Dieci palchi (il più piccolo dei quali allestito dentro un tramvai traballante e ondeggiante al ritmo dei movimenti della folla che vi si stipava), oltre cento punti ristoro, quaranta tabaccai (nell’Est europa si confermano adorabili tabagisti), uno stadio – la Cluj Arena – elite della Uefa da trentamila posti a sedere, un palco enorme e fantasmagorico tra giochi di luci, fuochi d’artificio, fiamme e draghi, quattro giorni di musica incessante da mezzogiorno alle otto del mattino. Una fiumana di presenze con numeri che sfioravano le centomila giornaliere.
L’Untold festival, il più grande festival dell’est Europa, giunto ormai alla terza edizione è un’ enorme fiera dell’est che, per quattro giorni, invade la vecchia capitale della Transilvania, quella Cluj che i suoi cittadini amano definire la Silicon Valley dell’est europeo.
La città è frizzante ed esistono comprensibili contraddizioni tra ciò che avviene internamente o parallelamente al circuito del festival, dove si respira aria occidentale e forte europeismo, e ciò che ne rimane al di fuori, in cui regnano lo spaesamento e la timidezza di chi questo enorme carrozzone lo subisce, offrendo quello che ha, tra molti sorrisi e qualche protesta. L’amministrazione comunale, che ci raccontano come giovane e innovativa, supporta fortemente la pacifica invasione estiva dell’Untold, immaginiamo soprattutto per l’interesse che si viene a creare nei confronti della città e per l’indotto economico che ne consegue.
Dopo questa breve ma doverosa premessa, è giunto il momento di raccontarvi quattro giorni di divertimento assoluto e di rivelazioni bellissime e -in parte- inaspettate.
Siamo partiti (io e un’instancabile Giulia, indiavolata nel proporre chupiti alle cinque del mattino) per l’Untold con la chiara idea di fare un bel viaggio di aggiornamento professionale, cercando di avere un atteggiamento il più laico possibile nei confronti di un genere che -va ammesso- conosciamo poco e di mantenere alto l’entusiasmo del desiderio di capire cosa muove tutta questa gente.
E’ bastato mettere il primo piede dentro per venire travolti da un’atmosfera festaiola, sana, spontanea, divertente e divertita, lontana dai festival che siamo soliti frequentare.
Non ce ne voglia nessuno: il Sónar resta il Sónar, così come il Nuits Sonores e tutte le bellissime serate di clubbing a cui partecipiamo durante l’anno, ma la differenza nel mood e nell’atteggiamento è palese e palpabile.
Cosa abbiamo visto qui all’Untold? Quali sono queste enormi differenze? Zero poserismo in primis: qui ballavano tutti a tutte le ore in un unico abbraccio collettivo, non importa quale genere di musica provenisse da uno dei tanti palchi, si ballava e basta. Abbiamo visto i rasta in meditazione trascendendentale nel pomeriggio con Lee “Scratch” Perry, e quattro ore dopo nella vip area saltellare come Sonic con le follie di Marshmello.
Abbiamo visto tanti genitori cullare bambini piccolissimi al ritmo di Chase & Status. Abbiamo visto l’azzeramento dei pregiudizi, nessuno che osasse porsi il problema se quelli di Hardwell o Axwell & Ingrosso fossero set preregistrati, perchè l’obiezione -se fatta- rimarrebbe lontanissima dall’idea del ballare, cantare e fare festa tutti insieme.
Anche la regola base che apparentemente tiene le fila di questo genere ci è sembrata, per la sua spensieratezza, affascinante. Di fatto, ma bisogna ricordarsi che a scrivere sono due niubbi del genere, tutto è costruito su un sample (di non più di trenta secondi, ci dicono) di una canzone famosissima pescata da un archivio che non ha confini di epoche e stili, dai Linkin Park ai Daft Punk, da Bob Marley ai Nirvana, che viene editato ed “effettato” con finale a crescere e su cui poi entra il drop, ovvero l’elemento che distingue lo stile dei vari producer.
Nuova obiezione: è tutta uguale. Vero solo in parte, perché nonostante tutto non ci si annoia mai di ballare e cantare a squarciagola per poi saltare e scatenarsi.
