Domani 13 luglio, al milanese Magnolia, col live di Caribou – sempre uno spettacolo pazzesco – c’è il primo atto ufficiale di Viva! Festival per l’edizione 2023: ovviamente il cuore del festival sarà anche quest’anno in Puglia, in una location da sogno, col paese di Locorotondo a fare da quinta naturale al palco, una cosa di una bellezza indescrivibile. Ma il tasso di bellezza è altissimo anche per quanto riguarda le scelte musicali, da sempre: ed anzi Viva! ha superato senza il minimo scossone (anzi: migliorando pure i numeri) il divorzio con Xplosiva, il team che sta dietro a Club To Club, avvenuto durante lo stop pandemico. Ora il nucleo forte locale di Turnè, colui che Viva! lo ha pensato e fondato, si avvale della collaborazione di Andrea Angelini, fondatore e capo di 3D Agency, una delle più longeve e serie agenzie di booking in Italia per il “nostro” mondo. Tra l’altro, una di quelle più “pure” e qualitative dal punto di vista artistico. Poteva essere una semplice chiacchierata-marchetta per presentare l’edizione di quest’anno del festival, o farsi due convenevoli banali magnificando questo o quest’altro facendosi i complimenti a vicenda; è nato invece un confronto disteso ma per nulla superficiale ovviamente sul 2023 di Viva! (e su quanto è stato difficile costruirne l’ottima line up) ma anche sul ruolo delle agenzie nel nostro mondo, sull’avidità dei manager e/o degli artisti, su un mercato in continua evoluzione. A fare da coronamento a tutto, un paio di aneddoti notevolissimi. Buona lettura. E per chi può, ci si vede domani al Magnolia per Caribou (che manca da otto anni da Milano…), Elkka e Wayne Snow e poi dal 3 agosto all’alba del 6 (quando mai vi ricapiterà di vedere l’alba in riva al mare con un dj set di Kode9?) col festival vero e proprio, ricchissimo e veramente bello anche quest’anno. Biglietti, qui. In tre giorni e mezzo potete vedervi Bonobo, Caribou, Madlib & Talib Kweli, Folamour, Koze, Motor City Drum Ensemble, i Cymande, Moodymann, Little Dragon, Maria Chiara Argirò, Mr. Scruff, Jayda G, il già citato Kode9, il live di Turbojazz, Pellegrino & Zodyaco, un evento speciale col back to back tra Mace e Venerus, un after con gli Hiver e Z.I.P.P.O., l’astro nascente Liv.E. Già. E tutto questo in un posto da sogno. Serve altro?
Partiamo dal fondo: quanto è stato difficile mettere su la line up 2023 di Viva?
Più del previsto, in realtà. Fondamentalmente eravamo abbastanza convinti che rispetto all’anno scorso, avendo potuto iniziare a lavorarci almeno tre, quattro mesi prima con le varie trattative, sarebbe stato più semplice. Invece ci siamo scontrati con la dura realtà: ovvero, se vuoi confermare un artista a settembre o ottobre dell’anno precedente all’evento estivo – quindi muovendoti in grande anticipo, ma la macchina dei festival ha ormai anche questi tempi – allora devi semplicemente strapagarlo. Se invece hai la pazienza di aspettare, diciamo fino a dicembre o gennaio o qualcosa del genere, allora è più facile che tu finisca col pagarlo il giusto.
Però in questo modo ti esponi al fatto che qualcuno li prenda prima di te, quei nomi che desideravi.
Esatto.
È come giocare a scacchi, insomma. O a poker. Misurandosi col calcolo delle probabilità e del rischio.
