sono bambino amo citare nella musica cose che mi appartengono del cinema e della letteratura; e il rap ha questo potere, da sempre. Ho scelto il personaggio di Kolima per diversi motivi. Il primo, per cercare qualcosa che a livello estetico potesse somigliarmi, dal momento che tutti da piccolino nel mio quartiere mi scambiavano per un ragazzo dell’est Europa. In secondo luogo perché anch’io, con le dovute differenze narrative e storiche, sono cresciuto in una famiglia, come quella di Kolima, che mi ha cresciuto con valori molto forti e notavo la differenza tra me e gli altri miei coetanei: il concetto di comunità chiusa diversa dal resto delle persone. Mi ha subito catturato il fascino di crescere in una comunità che ha i propri simboli, ha i propri riferimenti e guarda tutto quello che c’è fuori come diverso da sé. Sono cresciuto in un ambiente dove i miei coetanei facevano la comunione ed io non sono nemmeno battezzato, figurati, e dove tutti si chiamano Pietro, Paolo oppure Giovanni… e io mi chiamo invece Gorka, che è un nome basco. I baschi sono una comunità che vive tra la Spagna e la Francia: i miei genitori hanno abitato lì, hanno un loro alfabeto e sono stato sempre attratto dalle comunità che mantengono una loro identità. Nel disco parlo di un viaggio dalla Liguria a Milano caricandolo di significati, di citazioni e di simboli. Il brano che separa il primo atto del disco è stato registrato qui Genova, è un coro che canta una filastrocca genovese. Ho trovato giusto inserire questa traccia in un momento storico dove tutto ciò che è identitario e tutto ciò che appartiene alla propria comunità viene appiattito. Io apprezzo tanto i rapper del Sud perché rappano in dialetto. Anche se magari a me risultano meno comprensibili però è la lingua che parlano tutti i giorni. Credo che la provenienza sia una delle cose che, in qualche modo, ci renda unici.
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Nel clan di “criminali onesti” di cui fa parte Kolima, oltre ai suoi tre amici, si spiega il significato dei loro tatuaggi. Nel videoclip di “Diez”, che ho apprezzato molto, mostri di aver tatuato il nome “Kolima” sul petto. Che importanza dai a questo tatuaggio? Come nasce questo brano?
Nel video di “Diez” mi tatuo proprio in diretta con l’ago, come avviene nel film, da Alessandra Müller. Con questo prodotto volevamo creare qualcosa che potesse creare contrasto con il brano. È una costante che ricerco per i miei videoclip, così come un po’ tutto il concept del disco, dove c’è il ragazzo di provincia che dialoga con culture diametralmente opposte alla sua e con immaginari completamente diversi. Per me l’arte è bella perché dallo scontro di opposti nasce qualcosa di nuovo. “Diez” è un classico banger rap dove uno può pensare che il video venga girato con duecento ragazzi tutti vestiti di nero; ma non è così. Le protagoniste sono tutte ragazze che, contrariamente a quanto succede di solito, al posto di un look scontato ed ammiccante, indossano un passamontagna disegnato su misura e cucito a mano da un artista milanese. Questo per me evidenzia il grande lavoro di produzione che c’è alla base dei miei progetti.
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“Diez” si ispira ai grandi numeri dieci. Maradona è stato uno di questi. Quali sono, secondo te, i rischi di essere un n°10?
Innanzitutto oggi i n°10 sono sempre di meno, con meno fantasia e, soprattutto, sono meno iconici. Calcio a parte, quando io penso ai n°10 della musica oppure del cinema, penso agli artisti che hanno quel tipo di creatività e quell’estro in grado di farti innamorare della loro arte. Prima ho citato Ronaldinho: ecco, lui è quello che mi ha fatto innamorare dello sport. I n°10 che mi hanno fatto innamorare del rap sono stati sicuramente i Club Dogo e Marra. Ora mi sembra che la magia e l’estro si stiano però un po’ perdendo. Tutto oggi deve per forza essere perfetto ed immacolato. Sembra di vivere una “modalità reel”, dove tutto scorre e luccica e senza alcuna imperfezione. Oggi anche nella musica, bisogna essere super performanti, al minimo errore si è subito fuori. Molti ragazzi vivono con la paranoia di essere dimenticati, e questo mi porta a riflettere che si sia perso davvero il romanticismo nel fare un sacco di cose.
