È stato, nel suo piccolo, uno degli eventi più incredibili degli ultimi anni, d’altro canto la rassegna Inner Spaces che già nasce unica e preziosa (programmazione sofisticata degna di un Sónar diurno o Unsound, un piccolo auditorium nel cuore di Milano, un apparentemente improbabile ma competentissimo ed appassionatissimo padrone di casa come don Antonio Pileggi) anno dopo anno continua a migliorarsi: l’esibizione più unica che rara dal vivo dei “Prati bagnati del Monte Analogo”, prima volta che in assoluto per questo disco uscito nel 1979 sulla Cramps di Franco Battiato, guidata dal suo co-autore Francesco Messina è stato un evento talmente particolare che Floating Points ha preso apposta un volo da Londra per venirselo a sentire: d’altro canto proprio quell’album è stato un dichiarato spirito-guida per la creazione di questo LP, un disco che all’epoca definimmo capolavoro e tutt’ora non siamo minimamente pentiti (ultima testimonianza tra l’altro della grandezza di Pharoah Sanders). Ma al di là dei “Prati”, Francesco Messina è artista a trecentosessanta gradi: musicalmente il rapporto stretto con Battiato già parla di per sé (recuperate questo volume, se volete saperne di più), ma l’altra sua vocazione artistica è il graphic design. Bene, è proprio in questa veste che Messina è stato coinvolto nella galassia del Quadro Di Troisi: la copertina de “La commedia” è sua. Segno di come ogni singolo particolare di questa release abbia qualcosa da raccontare. Qualcosa di importante. Qualcosa di non banale.
Quand’è stato che per la prima volta il Quadro di Troisi – o qualcuno dei suoi fondatori individualmente – ha incrociato la tua vita? Che ricordi hai di quei primi incontri?
In realtà è stato un comune amico, il carissimo Stefano Meneghetti, art director, videomaker e musicista, a metterci in contatto. Mi ha chiamato e mi ha detto semplicemente: “Faresti la copertina del nuovo album di questo gruppo? Credo che potrebbe piacerti“. Altrettanto semplicemente ho ascoltato il disco del 2020, mi è piaciuto e ho detto “Ok“. That’s all.
Hai in effetti un ruolo ben specifico, per “La commedia”. Quando ti è stato proposto, cosa hai pensato? Ma soprattutto, una volta accettato, ti è stata data qualche indicazione sulla declinazione grafica da seguire?
Il mio ruolo si è auto definito da subito: è limitato a quello del graphic designer. Non c’è molta art direction, salvo nel consiglio di non trascurare, anche a fronte di una cover risolta con un’illustrazione, l’opportunità di fare un nuovo scatto fotografico da inserire nel progetto. Sono già bravi per loro conto. Parlandoci un po’ di volte (nemmeno poi tante), ho scoperto che conoscevano il mio lavoro e mi hanno lasciato fare liberamente. Di questo naturalmente li ringrazio. È proprio ciò che cerco di questi tempi, dopo tanti anni trascorsi nella discografia e nell’editoria letteraria: riuscire a lavorare solo a progetti che apprezzo anche personalmente.
Che impressione ti ha fatto l’album? Che riferimenti e suggestioni ci hai visto?
L’album mi ha colpito, ho subito apprezzato l’equilibrio dell’insieme: le composizioni, l’interpretazione, la purezza di suono. Non è facile trovare tutti questi elementi di buona qualità nella musica italiana. A mio parere una perla rara, una scelta in un certo senso magistralmente controcorrente. L’aspetto melodico–armonico convive perfettamente con la modernità della costruzione sonora. Quel che c’è di sinteticamente digitale si sposa, nel migliore dei modi, con la forma canzone più tradizionale. Dentro vi ho ritrovato moltissime influenze nobili, persino l’ultimo Battisti, che personalmente adoro. C’è voluta una label non italiana per farli incidere, questo sì; ma ne sono felice, perché è questa la qualità e l’identità che dovremmo sempre esportare. Quanto invece alle suggestioni di cui mi chiedi, credo di poter raccontare con certezza che per l’artwork, dal punto di vista creativo, mi ha molto influenzato l’ascolto ravvicinato del primo e del nuovo loro album. Avevo trovato interessantissimo anche il primo ma “La commedia”, a mio parare, lo ha superato di molto per ricchezza in ogni suo aspetto. L’ho percepito come la giusta evoluzione. Da ciò è nata l’idea di un’immagine floreale in bianconero che diventa a colori.
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Si è – giustamente! – parlato molto della tua data a Milano per riproporre dal vivo i “Prati bagnati del Monte Analogo”, in un appuntamento della ottima rassegna Inner Spaces. Alla fine, al di là della ovvia soddisfazione, ti sei divertito? È l’inizio di un tuo riavvicinamento alla musica, e ancora di più ai palchi nella veste di musicista?