Già. A questo aggiungi il fatto che creare la line up di Viva! non è a dire il vero semplicissimo: per quanto infatti il range musicale sia relativamente ampio, non sono poi tantissimi gli artisti davvero adatti. Questo anche per il fatto che esiste un solo palco, tra l’altro; non esiste cioè un palco secondario dove magari puoi mettere un dj emergente, una tua scommessa personale. No: devi puntare sui live, che “coprono” lo spazio; e se vuoi mettere un dj, deve essere comunque uno con un potenziale da headliner o giù di lì, ovviamente senza rinunciare alla qualità e ad un certo tipo di indirizzo. Le scelte insomma spesso sono un po’ “obbligate”. Poi c’è la zona, che ha una sua specificità: perché la Valle d’Itria da un lato non è Bologna, non è Milano, non è Roma o Torino, non è insomma un posto dove una attività continua durante l’anno aiuta a consolidare delle scene specifiche di appassionati; dall’altro, è comunque un’area dove in due o tre mesi si concentra tutto e di tutto, quindi l’attenzione delle persone va anche un po’ “catturata”. Dai dati dell’anno scorso che abbiamo visto c’è naturalmente una notevole presenza locale fra il pubblico, ma in generale i nostri visitatori arrivano da tutta Italia e, cosa che ci ha positivamente sorpreso, anche in numero più che discreto dall’estero.
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Ecco. Citavi l’anno scorso, perché è dall’anno scorso che sei entrato organicamente dentro Viva!: non solo e non tanto come agenzia di booking di riferimento, ma proprio come co-direzione artistica. Prima il tuo “ruolo”, diciamo così, era occupato da Xplosiva, ovvero da Club To Club. Come mai c’è stato questo avvicendamento? E come mai si è arrivati proprio a te?
Di questo devo ringraziare proprio Xplosiva: in primis nelle persone di Sergio Ricciardone e Guido Savini. Penso che la loro esperienza con Turné – la crew che ha ideato e creato il festival – fosse terminata in modo naturale, e proprio loro hanno suggerito a Turné di farsi due chiacchiere con me. Le abbiamo fatte, e ci siamo piaciuti parecchio. Io il festival lo conoscevo già perché ci ero stato nel 2019 portando Apparat, restandone molto favorevolmente colpito, come inevitabile; ma la cosa divertente è che non avevo nemmeno conosciuto chi lo organizzava alle sfere più alte, avevo interagito solo col personale tecnico. Il primo, vero incontro coi vertici di Turné è stato a Roma prima di Natale 2021: da lì è una nata una collaborazione che, devo dire, per l’edizione 2022 è stata davvero molto, molto proficua e felice. Siamo rimasti tutti davvero soddisfatti. Vediamo come andrà quest’anno.
Quanto è stato difficile sincronizzarsi fra di voi? Appunto, non avevate mai lavorato prima assieme: potevano esserci visioni diverse, abitudini e sistemi di lavoro diversi…
Questa è stata una delle sorprese più piacevoli. Perché in primis con Ninni Laterza, che è la prima persona a dare la direzione artistica, l’intesa è perfetta. Lui mette sul campo le prime idee ed ispirazioni poi ci completiamo a vicenda, con io che magari curo i lati più tecnici del booking – a partire dalle trattative, insomma – e in qualche caso la disposizione degli artisti nell’arco delle tre giornate. Ma come gusto e direzione musicale, direi che ci siamo ritrovati ad avere una condivisione perfetta di idee fin dal primo giorno. Onestamente: poche volte mi sono trovato così bene a collaborare con qualcuno. Sarà perché abbiamo gusti musicali simili, sarà perché di base si è subito consolidata una stima ed un rispetto reciproco proprio dal punto di vista umano; sta di fatto che ad oggi non c’è mai stato il minimo intoppo.
Allora, veniamo alle questioni un po’ più spinose: bello, bellissimo fare il direttore artistico, ma il tuo primo lavoro è e resta quello di agente, da proprietario e fondatore di 3D Agency. Lo sai vero che in questo momento gli agenti e le agenzie sono viste come il primo nemico di una scena “sana” e sostenibile nel clubbing, ma direi anche nella musica live in generale? Perché voi siete i bastardi che hanno fatto gonfiare i costi a dismisura, ecco. Non solo voi, magari; ma agli occhi degli appassionati, soprattutto voi.
