Comincio ammettendo che, un pò per superficialità, un pò per altri balordi motivi, non dedico molto tempo all’ascolto dei V.A. in generale. In buona parte credo che sia dovuto al fatto che queste raccolte ti lasciano con l’amaro in bocca: fin troppe volte il produttore viene trasformato in un cecchino con un solo colpo a disposizione in canna che non può commettere errori. Questioni di proporzionalità. Comunque sia la compilation, la prima per Culprit, si intitola “Above The City” ed è composta da otto tracce di cui due prodotte da ragazzi di “casa nostra”, trattasi dei già noti Lula Circus (che si lasciano contagiare dalle influenze disco con “Mary Jane Loves Me”), e di Nico Lahs che con “Lost In My Soul” riesuma per l’occasione Shannon. A seguire: Clovis, Mark Chambers & Soho, Anthony Collins, Nikko Gibler, Death On The Balcony e il duo Curtiss/Troxler. Di cose da dire ce ne sarebbero ma per evitare di straparlare, ma soprattutto di annoiare, voglio segnalarvi solo quei lavori che veramente mi hanno impressionato.
Quest’avventura cittadina nel grigiore dominante, in tutte le tonalità, degli elementi urbanistici si apre con un nome nuovo, lo statunitense Clovis, che ci introduce attraverso eleganti percussioni e cut vocali in francese a piacevoli e rilassanti sonorità dove strumenti a fiato dalle varie tonalità e sfumature si incastrano a meraviglia, tutto questo è “The Jean Seberg Special”. Di tutto rispetto è il lavoro di Anthony Collins che pare aver riscoperto la passione (e i sample) per il sound che fino a qualche mese fa era il biglietto di presentazione di Vakant, in effetti fà uno strano effetto ascoltare ritmiche frastagliate da percussioni varie, i bassi grattati e i pad vari per poi accorgersi che la label è americana e non nord-europea come ci saremmo aspettati. A seguire altra traccia e altro nome semi-sconosciuto: Nikko Gibler che con la sua “Hide From No One” ci catapulta in un ambiente metropolitano, di quelli frenetici dove la vita gira su ritmi altissimi. L’impalcatura disco-house è un’ottima base per il synth che si sviluppa a seguire scomparendo dalla scena solo per pochi attimi, giusto il tempo di una mirco-pausa in cui pad e vocal si fanno sentire più forti che mai, tutto ciò prende il volo nella break principale dove la voce è utilizzata per esteso affiancata da un piano che la spalleggia a dovere.
Si esaurisce qui il nostro viaggio, in particolare il mio, che ha avuto come colonna sonora, per un giorno, questo various, fedele compagno di viaggio fin dal momento in cui la suola della mia sneaker ha baciato a stampo l’asfalto grigio della strada per le vie della città dove i flussi di gente si muovono con un certo equilibrio seguendo schemi e mete apparentemente casuali, fino a dal vetro del mio vagone. Il sole, ferito a morte dai rami di un albero spoglio, con gli ultimi sprazzi di bagliore salutava la città.