I Verdena su Soundwall? Sì, i Verdena su Soundwall. Soprattutto perché non diamo i consigli agli altri senza poi riflettere in prima persona sul mutevolissimo qui e ora della musica contemporanea e su quanto si possa allargare il concetto di “electronic music and beyond” che fa da slogan alla nostra stessa rivista. Abbiamo incontrato Alberto Ferrari (chitarra, voce, autore dei testi e produttore del gruppo) e Roberta Sammarelli (bassista e manager) in occasione del Vasto Siren Fest 2015 ed è stata una conversazione per certi versi singolare – questo aggettivo va a pennello con il gruppo originario di Albino, Bergamo – quanto indispensabile per rammentare che le cose migliori nascono senza troppi calcoli, preconcetti di sorta, o, utilizzando le loro stesse parole, pippe mentali.
Gli anni ’90 sono quelli della contaminazione tra generi, dei dischi “crossover”, il periodo in cui il rock e l’elettronica hanno iniziato a convergere, sia a livello di produzioni che di pubblico. Oggi è normale avere sullo stesso palco i Verdena e Jon Hopkins. Che effetto fa?
AF: E’ una bella sensazione, ci piace condividere il palco con gente che fa la musica più diversa, per noi è stimolante. Poi siamo sempre stati degli amanti della musica elettronica, per esempio ci piacciono i Boards Of Canada e i The Chemical Brothers, credo anche io che il tempo della gente che ascolta il rock e odia quelli che vanno a ballare siano finiti da un pezzo.
Parlatemi del vostro rapporto con l’elettronica. Nell’ultimo album “Endkadenz Vol.1” c’è un brano come “Sci Desertico” tutto costruito sul ritmo della batteria elettronica, ma ci sono diversi esempi anche nell’album precedente “WOW”, canzoni con loop elettronici e drum machine in abbinamento o meno alle percussioni come “12,5 mg”, “La Volta”, “Le Scarpe Volanti”, “Mi Coltivo”.
AF: Mio fratello (il terzo membro dei Verdena Luca Ferrari – batteria e percussioni NDR) gioca molto con i sintetizzatori e le percussioni elettroniche quando io e Roberta non siamo in studio. Succede che quando arriviamo lui ha preparato dei loop pazzeschi, sui quali poi possiamo costruire dei pezzi. Capita ogni tanto che riusciamo a fare un brano intero tutto basato sull’elettronica.
Cercate di dosare questi elementi elettronici che inserite nelle tracce oppure non vi ponete limiti in studio? Oppure magari una via di mezzo.
AF: Non ci poniamo alcun limite! Per quanto mi riguarda il prossimo disco potrebbe anche essere tutto elettronico. Proprio ieri sera mi stavo un po’ informando su Jon Hopkins, che ha suonato sul nostro palco. Assistere a dei set così ti fa pensare a cose nuove, ad altre possibilità. Certo le macchine che abbiamo noi per fare elettronica sono molto anni ’80, con un suono scarno, di bassa fedeltà. Ecco, potrei definire alcuni nostri pezzi come elettronica lo-fi.
I vostri album nascono da lunghe improvvisazioni in studio nel famoso pollaio di famiglia adibito a sala prove/di registrazione. Quindi producete molti bozzetti di brani che poi selezionate per dare forme ad un disco. Come scegliete quelle che finiranno in un album in mezzo a questo marasma sonoro?
AF: E’ un processo molto lungo e non è mai facile scartare i pezzi. Scegliamo semplicemente le nostre canzoni preferite e speriamo che tutto si amalgami a dovere, cosa che poi non è successa con “WOW”, dove tutti i pezzi sono distanti anni luce l’uno dall’altro. “Endkadenz” invece è un lavoro più compatto. Definirei la nostra musica “selvatica”.
Dal tempo del vostro debutto, sul finire proprio degli anni ‘90 dei quali si parlava prima, ad oggi c’è stata un costante mutamento nel vostro suono. Forse il comune denominatore di tutti i dischi è la vostra curiosità di provare soluzioni nuove, il non stare mai fermi.