Sì, so che la percezione è questa. Con molta onestà intellettuale, ti confesso che io personalmente non mi sento colpito da questa critica o coinvolto in questo processo. Però capisco che questa idea circoli. Io sono convinto che uno degli aspetti del lavoro di un agente di booking sarebbe proprio far capire all’artista, o al suo management, le caratteristiche, le specificità e se serve anche le difficoltà di un determinato territorio. La priorità dovrebbe essere infatti che una data sia un successo per tutti, e non solo per alcuni. Se un artista viene strapagato, è ovvio che qualcuno che ci rimette c’è: il promoter locale. So che per alcuni questo è un “danno collaterale” accettabile di cui l’artista e chi ne rappresenta gli interessi deve interessarsi fino ad un certo punto, ma penso che sia una strategia che sul lungo periodo non paga. Se continui a far perdere soldi a un promoter, ad un certo punto lui non avrà più fiducia in te, a prescindere in quello che gli proponi. Vale davvero la pena? Sì, magari la prima volta o le prima volte ci fai sopra un bel guadagno, e fai pure bella figura con l’artista perché lo hai venduto “bene”; ma fino a quando potrai farlo? Nulla di più facile che tu, come agente, ad un certo punto abbia perso un cliente. Non so quindi quanto sia efficace come strategia, almeno sul lungo termine. Obiettivamente però è adottata da molti miei colleghi.
Ecco.
Va chiesto a loro perché.
Peraltro la dinamica è complessa, e va affrontata avendo in mente il “bigger picture”: perché tu magari vuoi far ragionare l’artista e il suo management, dicendo loro di rendere più sensate le richieste rispetto alle potenzialità del territorio, ok; ma nulla di più facile che loro al primo tira e molla ti dicano “Vabbé, vaffanculo, se non vuoi darmi quei soldi e quei benefit io me ne vado in Romania, a Dubai, negli Stati Uniti”…
Il rischio c’è. Anzi, non è nemmeno un rischio: è proprio un’eventualità molto concreta. Credo che questo avvenga anche perché c’è ancora adesso un certo tipo di snobismo verso l’Italia. In parte pure giustificato.
Sì?
Sì, perché comunque siamo un mercato abbastanza esiguo rispetto già al contesto europeo, figuriamoci rispetto a quello mondiale. Questo significa che spesso gli artisti non riesci ad averli anche al di là delle condizioni economiche che offri. Semplicemente: non ti considerano. Stop.
Ottimo.
Senza fare nomi, ma ci sono due artisti che volevamo a Viva! quest’anno che nemmeno hanno risposto alle offerte che gli abbiamo mandato. In uno dei casi lo stesso agente dell’artista in questione era in imbarazzo, perché ci aveva confermato che la nostra offerta era davvero molto buona e, in ogni caso, era ben più alta di qualsiasi altra offerta fosse arrivata in passato dall’Italia. Non era insomma nemmeno un problema di soldi. In questo caso, ed anche nell’altro, abbiamo aspettato settimane per avere una risposta che invece non è proprio mai arrivata, nemmeno un “No, grazie”. Questo mi pare un sintomo chiaro di quanto poco il mercato italiano venga considerato, almeno in alcuni casi. Perché il punto è che parliamo di artisti in questo caso nemmeno consolidati da anni, quanto piuttosto di act ancora emergenti, che hanno bisogno di girare i vari territori per crearsi una fanbase reale e consistente. Evidentemente, il nostro è un territorio che è considerato poco rilevante in tal senso. Non interessiamo granché. E quando è così, ripeto, non è nemmeno un problema di cifre.