Infine -e sembra incredibile- l’onda anomala di persone si muove unicamente a ritmo di musica. Non sappiamo se sia perché in Romania la droga non è a buon mercato (ma l’alcol sì), sicuramente dentro il festival mancavano solo gli Spetsnaz a garantire l’ordine di un’organizzazione pressoché perfetta, ma per quattro lunghissime notti non abbiamo mai visto nessuno che fosse solo un pochino alticcio.
Sarebbe strabiliante già così, ma Untold non è solo tanta Edm. Quello che portiamo a casa, oltre ai salti nello stadio, sono ottime performance, qualche chicca che desideravamo vedere da tempo, una Drum and Bass in splendida forma sul terzo palco e davanti (ad occhio) a diecimila persone sempre presenti tutta la notte, con i dj acclamati da un tifo da stadio.
Innegabile la scarsa attenzione per il palco dedicato al clubbing, a cui ci sentiamo di dedicare l’ultima riflessione di questo report. La proposta del palco Galaxy Telekom era altissima, noi per la solita sovrapposizione degli act siamo riusciti a sentire Sven Vath, Solomun, Steve Bug e Kollektive Turmstrasse. Sarà stata la voglia per quattro giorni di sentire cose diverse, ma dopo esserci stati una volta con gusto per Sven Vath ci è sembrata la solita buonissima minestra riscaldata: il solito ritmo, i soliti pestoni; abbiamo trascorso la maggior parte del tempo seduti riflettendo sul fatto che fosse tutto molto figo ma che son vent’anni che sentiamo questa roba.
Tirando le somme, prima di entrare nel dettaglio della line up, la domanda che più ci si dovrebbe fare è: “ci torneremmo”?
Mille volte sì. Adoriamo Dj Koze, impazziamo sentendo Ben UFO o Matthew Herbert e ci divertiamo un sacco, ma all’Untold ci si scatena come mai avremmo pensato. I salti fatti per Hardwell non li ricordavamo da tempo, il cantare a squarciagola quel pezzo che hai fatto girare mille volte nello stereo, ma che ormai nessuno suona perchè troppo commerciale, ci è piaciuto da impazzire. Senza filtri e senza dubbi promuoviamo questo enorme parco giochi, che per 4 giorni ci ha coccolato e viziato, e consigliamo di andarci – se possibile – almeno una volta, con lo stesso spirito con cui ogni tanto ci si butta dentro un luna park.
GIOVEDÌ 3 AGOSTO
Arriviamo trafelati intorno a mezzanotte lasciandoci alle spalle l’afa irrespirabile di Milano. Giù i bagagli e subito dritti al festival. Per questo motivo ci perdiamo Mø, Charlie XCX e Nightmares On Wax. Ecco con cosa ci siamo rifatti.
Axwell & Ingrosso
Fuoco, fiamme e una scarica di fuochi d’artificio, entriamo nello stadio e questa è l’accoglienza. La loro esibizione è un’evoluzione di quelle marchiate Swedish House Mafia. Tutti si scatenano, noi restiamo ancora sulle nostre, i drop non sono così coinvolgenti. Tra i pezzi conosciuti suonano un re-edit di “Renegade Master” (storico pezzo Garage UK) che deve essere una sorta di tormentone del genere perché la risentiamo suonata un pò da tutti.
Ah, suonano anche “Seven Nation Army” e mentre dallo stadio si leva il coro “po po poroppopo” noi corriamo da Sven Vath.
Sven Vath
Entriamo nell’unico stage al chiuso del festival (il classico palazzetto da partita di basket) e su un palco a forma di enorme conchiglia Sven Vath sta suonando un remix di “Running” dei Moderat. Nelle vicinanze italiani vestiti da gladiatori si chiamano a colpi di “bella zio”. L’arena è strapiena e sul palco appare la scritta “Cocoon”. Sven Vath e i suoi vinili sono una garanzia, stargli dietro richiede un certo allenamento fisico.
