Lamusa II aka Giampaolo Scapigliati è nato in Italia ma da qualche anno vive in pianta stabile a Parigi, da dove dirige la sua intricata macchina di collaborazioni artistiche, nuovi progetti, show radiofonici e tanto altro. L’avevamo intervistato per la serie “Giant Steps” nel lontano 2014 quando ancora era al primo step del suo nuovo progetto Lamusa, e in cinque anni sono successe tantissime cose. Due di queste sono esperienze che ti cambiano la vita: ha partecipato alla Red Bull Music Academy a Montreal nel 2016 e ha suonato al Sònar l’anno successivo sul palco della Red Bull. In una gelida serata palermitana, dove di lì a poco si sarebbe esibito al SYS Festival con il suo nuovo, ipnotico e bellissimo live show, abbiamo parlato appunto di RBMA, della sua recentissima collaborazione con Marie Davidson, di Doris Norton, Gravity Graffiti, ispirazioni personali, come perdersi nella sua musica, la radio, la sua prima release del 2019 con un nuovo progetto, il revival musicale degli anni ’80 e soprattutto il suo prossimo e tanto atteso album su HVNX (in pre-order sul sito), la sub label di Hivern Discs di John Talabot.
Gli argomenti toccati sono tantissimi, lasciatevi rapire da uno dei personaggi più affascinanti della scena italiana.
Partiamo subito a parlare della tua collaborazione con Marie Davidson. Entrambi colleghi alla RBMA 2016 a Montréal e ora partner in crime in questa traccia wave/disco ’80 cantata in italiano e in francese.
Abbiamo lavorato al brano durante delle sere passate in studio e creando prima la parte strumentale, con drum machine, bassline e tutto quanto. Poi il pezzo ha iniziato a prendere un’atmosfera un po’ dark e un po’ new wave come dici tu. Il cantato di Marie Davidson ha aggiunto quel qualcosa in più che ci ha portato sul mistico, perché l’idea era quella di trasmettere la sensazione di perdersi in un club molto tardi al mattino e stare lì a vagare, fluttuare. Il pezzo è stato tutto registrato all’Academy e con lei successivamente abbiamo fatto uscire questo EP su Ninja Tune, con un singolo di Marie Davidson che sta all’interno del suo ultimo album e due remix, uno di John Talabot e uno di Silent Servant.
Ma a conti fatti qual è stata per te l’esperienza più intensa e bella per te: RBMA a Montréal o suonare sul palco della stessa RBMA nel contesto del Sònar?
Sicuramente l’Academy. A parte per l’intensità, anche come esperienza personale che mi ha colpito di più. L’esperienza di trovarsi a colazione Suzanne Ciani che ti raccontava la sua storia è stata surreale! C’è anche l’aspetto umano, bellissimo, perché comunque ti confronti con persone che sono totalmente ad uno step differente rispetto alla tua carriera. Puoi trovare la persona che è già un musicista affermato, dalla persona che fa i beat da solo dentro casa in cameretta, a quello che sta ad una mezza via, a Denis Sulta! Questo ti fa capire quanto è bello e strano avere un confronto diretto in scenari inaspettati con persone che altrimenti non si sarebbero mai incontrate e che probabilmente non avrebbero nemmeno mai collaborato.
Provieni da diverse esperienze con delle band. Quali ispirazioni ti hanno guidato per il tuo progetto solista?
Se ti devo fare il nome di un personaggio che mi ha affascinato è Doris Norton, una tipa italiana sponsorizzata da Apple Computer che faceva musica con sintetizzatori. Come mia prima influenza è stata sicuramente lei. Poi in quel periodo mi ricordo che ascoltavo Klaus Schulze. Questi due sono gli artisti che mi hanno principalmente influenzato. Come band mi vengono in mente i Gong ma anche Throbbing Gristle, Brian Eno, Cluster, Jon Hassel e David Byrne.
Un pregio della tua musica è che ha tanti e nessuno riferimenti. Mi spiego: prende mille spunti da mille generi e allo stesso tempo è così piena, densa, che sembra non appartenga a nessuna etichetta di genere. D’altronde la tua ultima uscita su Gravity Graffiti si chiama “Vago Libero”.