O in ogni caso, diventa una spinta a lanciarsi in aste sempre più selvaggio e con margini sempre più complessi. Piaccia o non piaccia. In tutto questo c’è stato comunque un periodo in cui in Italia non facevano altro che nascere agenzie di booking, dando così l’idea che il nostro territorio fosse invece floridissimo – almeno per un certo tipo di proposta musicale legata al dancefloor. Direi che già con la pandemia c’è stata un po’ di scrematura. 3D esiste ed opera ormai da quasi due decenni, è a pieno titolo una realtà storica e consolidata: non sono tantissime ad avere una solidità di questo tipo, a maggior ragione fra quelle – come nel tuo caso – in cui c’è un indirizzo musicale abbastanza ben definito. Secondo te c’è spazio per un nuovo ciclo in cui tornano ad affacciarsi sul mercato tanti nuovi operatori in questo campo, o è più sano cercare di mantenere l’equilibrio (e il numero) che c’è adesso?
Non lo so. È difficile rispondere, onestamente. Il mercato cambia di continuo, questo sì, e ci sono di continuo artisti nuovi: a rigor di logica questo significa che c’è sempre spazio per agenzie nuove. Qualche settimana fa parlavo con un promoter storico di Napoli, con cui c’è un rapporto di amicizia che va anche al di là del lavoro quindi c’è parecchia confidenza. Ci si raccontava di come negli ultimissimi anni la scena techno – che peraltro non è mai stata una core business di 3D, anche se i miei inizi sono stati proprio un po’ con tutti gli artisti Underground Resistance e con molte cose della Clone – sia cambiata in maniera davvero drastica. Senza fare nomi, artisti storici che in passato non avevano il minimo problema a fare dieci, quindici date in Italia oggi non ricevono uno straccio di richiesta, e questo senza nessun motivo apparente. Oggi va per la maggior nuovo filone velocissimo, una roba quasi gabber coi BPM che arrivano a 140, 150, e non ho problemi a dire che è un campo che per me è praticamente sconosciuto: è una direzione sonora che non ho mai frequentato per lavoro e che, onestamente, manco mi piace dal punto di vista artistico. Tutta questa nuova ondata ha comunque rimpiazzato quasi dal giorno alla notte una serie di nomi storici che in passato invece sembravano inamovibili. Io questa nuova ondata non la conosco e non la frequento, e penso valga lo stesso anche per molti miei colleghi storici, tra le agenzie italiane, almeno l’impressione è quella: è quindi molto probabile che a breve nasca una nuova realtà che riesca a rappresentare questo nuovo filone, condividendone gusto estetico e modus operandi. Sarebbe giusto fosse così.
Ma tu dove ti informi? Dove vai a cercare quelli che secondo te potrebbero essere i nomi giusti da rappresentare come agenzia di booking? Quali sono le tue fonti di informazione, di scoperta e di selezione?
Principalmente tramite gli artisti che conosco già e le etichette a cui sono legati. Diciamo che negli anni mi ha sempre fatto piacere stabilire un rapporto diretto con gli artisti con cui lavoro, o anche solo con quelli che incontro abitualmente in giro e con cui ci sono varie conoscenze in comune; mi capita quasi sempre di chiedere se hanno scoperto qualcosa di interessante, se hanno qualche nome ancora poco conosciuto da consigliarmi (…sì, non è importante che sia già noto o sia già in rampa di lancio). E poi cerco sempre di tenere d’occhio tutte le label che so che possono offrire delle cose interessanti per i miei gusti: magari ogni tanto fanno uscire delle cose che non sono proprio la mia tazza di tè, ma cerco di ascoltare tutto – anche perché ogni tanto è bello cambiare idea ed ampliare le proprie conoscenze. Chiaro, le cose che apparentemente sono meno vicine ai tuoi gusti le ascolti magari più di fretta; ma la volontà è comunque quella di farsi una informazione più vasta possibile, per poi prendere le proprie decisioni. Certe volte ci prendi, certe volte no.