Hardwell
Inizialmente l’idea è quella di sentire un po’ di Hardwell e poi correre da Ilario Alicante, invece arriva inesorabile il primo stravolgimento di piani. Hardwell ci magnetizza e ci tiene letteralmente incollati lì, sulla tribuna della magnifica arena. Noi come tutti perdiamo ogni ritegno e le cantiamo tutte: tra le altre “One More Time” dei Daft Punk e “In the End” dei Linkin Park. Qui i drop sono un continuo carico e sfociano spesso verso l’electro house. Non so se sia propriamente edm quella che fa Hardwell, mi dicono che la scena sia piuttosto divisa a riguardo, di fatto però il suo set è uno dei più divertenti sentiti quest’anno.
VENERDÌ 4 AGOSTO
La mattina gironzoliamo per Cluj: monumenti, pranzo tradizionale e “disco nap” pomeridiana. Decidiamo di andare al festival il prima possibile e il più riposati possibile perché la notte sarà lunghissima.
Lee “Scratch” Perry & Mad Professor
Ore 18:30 e su uno dei palchi minori del festival una trentina di persone è splendidamente adagiata su dei puff rossi, aspettando quello che si confermerà come l’act più interessante e magnifico del festival.
Mad Professor spinge i sui ritmi dub mentre con una mano attinge arachidi da un sacchetto che sembra infinito, Lee “Scratch” Perry lo raggiunge poco dopo. Barba porpora, outfit tra il clown e il santone moderno, chiede champagne, fa toasting sui beat di Mad Professor fumando un purino (lui può di diritto) tra una benedizione all’erba e una alla natura, coinvolgendo tutti i pochi presenti in un lento ondeggiare. A metà esibizione ci regala una perla su cui riflettere per un bel po’: “il tabacco può essere solo invidioso e geloso della ganja, e sapete chi è invidioso e geloso per natura? Il diavolo”.
Roots Manuva
Un altro act imperdibile, in formissima sia sui pezzi rap sia quando si butta su alcune derivazioni reggae: classe ed eleganza per un live bellissimo.
Ellie Goulding
La vedi dalla tribuna e ti sembra uno scricciolo ma bastano i primi secondi del primo pezzo per capire di avere a che fare con una leonessa. Tiene ai suoi piedi uno stadio già colmo alle 21:00. Come per tutti gli artisti presenti al festival il diktat è: suonale tutte e falli cantare. Voce magica senza l’ausilio di nessun effetto e band solidissima alle spalle, chiude emozionando tutti con “Love Me Like You Do”. La tribuna stampa già affollatissima (lo sappiamo fa tanto San Remo, ma di fatto è stato cosi) si spella le mani e qualcuno è visibilmente commosso.
Lost Frequencies
Piatto, piattissimo. Non lo conoscevamo prima e non approfondiremo poi. Per inciso: “What Is Love 2016” spiccia casa alla versione originale di Haddaway.
Camo & Croocked
Suonano Drum and Bass nella sua accezione più commerciale, divertentissima e nell’ area dove si esibiscono non si muove uno spillo tanto è compressa la folla. Divertenti ma risentiti alcuni giorni dopo non ci hanno colpito più di tanto.
Chase & Status (Dj set)
Sono uno dei nomi forti della serata, che ascoltiamo mentre pazientemente aspettiamo che riaprano gli accessi al Galaxy, dove sta suonando Solomun, chiuso perchè troppo affollato. Di fatto è come sentire una Drum and Bass compilation con tutte le heavy rotation degli ultimi anni. Non si poteva chiedere di meglio.
Solomun
Entriamo quando un’ora di set è già andata (suonerà più di tre ore). Già dal primo pezzo però cominciamo ad arricciare il naso: “ma da quando suona techno-martello?”. Questa è la domanda che ci facciamo con più insistenza durante tutto il tempo in cui rimaniamo ad ascoltare un set lineare, che altro non è che una copia pressoché perfetta del set di Sven Vath la sera prima. Bello e potente, ma ce ne andiamo abbastanza delusi.
Dimitri Mike Vegas & Like Mike
Andiamo ad ascoltare l’ultima mezz’ora per onor di cronaca più che altro ma siamo scappati per la disperazione. Un’ inutile dimostrazione di ignoranza e drop sconclusionati. Anche il pubblico non ci sembra esageratamente coinvolto, anzi ci sono vari spazi vuoti.
