E’ sempre un privilegio poter parlare con persone come Carl Cox. Non per la fama che ha e che lo circonda, attenzione. Non per il fatto che sia un grande artista e un grande dj (effettivamente, comunque, lo è). C’è invece qualcosa di molto più essenziale e, credeteci, molto più importante: l’entusiasmo, il modo di porsi. La sua gentilezza. La sua voglia di comunicare. La sua passione. Tutte cose che traspaiono da ogni singola sillaba, da ogni singola parola. Anche in una conversazione giocoforza veloce, stretta nei tempi, come questa: abbiamo infatti intercettato Carl in un giro di interviste fatto con giornalisti di tutta Europa per presentare la Burn Residency di quest’anno, che avrà un atto molto importante ad Ibiza tra il 5 e il 7 luglio, col Residency Bootcamp (noi ci saremo, come ci sarà Carl, e vi racconteremo tutto).
Il tempo è stato stretto, scandito da una scaletta serratissima di interviste, ma nemmeno per un attimo il nostro illustre interlocutore è stato svogliato, annoiato, sbrigativo, banale. Al contrario: il tutto è iniziato con un suo squillante “Uh, bello parlare con te, grazie per avermi voluto intervistare” dopo le reciproche presentazioni, ed è poi continuato in un flusso torrenziale di entusiasmo e parole che non vogliamo nemmeno rendere secondo il classico formato Q&A ma preferiamo buttare giù sotto forma di discorso unico: rende meglio l’idea. Lo spunto di partenza? Gli abbiamo detto: “Carl, siamo qua per parlare in primis del Bootcamp della Burn Residency, quindi non voglio farti la solita intervista come stai – dove stai – che fai – quali i prossimi successi – quali i prossimi superclub dove suonare. Preferirei percorrere strade diverse”. Ecco cosa ne è venuto fuori.
“Io non vedo l’ora di poter parlare ai ragazzi, durante il Bootcamp! Non capisci quanto la cosa mi emoziona e mi riempie di gioia… Sai, per me è incredibile ancora oggi che ci siano persone che hanno voglia di sentire i miei racconti, i miei aneddoti, i miei consigli, invece di occuparsi di altro, di vagare con lo sguardo o di mettersi a controllare i loro telefoni (ride, NdI). E’ una cosa che mi sorprende ancora adesso, ogni singolo momento. In fondo però ecco, non dovrebbe sorprendermi, se ci penso un attimo; perché anche io da piccolo adoravo ascoltare, cercavo i consigli di persone con più esperienza di me, sapevo che solo ascoltando sarei potuto crescere come artista e come uomo. Quindi dai, metti insieme tutto questo e sì, forse si può dire che sarò un buon insegnante al Bootcamp… anzi, dai, un ottimo insegnante! (ride, NdI) D’altro canto non è la prima volta che lo faccio, ed è stata una esperienza incredibile in passato. Ancora adesso mi emoziono ripensando a quando i ragazzi, a fine giornata, arrivano da me, mi stringono la mano, mi ringraziano… e magari dicono anche “Non pensavamo che tu fossi così, che fossi una così bella persona”… sono soddisfazioni eccezionali, sai?”
“Quando io ho iniziato a fare il dj, beh, fare il dj era visto tutto tranne che una forma d’arte o una professione. Al massimo per “dj” si intendeva il dj radiofonico – che come ovvio è tutt’altra cosa. Noi lavoravamo nei club, nei pub, e dovevamo lottare ogni secondo per far capire che il nostro ruolo aveva un senso lì, non eravamo una spesa inutile. Ogni singola residenza conquistata era un grande traguardo, un mezzo miracolo. Sì, ok, ogni tanto magari riuscivamo a dare qualche festa in qualche magazzino, ma era uno sfogo, qualcosa di bello che però non portava a nulla e non pareva importare a nessuno, a parte quelli che erano lì di fronte a noi a ballare. Guarda oggi, invece. Guarda. Una situazione per certi versi che non puoi nemmeno paragonare. Oggi il ruolo del dj, nell’arte e nell’industria dell’intrattenimento, è un ruolo totalmente riconosciuto ed altamente considerato: fantascienza, quando avevo iniziato io, pura fantascienza. Soprattutto, oggi può succede che anche solo per avere spedito un singolo brano alla persona giusta nel momento giusto tu ti possa trovare catapultato in mezzo al successo mondiale più incredibile: ti rendi conto? Che questo, forse, è troppo. Non so. Per dire: magari il tuo brano finisce nelle mani di quelli che fanno Tomorrowland, gli piace, e tu all’improvviso ti trovi a suonare di fronte a settantamila persone. Caspita. Per noi, per quelli della mia generazione, questa è una cosa inimmaginabile: noi da giovani dovevamo battere ogni singolo club, ogni singolo pub, ogni singolo bar per farci notare, per far circolare il nostro nome, per far spargere la voce sulle nostre qualità, per conoscere più persone possibili che magari, chissà, potevano in qualche modo aiutarci o portarci verso nuove prospettive… Festival? Ma quali festival! Non avevamo nessun festival! Non avevamo nessun palcoscenico che, come oggi invece succede, ti