Grazie per questa citazione. Mi fa piacere poterne parlare. Certo, ci siamo tutti divertiti (Michele Fedrigotti, Chiara Trentin, Pino Pinaxa Pischetola e Marco Guarnerio), ma lo abbiamo fatto con gran serietà (pare un ossimoro): perché ricostruire “I prati bagnati” non è stato facile, dato che disponevamo solo della partitura scritta della parte di pianoforte. Per me poi ancora più in generale è stato una vera sorpresa scoprire che quel disco del ’79, che viene ristampato negli Stati Uniti, se ne va ancora oggi in giro per il mondo da solo, con le sue forze. Ora ci sono due impegni molto precisi: finire il nuovo album entro l’estate, e capire se siamo pronti per fare alcuni concerti in Europa, come ci stanno chiedendo di fare.
Qual è la tua “dieta di ascolti”, oggi?
Bella domanda, ma lunga storia. Per brevità credo sia necessario chiarire subito che sono onnivoro; diciamo che prediligo la qualità rispetto al genere. Per intenderci, per me “God Only Knows” composta e arrangiata da Brian Wilson vale il miglior Mozart. Credo si possano amare contemporaneamente Kraftwerk e Steve Reich, Bowie e Händel. Per questo non ti devi meravigliare se ora nell’elenco metto insieme nell’elenco FKA twigs e Ravel o Debussy. Un giorno possono andare bene i Tame Impala e un altro l’Ottava di Bruckner. Non scandalizzarti troppo. Dimenticavo: sono beatlesiano fino al midollo! Non hanno cambiato solo la musica moderna, ma molto di più. Peraltro sono pure convinto che la buona musica contemporanea di oggi non sia quella che proviene necessariamente dall’ambito tradizionalmente più “classico” ma stia anche nel buon cinema; ci sono soundtrack d’autore notevoli. Lì sì, nuovo e classico si incontrano da molto. Penso ad esempio a “Stay” (l’organ suite) di Hans Zimmer in “Interstellar”. Oppure “On The Nature Of Daylight” di Max Richter poi finita in “Arrival”. Ok, mi prendo tutta la responsabilità di questa dichiarazione, che capisco possa sembrare frutto di una certa superficialità.
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Che futuro vedi per l’interazione tra musica e arte, nel futuro? L’ascolto esclusivamente via piattaforme di streaming rischia di “azzoppare” l’aspetto visuale che gira attorno ad una release discografica?
Altra bella domanda. Credo ci sia musica alla quale fa benissimo la condivisione con le immagini, e altra che invece si può permettere di viaggiare da sola suggerendo ad ognuno di potersela visualizzarla autonomamente nella propria mente. Volendo approfondire, credo si debba citare Walter Pater che ha sintetizzato così: “Ogni arte aspira alla condizione di musica“. Infatti la musica è già materia, nella forma più immateriale. È la sua inestinguibile magia. In teoria il suono organizzato (la musica) al suo meglio non avrebbe bisogno di immagini. In altre parole, applicando il concetto sopracitato, nell’ambito dell’intrattenimento ci sono sacrosante ragioni di continuo e necessario rinnovamento—arricchimento; altra musica invece, che potremmo definire in maniera forse troppo sbrigativa “più alta”, (come Bach o Arvo Pärt, nello scostamento di qualche secolo) ne ha altre, ed è certamente fatta per stare in piedi da sola. Ma dato che siamo ancora nel secolo dell’immagine siamo felici per ogni novità che ci fa almeno sorprendere, magari anche senza crescere. Ma va bene così, eh! Quindi, paradossalmente, “l’azzoppamento” (come tu lo chiami) generato dallo streaming potrebbe persino essere interessante. Lo so, un graphic designer non dovrebbe dire o scrivere queste cose…
Francesco Messina. Art director director alla Biennale di Venezia (dal 76–82) e alla Bompiani (dal 1999). Graphic designer, tra gli altri, per Emi, Polygram, Universal, Sony, Warner, Mondadori, Rcs Libri, Treccani, Arflex, Fazioli. Il sodalizio professionale con Franco Battiato è durato dal 74 fino alla sua scomparsa nel 2021; insieme hanno fondato L’Ottava Libri (con Longanesi) e dischi (con la Emi) Italiana. Produttore discografico e autore (tra gli altri per Alice, Finardi, Giuni Russo). Ha pubblicato 4 album a suo nome. “I Prati Bagnati del Monte Analogo” (creato assieme a Raul Lovisoni) e “Reflex” sono usciti negli Stati Uniti con l’etichetta Superior Viaduct. Autore di due libri dedicati a Battiato: “Ogni tanto passava una nave” (Bompiani, 2014) e di “L’alba dentro l’imbrunire” (Rizzoli Lizard, 2021). Altri scritti per Einaudi, Caratteri Mobili, eccetera. Da circa vent’anni è docente di Design della Comunicazione all’Università Iuav di Venezia.