Onde surfistiche perfettamente mescolate a coriandoli electrofunk/sensuali e pure un po’ bagarini e per nulla minimali quelle di “minimal”, traccia spartitraffico tra il pezzo techouse per antonomasia e quello festaiolo “che-in-fondo-sono-la-stessa-cosa”, oltrechè pezzo numero uno della bella (ma non splendida) raccolta, o collezione, che apre le danze del lavoro per il ventennale della gloriosa Kompakt, etichetta dell’amatissimo e (a mio parere) sempre sottovalutato Michael Mayer. Germania, techno. Respiriamo.
La festa, dunque. Si perché a un certo punto degli anni duemila, dei primi anni duemila a dirla tutta (quando in Europa impazzava la techno, mentre la minimale si insinuava fra gli spasmi spastici di Plastikman e rigurgiti di certi pionieri) ha iniziato a diffondersi l’idea della festa techno. Non solo rave scuri e bombe nere di fumo technoso, ma anche feste con il sole, i sorrisi, la sabbia, il mare. Pinne e fucile? Musica pop? Non esageriamo. E’ in questo momento di trapasso che la Kompakt, con la sua schiera di artisti polivalenti e sempre a caccia della nota giusta, ha avuto un ruolo di assoluto rilievo. Credo che questo sia dovuto alla capacità che Mayer e Co. hanno avuto nel fare musica condensando i colori, mescolando generi apparentemente lontani e creando album e compilation di sicuro valore artistico, con quella leggerezza che ha dato una spallata al genere. Pensate alla lunga serie di “Total”: a qualcuno non piacerà, qualcun altro ringrazierà, ma tant’è.
In questo ottica di diffusione e conoscenza (e mescolanza) non solo la stracitata minimal spiega, certamente meglio delle mie parole, quello che volevo dire sopra. Ci sono anche altri pezzi simbolo dell’etichetta in questo ventennale, come “Walter Neff” di Matias Aguayo o l’inarrivabile “I Think About You” di Heiko Voss, che spiegano perfettamente il senso profondo della vicenda. Ma ci sono anche pennellate techouse (“Arquipelago” di Gui Boratto è la prima che mi viene in mente), traccioni di pura techno come “Wurz + Blosse” dei Wighnomy Brothers o chiusure affascinanti come la strasuonata “Trauermusik” dei Partial Arts, pezzo carico di rulli, tamburi, claps e fucilate carnevalesche.
Su le mani, dunque, e occhi chiusi. Mi raccomando.