La capacità di operare sui social, Instagram in primis, fino a che punto è un criterio per te?
Non lo è per nulla.
Ok.
Anche perché certi dati andrebbero analizzati per bene: puoi avere 100.000 follower, ma se sei americano quella cifra ha un significato, se sei europeo ne ha un altro. Bisogna insomma vedere su che tipo di scala, su che tipo di contesto geografico e che tipo di pubblico si sono costruiti, quei 100.000. Tante variabili. E non variabili a cui mi interessi andar dietro.
Una parte importante del roster di 3D sono sempre stati gli artisti italiani, i primi che mi vengono in mente sono Populous o Indian Wells, ma l’elenco è piuttosto lungo. Qual è in questo momento la situazione? Occhio: te lo chiedo per un motivi ben preciso. La scena “indie” – ormai è una definizione che va messa tra virgolette, ma è per capirsi – ha avuto una vera e propria esplosione: artisti che facevano fatica a superare le duecento presenze dieci o anche solo cinque anni fa, oggi sono arrivati a riempire i palasport. E non solo: molti nomi nuovi sono arrivati sul mercato, facendo subito numeri importanti, numeri un decennio fa inimmaginabili per gli artisti più consolidati, figuriamoci per gli esordienti. Ma “noi”, noi della “musica avanzata” come la chiamerebbe Sónar? Clubbing, elettronica e dintorni? Come siamo messi invece?
Beh, sicuramente peggio rispetto a quello che si può considerare “indie”. Perché quest’ultima realtà può contare su tutta una serie di infrastrutture come radio, etichette, eventi, locali specifici dediti alla musica live… Da noi niente di tutto questo. Pensa solo al panorama radiofonico: in Inghilterra già la sola BBC ha un sacco di canali che dedicano molta attenzione all’elettronica e ad un certo tipo di club culture, per non parlare di tutte le altre stazioni, qui da noi è già un miracolo ci sia qualcosa su Radio Rai o Radio Capital. Poi magari sono io che non sono molto informato…
No, direi che le cose stanno effettivamente così.
In Italia non si semina molto e, quindi, si raccoglie poi ancora meno. Altro problema, il fatto che pochi artisti italiani riescano a sfondare all’estero: questo non aiuta tutto il movimento. Abbiamo un esempio virtuoso, i Nu Genea: loro ad esempio sono riusciti ad affermarsi come un nome con una presa reale e consistente su scala europea. Ma sono loro, e pochissimi altri. Almeno per un certo tipo di scena. Da noi la musica buona non manca, tutt’altro, ce ne sono tanti che avrebbero tutti i mezzi e già hanno tutte le qualità per farsi un profilo di dimensione europea: per citare un artista 3D, a cui sono molto affezionato e che peraltro ho scoperto proprio leggendo un tuo articolo, di sicuro DayKoda. Però sì, da noi la situazione è grigia; e ciò che è ancora più preoccupante è il fatto che forse sta addirittura peggiorando.
Insomma, si stava meglio dieci o anche solo cinque anni fa.
Non lo so. Non mi sento una fonte così autorevole da poter dare un giudizio del genere in maniera così netta. In effetti, si potrebbe anche dire che rispetto a un decennio fa è più facile vedere artisti italiani al Primavera Sound o al Sónar: ma anche lì puoi chiederti se è un effettivo riconoscimento del valore di mercato, o se invece nasce dal fatto che sono due festival in cui la percentuale di pubblico italiano è piuttosto alta, e quindi gli si vuole fare un “regalo”, un riconoscimento…
Ti è mai venuto da pensare “Ma chi diavolo me l’ha fatto fare di fare l’agente…”?
Solo quando incontro management stronzi.
Quindi, spesso!
(risate, ndi) …ma no dai, io mi sento abbastanza fortunato in tal senso. In più, fare l’agente è effettivamente un lavoro che mi piace: dovrò ringraziare per sempre Marco Passarani, che è stato il primo ad intuire che potevo essere portato per farlo, e a spingermi quindi a buttarmi in questo campo.