Grazie! In quel titolo c’è racchiuso tutto, perché volevo fosse anche l’approccio dell’ascoltatore nei confronti del disco.
Infatti prima hai utilizzato un verbo che calza a pennello: fluttuare.
Esattamente questa era l’idea. Con “Vago Libero” ho un po’ alternato varie influenze e soprattutto varie sperimentazioni. Il fluttuare è inteso sia come una sensazione che si ha durante l’ascolto del disco, sia l’aver fluttuato personalmente tra diversi generi e sonorità.
E con Gravity Graffiti ti stai trovando più che bene, perché da “Club Mondo 2000” a “Ritmi” con Riccardo Schirò, e soprattutto con quest’ultimo disco, hai sempre avuto la possibilità di esprimerti in maniera del tutto autonoma e libera. Innanzitutto come ti sei conosciuto con Riccardo? E poi come ti trovi su Gravity Graffiti?
L’incontro è nato dopo l’Academy. Mi ricordo che mi scrisse una mail chiedendomi se avevo del materiale unreleased e se avessi intenzione di pubblicare qualcosa. Quindi gli ho detto di sì e gli ho mandato un po’ di tracce. Lui ha scelto le cinque che sono uscite su “Club Mondo 2000” e quello è stato l’inizio della nostra collaborazione. È stato per tanto tempo soltanto un lungo scambio di messaggi ed email, come spesso succede, e poi alla fine finalmente ci siamo incontrati. Da qui c’è venuta l’idea di fare un progetto insieme come Maledetti, che è appunto più sulla trance e sul tribale. Ecco, la prima sperimentazione che abbiamo fatto insieme è stata proprio questa e continuerà con un’altra nel 2019/2020.
Tu che vivi a Parigi da tanti anni, hai una visione un po’ più distaccata rispetto a tanti altri tuoi colleghi di quello che succede qui. Per te quali sono le cose che più ti piacciono e quelle che ti danno fastidio di quello che succede nella scena musicale italiana?
In realtà succedono incredibilmente parecchie cose, mai come in questi ultimi due anni. dj e producers passati da Parigi che mi è capitato di incontrare hanno questo questo sogno personale di suonare in Italia. I lati positivi sono i festival proposti in Italia, perché a livello di festival secondo me non ci possiamo proprio lamentare. La cosa che purtroppo ci manca è una scena costante durante tutto l’anno. È difficile costruire un circuito se comunque si circoscrive l’esperienza a solo tre, quattro giorni.
Ma a proposito sempre di Parigi, hai da consigliarci qualche etichetta discografica che dovremmo assolutamente tenere sott’occhio?
Mélodies Souterraines e Drama Records, la sub label di Antinote gestita da Zaltan e PAM.
La musica che componi con il nome di Lamusa II come la definiresti? Io sono per elettronica ipnagogica.
Bella domanda, la definizione ipnagogica calza per me. E come influenze aggiungerei library music italiana (Piero Umiliani,Il Guardiano Del Faro) e francese (Tele-Music, Roland Bocquet, Sauveur Mallia). A questi riferimenti aggiungo anche un approccio compositivo più indirizzato al kraut-rock.
Il tuo inconfondibile suono viene fuori da tastiere vintage, drum machine, sequencer e sintetizzatori. Com’è nata questa passione e quali sono i tuoi punti di riferimento?
Penso che sia nata dal fatto che sono un grande fan di questi magazzini dell’usato pieni di un po’ di tutto, da impianti hi-fi, casse, giradischi e tastiere. Mi ricordo che il primo organo Elka l’ho comprato in un mercato con un mio amico, da lì smanettando un po’ sono usciti fuori i primi suoni e un certo interesse verso di loro. Da qui un po’ il fatto che tramite amici di famiglia e parenti mi sono ritrovato una DX7 come prima tastiera in casa, e poi esplorazioni personali fino ad arrivare al punto di comprare un synth per esigenza, perché sai che magari può darti quel determinato suono che cerchi. Come mi capita ultimamente spesso prima di fare un disco cerco un synth che mi possa dare lo stimolo per comporre. Parto da quello e poi ci costruisco intorno.