Tra i film più importanti degli anni 2000 troviamo “Memento”, seconda opera di Christopher Nolan. Questa pellicola mette in luce le azioni di Leonard che è affetto da un disturbo della memoria: non è in grado di immagazzinare nuove informazioni per più di tre minuti. Per risolvere questo problema scatta diverse polaroid per fissare luoghi e persone importanti. Che polaroid scatterebbe Gorka se, ad un tratto, scoprisse di non poter ricordare più nulla?
Sarebbe sicuramente una foto sul palco. Sarebbe un content preso sul palco con la gente sotto che si diverte e canta le mie canzoni. Vorrei avere sempre con me questo tipo di frame, così, se ad un tratto dovessi dimenticarmi tutto, potrei dire di saper fare questa cosa!
Sembra di vivere una “modalità reel”, dove tutto scorre e luccica e senza alcuna imperfezione. Oggi anche nella musica, bisogna essere super performanti, al minimo errore si è subito fuori. Molti ragazzi vivono con la paranoia di essere dimenticati, e questo mi porta a riflettere che si sia perso davvero il romanticismo nel fare un sacco di cose
“A Beautiful Mind” racconta la storia di Jonh Nash impegnato a lottare contro la schizofrenia mentre cambia la storia della matematica. Il film mostra come il protagonista dialoghi e interagisca con personaggi immaginari, e reali, solo nella sua testa. Con quali fantasmi Gorka ha dovuto combattere nel suo percorso artistico?
Ho sempre avuto, come tanti ragazzi e ragazze, una forte insicurezza e timidezza che mi hanno bloccato parecchie volte. Ricordo che ai primi live a 16-17 anni mi prendevo male, a volte non mi presentavo, non salivo sul palco per prendere in mano il microfono. Però devo ringraziare tanto la musica, perché sono poi riuscito ad usarla a mio favore ed è riuscita a sbloccare le mie chiusure. Rappare mi ha fatto vincere questa insicurezza da provinciale che ti fa chiedere cosa pensino di te i tuoi compagni di classe. Quando riesci a cavalcare questa insicurezza diventi dieci volte più forte rispetto ad uno che arriva da una grande città, che può avere meno paura di essere giudicato. Un altro fantasma contro cui stanno lottando gli artisti sono i numeri e le aspettative, anche se credo sempre più fermamente che sia una bolla destinata a scoppiare.
Il tuo percorso vanta già numerose collaborazioni. Come ti sei trovato a lavorare con Dala, Guesan, Sayf, Helmi Sa7bi, Olly, Zero Vicious, Ch3f Beats, Vago, .HIT, Dj Kamo e Calibro 35?
In Liguria credo di aver collaborato davvero con tutti. Dal 2018 al 2020 nessuno aveva un contratto discografico, nessuno aveva niente. Eravamo solo un sacco di ragazzi che rappavano. Personalmente ho collaborato alla nascita di tante realtà come il Luvre Muzik. Ho poi lavorato assieme a Ch3f Beats. Ho una traccia con Dala che per me resterà per sempre iconica. Ecco, lui è un vero 10! Lui è come Maradona. Lui e Nader per me sono intoccabili per la nostra cultura. Sono talmente entrati nel cuore della gente che il pubblico sarà per sempre grato a loro. Con i Calibro 35 ho collaborato per “Blanca”, serie tv che ora è su Netflix. Cercavano un rapper e hanno trovato me. Loro sono leggende per il rock italiano e per le colonne sonore. Ho lavorato poi a stretto contatto con Francesco Bacci , chitarrista degli Ex-Otago anche produttore e dj di musica elettronica, in arte Lowtopic. Sono tutte persone che hanno davvero a cuore la musica e sono elementi fondanti per la vita e la cultura della mia città. Con Francesco ho fatto tre brani che vanno al di fuori del rap come concetto: è stato un mini-progetto portato avanti ormai tre anni fa. I brani sono “Andale”, “Starbox” e “Berlino”.
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“Il tallone d’Achille è Briseide” apre il ritornello di “Briseide”. L’ancella è stata il dono d’onore che i greci assegnano all’eroe troiano, ma allo stesso tempo diventa il suo punto debole e la causa della definitiva sconfitta. Qual è il dono più grande che Gorka ha ricevuto dalla musica e qual è, invece, il suo tallone d’Achille?
Briseide è un brano che è stato presentato nel documentario “La Nuova Scuola Genovese”, al cui interno solo l’unico che rappa. Il mio tallone d’Achille è che purtroppo non sono molto disciplinato: quindi anche nella musica ho sempre fatto le cose un po’ di testa mia e non mi sono mai fidato troppo. Può anche essere una cosa positiva, va bene, però perdi tante opportunità. Per anni non ho trattato la musica come un lavoro. Il dono più grande per me è poter fare i concerti e poter avere il microfono in mano per trasmettere alla gente quello che vivo.