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Quando ha iniziato a dirtelo e caldeggiartelo che avevi pensato? Robe tipo “Ma che dice? Ma è pazzo? Che c’entro il col booking?”. Magari invece hai avuto l’impressione fin da subito fosse una buona idea…
Guarda, fin da subito l’idea effettivamente non mi dispiaceva. Ciò che mi metteva in crisi è che in quel periodo della mia vita facevo ancora musica, e non mi sembrava possibile fare contemporaneamente sia l’artista che l’agente. Sia da un punto di vista pratico, che da un punto di vista etico. In definitiva, per fare l’agente ho dovuto rinunciare al sogno più ambizioso che avevo; ma al tempo stesso, questo mi ha permesso di restare in un settore che ho sempre amato e in cui ho sempre sognato di lavorare. Alla fin fine è importante saper riconoscere i propri limiti: capire dove si è più bravi e dove si è meno bravi, al di là di cosa sia ciò che ti diverte di più, o ciò che nei tuoi sogni avresti voluto diventare.
In un ruolo come il tuo, è possibile diventare veramente amici con gli artisti?
Se me l’avessi chiesto cinque o dieci anni fa, ti avrei detto di sì. Oggi non ne sono più tanto sicuro: la risposta pende di più verso il “No”. Anche se comunque ci sono artisti con cui ho stabilità un rapporto di amicizia vera, un’amicizia seria e solida.
Ma questa non può diventare un problema, ogni tanto? Da un amico magari si pretende qualcosa di più a livello di attenzioni che da una persona con cui si ha un semplice rapporto di lavoro…
No, per quanto mi riguarda non ho mai avuto problemi. Anzi: se conosci bene l’artista, in realtà sai anche meglio come prenderlo: come anticipare i suoi desideri, o anche come comunicargli eventuali cose spiacevoli, intoppi vari. Alla fine è questione di avere a che fare con degli esseri umani: che tu ti stia occupando di musica o altro, è sempre questione di far arrivare il messaggio giusto nel modo giusto. Vale per qualsiasi campo. Un compito che può diventare leggermente più facile se fra due persone c’è già rispetto, conoscenza, amicizia.
Chiudiamo il cerchio di questa conversazione: siamo partiti da Viva!, chiudiamo con Viva!. Come descriveresti complessivamente la line up di quest’anno? Quali sono i nomi più interessanti? Lo so, lo so: per un co-direttore artistico tutti i nomi che ha scelto sono altrettanto importanti, ma… Diciamo che vorrei almeno sapere con quali idee e linee guida in testa tu e Ninni Laterza avete costruito il cartellone.
Ti risponderò in maniera molto onesta: quello che è venuto fuori è molto lontano rispetto ai primi spunti iniziali che ci eravamo dati. Rispetto alla wishlist che avevamo fatto iniziando a riflettere sulla line up 2023, ci saranno al massimo due nomi, toh, forse un altro paio in più, non oltre. La parte live poi, rispetto a quella dj, è stata quella più difficile da chiudere: coi dj hai solo una persona che viaggia (più eventuale tour manager), coi live invece devi vedere com’è il calendario che già una band ha, come sono le condizioni economiche e logistiche che richiede. Un dj può fare una data singola, una band deve per forza seguire un routing più strutturato: e se la data che è giusta per te non si può inserire in quel routing già pronto e fissato, puoi insistere quanto vuoi ma comunque non porterai mai a casa quella band. Commentando le scelte, devo dire che sono molto contento della presenza di Cymande, un gruppo che ascolto ed amo da almeno vent’anni, e penso poi che Liv.E sia molto sottovalutata in questo momento: ha tutte le potenzialità per diventare una stella del nuovo r&b americano. Non posso poi che essere contento dell’accoppiata tra Madlib e Talib Kweli: non è qualcosa che si vede molto spesso in giro, non è affatto facile chiuderli come set, e tra l’altro al momento della contrattualizzazione era ancora la loro unica esibizione europea – non escludo che resti tale.