Parliamo invece di questo prossimo e tanto atteso album in uscita su Hivern Discs, l’etichetta di John Talabot.
Durante il periodo che stavo lavorando con Marie Davidson mi ha contattato l’A&R dell’etichetta, conosciuto tramite chat, e mi ha chiesto se avevo del materiale unreleased da girargli per fare nel caso un’uscita insieme. Non è che ne avessi moltissimo, ma fortunatamente era un periodo in cui mi sentivo molto stimolato, volevo buttare giù qualcosa di nuovo e quindi è stata un’occasione importante. Tutto è nato con loro che volevano stampare un vinile del mio live al Sònar, però tra permessi e sforamento del minutaggio del vinile è stato troppo complicato. Quindi ho preferito mandargli del materiale nuovo. In un paio di mesi ho composto diverse tracce, e all’inizio del 2018 ho iniziato a girargli delle bozze. Nei mesi successivi siamo arrivati al punto di scegliere le undici tracce che avrebbero formato l’album. Insieme abbiamo deciso di uscire su HVNX, dove solitamente ci sono concept album più lunghi, e dentro il vinile c’è un mood board che descriverà quello che sarà l’ascolto. Questo disco sarà una grossa espressione di tante sonorità in ogni traccia.
È un disco dove puoi immergerti rimanendo non vigile rispetto a tutto ciò che ti succede intorno e quindi lasciarti andare, trovando tracce molto stratificate con tanti livelli sonori percepibili e non. Ci sono degli intermezzi molto utili: un esempio di questa scelta è “Piano Inferiore”, il cui scopo è ridestare l’ascoltatore dal primo lato e farlo rimmergere nel secondo. Un elemento imprescindibile è stato l’ordine dei brani, costruito insieme ai ragazzi di Hivern Discs, e sono soddisfatto del risultato raggiunto. È stato bello aver avuto la possibilità di poter fare un LP di undici tracce che ha permesso sia a me e all’ascoltatore che fruirà del disco di fare questo tipo di scoperta. Il disco si chiamerà “Sulfureo” e uscirà nella seconda metà di marzo.
Sei uno che sperimenta tantissimo in studio, la radio è abitualmente conosciuta come una struttura dove sperimentare ancora di più, quindi come sta andando il tuo show mensile su Rinse France?
La radio per me è fantastica! Ho uno show mensile di due ore dove esploro dall’elettronica primordiale alla new wave, al kraut, alla musica folkloristica, o musica di band scolastiche degli anni ’80 ma soprattutto musica nuova che mi viene girata dagli amici produttori. Solitamente cerco di invitare un ospite con il quale condividere lo show, magari qualcuno che è a Parigi per una data, e quindi colgo l’occasione per ospitarlo. Oppure chiedo di inviarmi un mix dove lascio assoluta libertà all’artista ospite. In uno dei prossimi show vorrei ritagliarmi due ore per me per uno speciale sul prog rock italiano anni ’70.
Sperimentazioni su sperimentazioni: chi è Massimo Del Corpo e cosa è “Anima Di Gomma”?
Massimo Del Corpo è il mio primo alter ego con cui sono riuscito a distaccarmi da Lamusa II e con il quale ho composto “Anima Di Gomma”, un album di sette tracce registrato a Parigi, di notte e in una settimana, con solo tre strumenti processati attraverso degli effetti come analog delay e spring reverb. Mi piaceva avere un approccio più minimalistico alla produzione quindi limitandomi a pochi strumenti da suonare. L’album è uscito per l’etichetta canadese Séance Centre.
Parlando di contenuti musicali, come vedi il revival anni ’80 di certe produzioni alla luce di Stranger Things e tutto il seguito?
Assolutamente appoggio questo revival. C’è anche uno speciale interessante sui sintetizzatori usati per la soundtrack con Kyle Dixon e Michael Stein! È come se ci fosse l’esigenza di perdersi nuovamente all’interno di queste sonorità!
Ultima domanda: qual è l’ultima cosa che hai ascoltato?
Si chiama “L’univers De La Mer”, bellissimo album di Dominique Guiot del 1978.