AF: Non ci piace ripeterci, ma proprio perché ci annoiamo dopo un po’ che prendiamo confidenza con alcune soluzioni in studio. Considero i primi tre album un avvicinamento al nostro suono, che abbiamo trovato con Requiem, un disco potente e diretto. “WOW” è stata una bella botta per il nostro pubblico, completamente diverso da tutto quello che abbiamo fatto prima, abbiamo sperimentato cose nuove e molte canzoni sono nate al pianoforte. “Endkadenz Vol.1” invece lo considero un disco “serio”, è un po’ una sintesi tra Requiem e “WOW”. Il Vol. 2 sarà più “idiota”, è molto giocoso e conterrà parecchi scherzi sonori e soluzioni musicali inconsuete.
Cosa provate nei confronti della vostra musica? Solitamente ci si concentra sulla reazione di pubblico e critica ma mi piacerebbe sapere quali sono le vostre sensazioni, una volta che avete finito di registrare un album.
RS: Abbiamo sempre bisogno di un po’ di tempo per capire se ci piace davvero un album, quando siamo in studio non riusciamo ad avere un parere obbiettivo perché lavoriamo sui brani per così tanto tempo e in modo così intenso che arriviamo alla fine del processo stremati.
AF: L’entusiasmo vero è quando si scrive un pezzo, si è felici massimo fino al giorno dopo, poi iniziano i problemi legati alla registrazione, quando l’affare diventa quasi scientifico. Bisogna cercare la corretta interpretazione, magari i suoni li azzecchi ma l’attitudine no. C’è un brano in “WOW”, “Lei Disse (Un Mondo Del Tutto Differente)”, che per registrarlo ci abbiamo messo un mese o più, non avevamo mai la take giusta.
Rimanendo in tema di produzione di una traccia, è vero che le vostre canzoni nascono in lingua inglese, attraverso una sorta di slang maccheronico che fa aderire le parole ai suoni? Alla fine del processo sostituite l’inglese con l’italiano, ma sempre rispettando la musicalità dei pezzi.
AF: E’ così, all’inizio canticchio delle cose in inglese maccheronico, seguendo il suono del brano, e poi cerco le parole italiane che abbiano la giusta musicalità. Con il passare del tempo questo processo è diventato sempre più importante. Per Endkadenz ho speso moltissimo tempo alla ricerca delle parole giuste.
E pensare che ancora si sente in giro la storiella riguardante i tuoi testi che non significherebbero nulla.
AF: Quello è solo spirito polemico. Ricordo che nel ’99, ai tempi del nostro primo album, in occasione di una intervista all’Heineken Jammin’ Festival mi chiesero cosa volevano dire i nostri pezzi. Io risposi che non volevano dire un cazzo! Da allora questa cosa è diventata un tormentone, correndo di bocca in bocca. Iniziai a crederci io stesso (ride).
Alberto mi piace pensare che i personaggi dei tuoi testi siano tutti tuoi alter ego, è così?
AF: Si. Spesso un singolo brano ha più di un tema a livello testuale, ma i pezzi parlano sempre di sensazioni che provo e quindi, come dici tu, possono essere benissimo considerati miei alter ego.
Se vi dicessi che la vostra musica mi ricorda l’esperienza cinematografica di David Lynch? Sono ugualmente flussi di parole e suoni che sono funzionali non tanto alla trama generale ma alle sensazioni/impressioni del pubblico.
RS: Ci piace David Lynch, anche se forse noi siamo meno fastidiosi di lui. Lynch ti da la sensazione che un filo logico ci sia anche se poi alla fine cambia tutte le carte in tavola e ti ritrovi a dover rifare i ragionamenti da capo.
AF: Le nostre canzoni danno stimoli diversi come dici te, ma senza pippe mentali!