Domanda extra finale: qual è la cosa più assurda che ti è mai successa dal punto di vista lavorativo?
Oddio, ti riferisci a Viva! o a 3D…?
Allarghiamo il campo: puoi scegliere fra entrambi.
Difficile citarne una sola. C’è un festival a Milano – a cui eri presente anche tu – dove le cose potevano finire veramente male, tra disguidi diciamo economici ed organizzativi; ma poi tutto sommato l’esito finale fu abbastanza liscio, nonostante le premesse fossero davvero preoccupanti.
Beh, era il periodo che collaboravamo, e per essere sicuro di avere i saldi da girare agli artisti andai a presidiare i bar prelevando l’incasso via via che arrivava… per qualcosa come nove ore di fila… e dividendo con fair play il denaro raccolto con un gigantesco olandese che faceva da garante per il service audio e luci dell’evento. Non dico che il saldo dei cachet di certi artisti venne pagato in monetine, ma quasi.
Già (sorride, ndi). Andando più nello specifico su Viva!, devo dirti che avevamo confermato un headliner di cui andavo veramente, veramente orgoglioso: i De La Soul. Ad accordo chiuso e firmato, due settimane dopo mi arriva una strana mail: c’è scritto che la band non può più partecipare al festival perché “…sono venuti meno i termini dell’accordo”. Resto a bocca aperta. Vado a rileggermi il contratto punto per punto, per vedere se per caso mi fosse sfuggito qualcosa e non avessi rispettato qualche clausola preliminare: nulla. Peccato che poi scopro, per vie traverse, che il loro agente aveva fatto un doppio booking per lo stesso giorno e stava insomma cercando di cancellare la nostra data inventandosi delle scuse che non stavano né in cielo né in terra.
Complimenti.
Ovviamente la band di tutto questo, con ogni probabilità, non ne avrà saputo nulla. E chi li ha gestiti che si è comportato con, diciamo, discutibile professionalità. E glielo si è fatto notare. Però boh, non è che queste cose non succedano, non è un intoppo così raro.
Senza andare tanto lontano, l’anno scorso a Viva! il dj che accompagnava nel live Mos Def, che già era in Puglia assieme alla fidanzata serenamente in hotel in attesa di esibirsi, seppe da te e non da Mos Def o dal suo agente che Mos Def non si sarebbe mai presentato in Puglia…
Esattamente. Bello, vero?
Bellissimo.
Però ti dico qual è la cosa più bella che mi è successa nei 17 anni che faccio questo mestiere. Ultimo anno di Dissonanze: terzo palco, quello della terrazza del Palazzo dei Congressi per intenderci. Fondamentalmente, avevo curato l’intera line up: erano tutti artisti che poi sono diventati nomi fissi di 3D, più Gill Scott-Heron che era stato portato da Pietro (Fuccio, ndi) e da Dna Concerti. Ecco: a lui io ero legatissimo, artisticamente parlando. E non solo artisticamente. Tanto per farti capire, quando ancora facevo il promoter a Roma il logo della mia serata era uno stencil con la sua faccia. Insomma, ero al di là di tutto molto emozionato, ma era veramente una serata complicata, c’erano alcuni artisti – vedi Gonjasufi – che non erano proprio semplicissimi da gestire. Gil Scott-Heron, a show finito, già coi minuti contati perché aveva il volo che partiva poco dopo il suo live, non voleva partire dal festival senza salutarmi. Ti lascio immaginare, quando mi hanno raccontato questa cosa, quanto mi sia commosso. Ecco: lui era una persona fantastica. Poter lavorare per lui è stato, molto semplicemente, un onore. Uno dei privilegi che ti dà questo mestiere.