desse automaticamente esposizione mondiale. Per noi già far circolare il nostro nome fuori dalla nostra città era un miracolo, figurati l’idea che qualcuno in qualche altro stato europeo avesse potuto sentirci nominare… Insomma, tutta un’altra cosa, proprio tutta un’altra cosa. E’ meglio oggi? Era meglio prima? Non lo so. Ma una cosa la so: le capacità, le skills, sono ancora importanti. Anzi: sono decisive. Ma altrettanto decisivo è anche il modo in cui ti sei approcciato a questa faccenda del deejaying. Lo hai fatto per la musica o per avere successo? Se è la prima, durerai nel tempo. Se è la seconda, magari il successo riuscirai ad ottenerlo per davvero, ma stai sicuro che prima o poi ti volterà le spalle”
“Il successo. Essere al top. Sai qual è l’unica che ti può succedere quando sei al top, quando sei in cima a tutto? L’unica cosa che ti può succedere è – cadere. A me non interessa essere al top. A me interessa essere un dj con delle cose da dire, artisticamente parlando. Musicalmente consistente, ecco. Che poi, in giro sento che spesso mi definiscono come un “grande dj techno”: ah sì? Io suono techno, ma suono anche drum’n’bass, house, funk, jazz, soul… Io, prima di tutto, suono me stesso! Questo è quello che vorrei far capire ai ragazzi: siate voi stessi, fuggite come la peste dalle catalogazioni che altri hanno deciso per voi! Soprattutto se a deciderle sono le mode! Quando un ragazzo mi arriva davanti, non voglio che sia così bravo da suonare come Richie Hawtin, o Tiësto, o Armin van Buuren. Non mi interessa. Voglio che suoni in modo personale. Originale. Voglio che suoni come se stesso. Ma tu invece fai il dj che suona quello solo determinate cose e determinati generi, unicamente perché così vuole il promoter o così vuole l’hype del momento? Beh, non sei sincero con te stesso. Non sei sincero con quello che è il deejaying. Rovini l’uno, rovini l’altro. Stai attento. Sono anche altre le cose a cui devi stare attento, se vuoi fare le cose a modo: ad esempio, devi dimostrare agli altri così come a te stesso che sei in grado di suonare per sei, sette ore di fila portando la gente in un “viaggio”, prendendola per mano e portandola in posti dove non credeva sarebbe arrivata. Questo è fare il dj! Suonare invece sessanta minuti, mettendo solo le hit del momento che fanno levare le braccia al cielo al pubblico di fronte a te? Boh, magari anche questo è fare il dj, non so, ma per me non è interessante”
“Io lo capisco, eh. Magari hai solo vent’anni. Voli in jet privati. Un limousine che ti viene a prendere in aeroporto. Una stanza principesca in un albergo a cinque stelle. Bevi solo Cristal. Ti pagano uno sproposito per fare sessanta minuti di set. Finisci di suonare. Risali sul jet. E via per un’altra destinazione. …ecco, capisco che tutto questo se hai vent’anni o poco più possa farti perdere la testa, lo capisco bene sai. Sai perché lo capisco? Perché quando avevo vent’anni io altro che jet privato, non avevo nemmeno la macchina! Dovevo pregare i miei amici di prestarmene una, o di accompagnarmi loro fino al posto dove dovevo suonare! Così stavo! Quindi ecco, non trovo nulla di strano che al giorno d’oggi possa capitare di montarsi un po’ la testa, se sei ancora giovane. Ma sai che c’è? Il pubblico se ne accorge. Non subito, eh. O magari all’inizio non gli dà fastidio. Ma stai tranquillo che se diventi una persona con problemi di ego prima o poi il pubblico inizierà a sentire delle vibrazioni negative provenire da te, quindi inizierà ad allontanarsi. Anche perché, sappilo, la scena è piena di altri dj che non vedono l’ora di prendere il tuo posto, quindi se tu scompari o inizi a decadere il pubblico non avrà nemmeno il tempo di accorgersene o di dispiacersene. Sai quali sono gli unici dj che resistono bene nel tempo? Quelli che sono delle belle persone. Persone tra l’altro consapevoli di essere molto fortunate nel fare come professione quello che fanno, e che quindi sanno sempre essere umili, perché questa consapevolezza non può che portare umiltà”
In mezzo a tutto questo, c’è stato anche dell’altro, in questa chiacchierata con Cox: c’è stato lo svelare che sta preparando un progetto assieme a Nile Rodgers (“La sua chitarra al servizio di un beat techno: qualcosa che non s’è mai sentito”), gli scambi di stima con Josh Wink (“Nei mesi passati ho suonato tantissimo un suo pezzo, e lui mi ha appena chiesto di farne un remix: queste sono soddisfazioni”), un’importante investitura per Eats Everything (“Dei dj della nuova generazione, lui probabilmente è quello che mi appassiona di più, quando è in consolle fa esattamente quello che secondo me un bravo dj deve fare”). Insomma, in un tempo ridottissimo comunque è saltato fuori tanto di tutto. La grandezza di Carl Cox la vedi anche in questo. Lunga vita a lui, davvero.