Kollektiv Turmstrasse
Melodia con sotto i pestoni, carino il pause and reprise abbastanza continuo. Divertente ma non memorabile.
SABATO 5 AGOSTO
Sveglia per l’ora di pranzo per presenziare al party dedicato alla stampa sul rooftop dell’albergo, a confermare l’eccezionale ospitalità riservataci durante tutto il festival. Mischiati a volti noti della tv rumena scopriamo che le rane fritte non sono affatto male e che pasteggiare a mojito regala poi pisolini morbidissimi. E’ l’ultimo giorno di festival per noi, bisogna arrivarci carichi e riposati. Tutti qui aspettano Armin Van Buuren come l’avvento annuale del messia.
Parra For Cuva
Palco immerso nel verde, bimbi che scorrazzano intorno a chi già balla all’ombra del boschetto in cui ci troviamo. Lui ci piace tantissimo, suona deep hose con forti influenze u.k e downtempo. Quando entra “Flashlight” di Bonobo ci ritroviamo sotto il palco a ballare come veri fanboy.
Hurts
Ci tenevamo tanto a vedere questo live perchè di “Happiness” avevamo e abbiamo un ottimo ricordo, peccato che di quel disco e probabilmente del duo che l’ha composto non rimanga nulla. Quello a cui assistiamo è lo show di una band che vira verso i Coldplay in maniera trascurata e volgare. Si possono fare canzonette pop di poco valore ma almeno lo si faccia con un po’ di stile. In assoluto la peggior cosa sentita all’Untold.
Onyx
Sono stati uno dei miei gruppi post adolescenziali, uno dei pochi che non avevo ancora avuto modo di vedere dal vivo. Il live è una furbo “best of” dove cantano i ritornelli e la prima strofa di ogni canzone, inframezzando con mille R.I.P. che dedicano a tutti i rapper “passed away” che con loro hanno condiviso 25 anni di storia dell’hip hop.
Steve Bug
Stesso ragionamento fatto per Solomun. Anche lui suona una techno anonima fatta di pestoni, molto diversa dalle cose che ho adorato negli ultimi anni. Ci basta mezz’ora per decidere di dedicarci a Marshmello.
Marshmello
E’ il nostro personale vincitore dell’Untold 2017: visual stratosferici inspirati ai videogiochi; fuochi, fiamme e raggi laser come da copione ma sotto ci sono delle idee e tanta sostanza. Anche lui cede al ricatto del sample ultra conosciuto suonando addirittura “Livin’ on Prayer” dei Bon Jovi, quello che conta però sono i drop che vengono dopo. Una miscela di wonky e trap divertentissima che -innamorati come siamo di Rustie e del suo “Glass Swords”- ci fa ballare per tutto il set e che da qualche giorno ha trovato spazio nei nostri ascolti in cuffia.
Armin Van Buuren
Ore 2.05 la Cluj Arena brulica ed è esaurita in ogni ordine di posto, in tribuna stampa si sta ammassati come a Ostia a ferragosto. È annunciato dalla solita voce in stile trailer dei mercenari al cinema Arcadia di Melzo, con un’ intro che racconta come la sua musica abbia portato l’underground in un’ altra dimensione facendoci scoprire l’amore e la voglia di stare insieme (?!?). Ecco l’ospite più atteso della serata.
Primo pezzo primo sbadiglio, secondo pezzo secondo sbadiglio e cocente delusione. Ci avevano assicurato che per questa serata avrebbe suonato trance e forti di queste assicurazioni eravamo entusiasti perché in fin dei conti la trance piace a tutti. Quella che ascoltiamo è però una trance forse 2.0 fatta di drop electro e carichi edm, noiosa e banale. Sicuramente siamo in torto noi, perché lo stadio impazzisce ad ogni pezzo. Suonerà sei ore e lo sentiremo dall’albergo fino alle 8 del mattino senza chiudere occhio. Noi alle 5:30 salutiamo tutti, prendiamo le ultime due birre e aspettiamo il driver che ci porterà in albergo. Alle nostre spalle la ruota panoramica gira luminosissima nella notte di Cluj: è stato bellissimo.
Ha collaborato Giulia Matteagi