“C’era una volta la West” e “Per un pugno di euro”. Come ti hanno influenzato gli spaghetti western e che cosa ti ha catturato della West Coast?
L’immaginario che avevo utilizzato nel 2021 riguardava i film di Sergio Leone e le colonne sonore di Morricone. Citazioni che poi successivamente sono state anche riprese da Tarantino, che è un regista che adoro. Sono super fan di questo filone perché da bambino avevo in casa le videocassette dei miei genitori. Sono ricordi che ti rimangono nel cuore, oltre la musica. Quando da bambino vedi una cosa per tanto tempo, non se ne va più! Con la trilogia del dollaro ho lo sguardo di Clint Eatswood puntato addosso e cerco di portarlo nella musica. Sono chiaramente fan di tutta la West Coast anche se in realtà mi ha affascinato maggiormente il lato più oscuro e cupo di New York.
Ho aperto davvero i concerti di chiunque, in qualsiasi contesto. Questo mi ha permesso di fare molto esercizio e imparare questo mestiere. Cosa che può risultare anche non comune, dal momento che in questi anni si sa come vengano fatti i live da alcuni rapper…
Clint Eastwood nella trilogia del dollaro è un eroe senza nome. Oggi potrebbe esistere un eroe senza nome?
L’ultimo grande eroe anonimo è Bansky. L’anonimato è il vero grande nemico della nostra epoca. Eroi senza nome non possono esistere. Oggi puntiamo alla visibilità, al riconoscimento. Una volta l’artista odiava l’etichetta perché pensava fosse un qualcosa che potesse snaturare la propria arte, cambiare la natura del proprio percorso artistico. La gente ha paura di scomparire, di non essere guardata a nessuno e l’anonimato credo sia ciò che spaventa di più l’essere umano in questo momento storico.
Questo filone di film western ospita le colonne sonore di Ennio Morricone. Per “Kolima” ti sei affidato a Joe Viegas. Come vi siete conosciuti e che rapporto hai con lui?
Joe spacca tutto! Ci siamo incontrati appena sono arrivato a Milano e abbiamo subito iniziato a lavorare assieme per “Kolima”. Abbiamo un ottimo rapporto. Lui è uno dei pianisti più forti del mondo urban. Anche a lui, come a me, piace molto la dancehall. Abbiamo gusti affini, lui per me è uno dei giovani produttori più talentuosi sulla scena. Faremo altre tracce insieme e mi auguro di lavorare presto a nuovi progetti con lui!
Il mese scorso a Genova hai aperto Massimo Pericolo al Balena Festival. Che esperienza è stata e come hai imparato a esibirti così dal vivo?
I live li faccio da parecchi anni perché ho iniziato a rappare ancor prima di registrare e pubblicare pezzi. Proprio in modalità open mic e freestyle. È stato così per un po’ di anni. Poi sono arrivate le aperture: ho aperto davvero i concerti di chiunque, in qualsiasi contesto. Questo mi ha permesso di fare molto esercizio e imparare questo mestiere. Cosa che può risultare anche non comune, dal momento che in questi anni si sa come vengano fatti i live da alcuni rapper… Penso che un buon live lasci un bel ricordo al tuo pubblico e, soprattutto, farli bene educhi anche alla bellezza della musica. La musica live ti trasmette energie e sensazioni uniche! Torno a casa sempre super ispirato e felice dopo un bel concerto. Al Balena Festival è stato così! Da ragazzino seguivo molti concerti punk hardcore, che reputo un mondo cugino a quello rap per attitudine e voglia di comunicare, dove vedi la gente che poga e capisci come si assiste ad un concerto. Capisci che non devi tenere il gomito alzato, che se qualcuno cade lo rialzi e che se cadi ti rialzeranno. Quindi vieni educato ad assistere ad uno spettacolo, imparandone le regole. Così anche nel rap bisognerebbe che questa nuova generazione di giovanissimi fosse educata a non compiere determinate azioni, come quella becera di lanciare i cubetti di ghiaccio in faccia agli artisti.
Progetti e sogni di Gorka per il 2025?
Musicalmente spero di riuscire a chiudere un altro disco, ancora più forte e curato. Arricchire il mio spirito, migliorarmi sempre di più da innamorato di questo genere e, soprattutto, portare a più persone quello che amo fare!