Le vostre collaborazioni con altri artisti si contano sulle dita di una mano, eppure nell’ultimo disco c’è un pezzo, “Nevischio”, che è prodotto da Marco Fasolo dei Jennifer Gentle. Anche in “Endkadenz Vol.2” ci sarà una traccia in collaborazione con lui, “Identikit”. Immagino che sia perché stimate il suo lavoro, oltre ad essere amici. Come suonerà questa traccia?
AF: “Identikit” è stranissima, suona molto Jennifer Gentle. Su Nevischio la sua impronta si sente poco ma sulla traccia che sarà in “Endkadenz Vol.2” ci ha messo i suoi suoni, la sua anima! Marco è una persona che stimiamo, sia a livello sonoro che di produzione.
RS: Inizialmente “Identikit” era una canzone chitarra-basso-batteria ma poi Marco ha cambiato tutti gli strumenti, aggiunto degli xilofoni per esempio, la struttura è rimasta fondamentalmente immutata ma lui ne ha variato l’atmosfera. In passato abbiamo collaborato con Pagani e con Agnelli ma il loro apporto è stato limitato alla fase di registrazione. Magari Pagani in realtà ci ha aiutato anche a terminare qualche brano.
Quanto prima scegliete i brani da eseguire in scaletta nei concerti? Poi mi piacerebbe sapere in base a cosa scegliete i pezzi e se avete la possibilità di cambiare qualcosa durante l’esibizione.
AF: Scegliamo i pezzi da fare il giorno stesso, quando arriviamo nel posto della serata, vediamo che aria tira, che gente c’è e ci regoliamo di conseguenza. Poi cerchiamo anche di diversificare il più possibile le scalette da data a data per rendere interessante ogni concerto. Capita di cambiare idea all’ultimo e magari io attacco con un brano non in scaletta.
RS: C’è comunque uno scheletro generale che va rispettato, proprio a livello tecnico, vanno alternati brani più lenti a quelli più ritmici per esigenze legate all’esecuzione dei pezzi e quindi alla fatica vera e propria sopratutto alla batteria e alla voce. Poi bisogna badare a non fare troppi cambi strumenti, insomma è un incastro non proprio semplicissimo da realizzare. Le canzoni devono stare bene insieme e tutto deve anche suonare fluido.
“Endkadenz Vol.2”, la seconda parte del vostro ultimo progetto discografico, uscirà il prossimo 28 agosto. Luca si tufferà nel timpano come imponeva il compositore Kagel al proprio percussionista? (Il titolo degli ultimi due album “Endkadenz Vol. 1 e 2” prende spunto proprio da questa sorta di “cadenza conclusiva” dei suoi show).
AF: Purtroppo abbiamo scoperto qualche giorno fa che durante una esibizione il cantante degli Arcade Fire ha distrutto un timpano della batteria con la sua testa. Magari non era proprio una Endkadenz, ma qualcosa di molto simile. Quindi abbiamo deciso di non farlo più, mi dispiace (ride).
Avete delle tracce preferite nel vostro repertorio, che eseguite con particolare trasporto emotivo?
Ognuno ha le proprie, ma possiamo dirti per esempio che “Don Callisto” ci piace da matti ed è una goduria eseguirla dal vivo, è semplice da eseguire e ci si diverte un casino! Anche “Endkadenz Vol.1” da molta soddisfazione, è un disco registrato dal vivo e quindi riusciamo a risuonarlo così com’è!
E invece un brano più difficile da proporre dal vivo, che vi impegna particolarmente?
“Nuova Luce”, non ci soddisfa mai veramente del tutto, anche perché su disco ci sono molte sovraincisioni e roba che non è facilissima da riprodurre dal vivo.
Un’ultima curiosità, una immagine mentale per descrivere ogni vostro lavoro. Una pietanza, un vino, oppure qualunque cosa preferiate.
Verdena / Martini bianco
Solo Un Grande Sasso / Birra molto beverina
Il Suicidio Del Samurai / Vov
Requiem / Syrah
WOW / Sauvignon
Endkadenz / Whisky forte